Blog di Dante Paolo Ferraris

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A zonzo con il calessino (XXXIII parte)

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CalessinoIl calessino ormai corre a folle velocità verso Vercelli, ha superato il Borgo di Larizzate senza quasi osservarlo. L'antico Borgo, ormai quasi dimenticato e con pochi abitanti, ha tanta storia da raccontarci: castello, chiesa e le tante aziende agricole che lo compongono.
Vercelli è una città tranquilla piacevole a misura d'uomo, apparentemente senza particolari pretese in fatto di vita mondana.
Avvicinandoci al centro, dove comincia Corso Libertà, troviamo ad accoglierci la bella Piazza Pietro Pajetta, "Nedo", il famoso comandante garibaldino, medaglia d'oro della resistenza, morto in circostanze misteriose sul Monte Casto, al centro della quale svetta la statua di Vittorio Emanuele II, primo Re d'Italia, ritratto in uniforme come al tempo della battaglia Risorgimentali. Il monumento di bronzo di Vittorio Emanuele II è posto sulla cima di un'alta colonna, alla cui base si trovano sulle sue facce, tre scudi, dedicate alle vittorie del Regno di Sardegna, precisamente Goito, Palestro e San Martino. Il Re pare guardare con fierezza la città, in compagnia di tre statue femminili, che rappresentano l'Italia in tre momenti del Risorgimento: l'Italia sconfitta nella Prima Guerra d'Indipendenza (1849), quella vittoriosa e battagliera della Seconda (1859), e quella padrona di Roma dopo la breccia di Porta Pia (1870).
Percorriamo le strade del centro di Vercelli, dove la vita scorre tranquilla silenziosa, quasi sonnacchiosa tra chiese, torri e antichi palazzi. Arriviamo in Piazza Cavour, ma sarebbe corretto chiamarla Piazza Camillo Benso, conte di Cavour. La Piazza è in ciottolato, circondata da antichi palazzi porticati. Tanti i locali di ristorazione con i loro dehor. Si capisce subito che questo è il cuore di Vercelli, "il salotto buono", dove i suoi abitanti amano incontrarsi.
Chiamata anche la "Piazza grande" era l'antico Forum è dominata dalla Torre dell'Angelo; un antica costruzione del XIV secolo che venne realizzata sgombrando una vasta area di case fatiscenti. La torre faceva parte integrante di un antico palazzo di qualche importante famiglia vercellese. La torre si erge su una base quadrata la quale, a sua volta, ha un corpo ottagonale tardo gotico, concluso dalle caditoie, finestre e merlature forse realizzate nel tardo XIX secolo. Certamente è di sicuro impatto estetico con la sua decorazione in cotto anche se un po' inquietante per la leggenda che la riguarda, secondo la quale chi di notte riesce a intravedere delle fiamme blu in cima alla torre, è destinato a morire entro pochi giorni. Le fiamme, non sarebbero che la manifestazione dell'angelo della morte, dal quale la torre si dice prenda il nome.
Ma da basso la Piazza è osservata dalla statua dedicata allo statista piemontese a cui è intitolata il foro. Già qui mi sovviene un fatto d'armi che voglio raccontarvi: durante l'occupazione austriaca di Vercelli nel 1859, nel corso della Seconda Guerra per l'indipendenza, il Conte Camillo Benso diede ordine di allagare i campi delle risaie, tanto da costringere gli occupanti a rinunciare all'avanzata ed a occupare il resto del territorio. Mi limito a percorre Corso Libertà o più semplicemente "il corso", come da sempre lo chiamano i vercellesi, divide Vercelli in due parti e ne è l'arteria principale, mentre Gian e le ragazze sono impegnati a incontrare alcuni loro conoscenti in Piazza Cavour.
Percorrendo Corso Libertà in tutta la sua lunghezza, possono vedere lo sviluppo dell'architettura urbana e coglierne i forti contrasti edilizi: infatti mi soffermo ad ammirare la cinquecentesca Casa dei Centori, realizzata nel XV secolo ed è considerata il più bel monumento laico del Rinascimento vercellese. Questa fu la dimora della famiglia patrizia dei Centori ed ha conservato uno straordinario cortile interno in stile bramantesco. La corte è rettangolare ed è circondata da colonne che sorreggono archi a tutto sesto, il loggiato sovrastante ha un doppio numero di colonne. L'apparato decorativo è espressione della cultura umanistica del tempo con teste di Imperatori e fregi con motivi mitologici.
Trovo assai interessanti anche altri edifici come Casa Larghi. Questo è un elegante palazzo ottocentesco costruito, nel 1835, dal famoso medico e chirurgo Bernardino Larghi, dal quale prende il nome. Il progetto originario prevedeva la realizzazione di un albergo, ed il palazzo ne rimase assoggettato fino alla metà del XIX secolo, quando divenne la Sede dell'Associazione Generale degli Operai. Con il XX secolo, Casa Larghi successivamente diventa ad uso residenziale e commerciale.
Casa Randaccio invece è un elegante palazzo di metà del XIX secolo, situato nel cosiddetto Rione Monrosa. Deve il suo nome al fatto che fu residenza del maggiore Giovanni Randaccio, medaglia d'oro al valor militare morto durante la Prima Guerra Mondiale, alla guida del battaglione che guidò oltre il fiume Timavo. L'architettura dell'edificio è tipicamente ottocentesco, caratterizzata da loggiati a colonne e statue sul frontone.
Invece la casa natale di Giovanni Antonio Ranza fa parte Rione Monferrato. Una targa posta sull'edificio ricorda l'insigne vercellese che fu sacerdote e professore di lettere, fu anche un simpatizzante della rivoluzione francese, tanto che organizzò, attorno al 1790, una rivolta proprio a Vercelli, senza riuscirvi. L'edificio originario è del secolo XVIII, è un classico edificio ad uso misto, casa e bottega, dove il piano terra era riservato ad attività commerciali e quelli superiori ad uso residenziale, connotazione mantenuta ancor oggi.
Il cosiddetto Quartiere del Cappel Rosso, detto anche dell'Antica Dogana, è un palazzo sempre di Corso Libertà, la cui prima edificazione risale al Quattrocento per volere, con ogni probabilità, di una famiglia nobile del vercellese. Diverse furono le famiglie nobili e dell'alta borghesia vercellese, che lo ebbero in proprietà, come i De Ast, Bulgaro, Avogadro di Casanova, Gromo di Ternengo e Buronzo d'Asigliano. In seguito, l'edificio nel XVII secolo fu adibito a quartiere militare e poi, nel XVIII secolo a dogana, destinazione da cui deriva ancora l'attuale nome e, nel XIX secolo, deposito di sale e tabacchi, "salèra" per i vercellesi. Un'iscrizione latina a fianco al portone di ingresso recita: Mercium fidelis custos, sembra appunto rimandare a quest'ultimo utilizzo.
Casa Badino, costruita nel 1874 è invece decorata da medaglioni in stucco raffiguranti italiani famosi. Certamente non passa inosservata Casa dei Minola di Stresa; l'edificio già presente nel XV secolo e ripetutamente modificato, fu acquistato nel 1841 dai fratelli Pietro, Pasquale e Francesco figli del fu Giorgio Minola, originari di Vedasco, frazione di Stresa, famiglia giunta a Vercelli intorno agli anni '30 del XIX secolo. La casa fu ricostruita nel 1879 dagli eredi dei Minola ed ristrutturata ancora nel 1995.
In Rione Monferrato fa ancora bella mostra di sé, anche se l'aspetto pare un po' dismesso, l'edificio dell'Antico Albergo della Corona Grossa; una costruzione del. XV secolo che subì negli anni successivi diverse modifiche. Nel suo cortile più interno si trova ancora un tratto di loggiato del XVI° secolo, a testimonianza dell'antichità dell'edificio. Per lunghissimi anni fu albergo, ma ormai ha cessato ogni attività ricettiva.
Poco distante, quasi dirimpettaio, in Rione Elvo, esiste l'antico edificio della Locanda della Posta che risale alla fine del XVI secolo. La tradizione popolare sostiene che nel 1751 vi sostò Carlo Goldoni con la propria compagnia teatrale. La locanda, nel Settecento era molto in voga e il suo nome è proprio dovuto alle scuderie per il cambio dei cavalli, annesse al locale. Nel 1846, soppressa la posta dei cavalli, rimase la locanda.
In una piazzetta Alciti, che si affaccia su Corso Libertà insiste Palazzo Avogadro della Motta e di Villanova, che necessita un bel restyling. Questo edificio settecentesco, di proprietà degli Avogadro della Motta, fu donato nel 1832 da Gabriella Calcamuggi, vedova di Benedetto Avogadro della Motta, all'Ospizio dei Poveri. Nel 1840, su progetto fu ristrutturato e nel 1928 il Comune acquistò tutto il fabbricato.
Molte di queste dimore borghesi e popolari del XVIII e XIX secolo hanno interessanti balconcini in ferro battuto. Adiacente al Corso, in Piazza dei Tizzoni vi è Palazzo e Torre dei Tizzoni del secolo XV, ma non si hanno notizie precise a riguardo. Si tratta di un edificio di stampo quattrocentesco, come testimoniano le finiture in cotto del palazzo. Lo stato attuale è il risultato di un importante intervento di restauro effettuato a fine XIX secolo, che comunque ha salvaguardato alcuni elementi caratteristici del complesso. All'interno del Palazzo vi sono conservati pregevoli affreschi molto raffinati, che alcuni attribuiscono all'opera di Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo o alla sua scuola. Ma sul Corso Libertà si affacciano anche tante chiese come l'antichissima Chiesa di San Giuliano situata sull'angolo fra Via Foa, nel cosiddetto Rione Elvo. Della chiesa originale e delle finiture non resta quasi nulla a causa di svariati interventi che si sono susseguiti nei secoli, ma di particolare pregio è il pavimento a mattonelle esagonali. Le pareti sono ricche di affreschi attribuiti a Girolamo Giovenone. La Chiesa ha per diverso tempo ospitato anche una tela con la "Deposizione" di Bernardino Lanino, ora spostata nei locali dell'Arcivescovado.
La Chiesa del SS Salvatore, sempre su Corso Libertà è uno degli edifici religiosi più antichi della città di Vercelli. Le prime notizie che attestano l'esistenza di questa piccola Chiesa risalgono addirittura al X secolo, con successivi interventi realizzati tra il XI e il XVIII secolo che hanno stravolto l'originario edificio, fino a definire una Chiesa dalla facciata Barocca. Al di sopra del portone di ingresso è presente un affresco del Salvatore con la scritta "Ego Sum Lux Mundi".
Invece l'antica casa parrocchiale di San Salvatore è un piccolo ed elegante edificio situato proprio in centro a Vercelli, all'imbocco di Corso Libertà, a fianco della Chiesa del SS Salvatore. l'impianto originario della casa risale al tardo XVIII secolo e, su di esso, sono stati effettuati numerosi e importanti interventi di restauro. Sulla sua facciata spiccano le eleganti cornici in granito alle porte, finestre e alle moderne vetrate del piano terra del balcone.
Invece la Chiesa di Santo Spirito, più nota, oggi, come Chiesa di San Giuseppe, anch'essa situata all'imbocco di Corso Libertà, provenendo da Piazza Pajetta, appena prima della Chiesa del SS Salvatore, è un piccolo edificio di culto sempre all'interno del Rione Monferrato.
L'edificio fu realizzato per volontà delle Cistercensi di Santo Spirito, da cui prese il nome originario, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo. I successivi interventi di restauro non hanno alterato il carattere originale della chiesa, che mantiene lo stile tipico dell'architettura barocca. La facciata presenta due massicce colonne laterali che elevano il corpo unico dell'edificio. Al centro, il portone di ingresso ha un'importante timpano semicircolare con al centro il simbolo della colomba della Trinità. Una grande finestra rettangolare sulla facciata ed un alto frontone con timpano triangolare elaborato ne conclude il prospetto. Nel 1802 venne ridotta a magazzino militare, uso che conservò fino alla caduta di Napoleone. Fu affidata dopo il 1830 alla confraternita della SS. Trinità.
Altra chiesa presente nel lungo Corso Libertà sono l'ex Chiesa di Santa Chiara, situata nel cosiddetto Rione Monferrato. Questa è un ottimo esempio di architettura Barocca che fu costruita fra il 1754 e il 1757 su progetto dell'architetto Bernardo Vittone. La sua facciata presenta elementi a forma circolare tipiche del Barocco, come la concavità dell'ingresso principale che lo rende dinamico con il suo movimentato sovraporta. La facciata dell'edificio presenta delle colonne, che pare elevare il secondo ordine della Chiesa verso il cielo. L'interno, ormai adibito a eventi espositivi e Auditorium, presenta una pianta esagonale, con una soprastante cupola.
Situato nelle immediate vicinanze della ex Chiesa di Santa Chiara, c'è l'Antico Chiostro di San Graziano di appartenenza della prevostura omonima. La struttura originaria risale al secolo XVI, ma vari interventi che si sono succeduti nei secoli, hanno modificato l'impianto pesantemente. Nonostante ciò questo piccolo chiostro a pianta rettangolare, per la quiete e il silenzio che offre, riporta alla sua antica vocazione. Nel Chiostro è presente una lapida che ricorda Fra Dolcino. Questo personaggio è così importante che anche Dante lo cita all'interno della sua opera, nel canto XXVIII della Divina Commedia. Dolcino da Novara, anche chiamato fra Dolcino, fu un predicatore, capo e fondatore del movimento dei dolciniani. Considerato eretico è dubbia la sua definizione di "frate", con cui spesso Dolcino viene definito, infatti non si è sicuri che egli abbia mai pronunciato voti religiosi, ma forse, si limitò ad autodefinirsi "fratello" nell'ambito del movimento ereticale. Costui, dotato di grande capacità comunicativa, sotto la sua guida, creò un nutrito numero di fedeli con il nome degli Apostolici. Ciò attirò le ire della Chiesa soprattutto per i contenuti della sua predicazione, apertamente ostile a Roma e al Papa. in quando si era allontanato dal principio di vivere in povertà. Contro di loro fu bandita una vera e propria crociata, proclamata da Raniero degli Avogadro Vescovo di Vercelli. I dolciniani resistettero a lungo, ma infine, provati dall'assedio e dalla mancanza di viveri, furono sconfitti, catturati e uccisi insieme al loro profeta che fu arso vivo, dopo esser stato sottoposto a processo e tortura il 1 giugno 1807 a Vercelli.
Invece la Chiesa di San Lorenzo, fra le più antiche della città, è già citata nel 1183; ha la facciata armoniosa ed elegante che rimanda all'architettura barocca dovuta a lavori di rifacimento eseguiti nel corso del XVIII secolo, nonché a una parziale ricostruzione e di restauro nel XIX secolo quando l'edificio fu sottoposto ai danni subiti durante la Seconda Guerra di Indipendenza. Interessante la lignea porta d'ingresso, opera locale d'intaglio della seconda metà del '700 che reca in alto la figura di S. Lorenzo. Bellissimo il suo interno a navata unica con marmi neri e policromi e finiture tipiche del Barocco e un pavimento realizzato con la tecnica del mosaico. Nel coro è presente il "Martirio di San Lorenzo" di Francesco Antonio Mayerle. Altre opere di un certo pregio come "Madonna in trono e santi" del 163 e una "Visitazione" del '600.
Rientro su Piazza Cavour, dopo il mio lungo passeggio su Corso Liberà, per ritrovarmi con i miei compagni di viaggio e andare a gustare un lauto pasto.
Non posso però esimermi di osservare con maggior attenzione anche i bei palazzi che si affacciano sulla Piazza a partire dall'edificio denominato Antico Albergo dei Tre Re, posto in Rione Monrosa, in via Ferraris adiacente alla Piazza. L'edificio ospitò uno dei più antichi alberghi cittadini, proprietà, già nel XVII secolo delle benedettine di Sant'Agata. L'edificio è stato restaurato e adibito ad usi privati.
L'albergo e l'attuale residence è dedicato a tre Re Magi che tra i primi fecero visita al bambino Gesù. La tradizione popolare vuole che le spoglie dei Re Magi siano passati anche da Vercelli. La leggenda incontra la storia nelle tradizioni popolari che vuole che le spogli dei re Magi, cedute dall'Imperatore di Costantinopoli Costante al Vescovo Eustorgio, riposassero da secoli a Milano. Quando nel 1164, però, la città meneghina, fu conquistata dall'esercito di Federico Barbarossa, fu privata proprio delle sue preziose reliquie. L'Imperatore, infatti, su consiglio dell'Arcivescovo di Colonia Rinaldo di Dassel, concede a quest'ultimo di esercitare il diritto di spoglio sulla città sconfitta e di portare nella cattedrale tedesca i Santi resti. Per evitare tumulti e rappresaglie, il viaggio delle spoglie dei Re Magi verso Colonia viene effettuato in gran segreto. La tradizione popolare vuole che le salme, poste in tre sarcofagi, vengano fatte passare per i corpi di tre parenti dell'Arcivescovo, morti di peste, che egli si sta premurando di riportare in patria. Il leggendario viaggio durò 13 giorni, dal 10 al 23 giugno 1164, e toccò ben 12 tappe tra Italia, Borgogna, Lorena e Alsazia. Lungo il tragitto furono edificate nuove chiese e abbazie dedicate al culto dei Re Magi, alle quali vennero donate porzioni di reliquie, oltre a intitolare, semplicemente, locande e ostelli il cui nome omaggiava in qualche modo i resti sacri: "Tre Re", "Tre Stelle", "Tre Corone". Può essere il racconto fantasticheria, ma sicuramente affascina.
Sulla Piazza un cartello ricorda che in quel luogo esisteva la Chiesa dedicata a San Tommaso. Edificio costruito nel. XII secolo e formato da una sola navata senza coro e di dimensioni ridotte. Sconsacrato e rimaneggiato profondamente nel 1824, fu trasformata e servì fino al 1865 come corpo di guardia, ancora rimaneggiata nel 1935 divenne sede di una banca. Ne rimane un antico campanile, a torretta con orologio. Su una sua facciata è posizionata una targa e una testa di Giovanni Antonio Bozzi detto il Sodoma. Costui nacque a Vercelli nel 1477 e fu uno dei maggiori pittori del Cinquecento. Le sue opere sono presenti nelle maggiori gallerie italiane tra Firenze, Roma e Siena, ma anche in moltissime chiese e monasteri del centro Italia.
Sempre sulla Piazza si affaccia Palazzo Vicario di Sant'Agabio, costruito nella seconda metà del XVIII secolo dai baroni Vicario di Sant'Agabio. Sulla facciata vi sono decorazioni in stucco ed un cartiglio barocco, probabilmente con lo stemma di famiglia, più in basso un bassorilievo che raffigura Quinto Vìbio Crispo, un vercellese famoso per le sue ricchezze. Costui nacque tra il 12-13 d.C. da una famiglia libera, ma di modeste condizioni economiche. Recatosi a Roma divenne consul suffectus al tempo dell'Imperatore Nerone e nel '68 d.C. fu nominato curator aquarum. Tra il 66 ed il 74 d.C. scoppiò la guerra in Giudea; durante il conflitto Nerone fu deposto e Quinto Vìbio Crispo cadde in disgrazia. Torno in auge sotto Vespasiano, dove ricoprì spesso il ruolo di mediatore tra l'Imperatore ed il Senato. Tra il 72 ed il 75 d.C., ricoprì l'incarico di Proconsole d'Africa, mentre tra il 75 ed il 77 d.C., Quinto Vibio Crispo fu nominato Legato dell'Imperatore per la riscossione delle imposte in tutta la Spagna.
Anche dopo morte di Vespasiano, il figlio Tito divenuto imperatore di Roma e a quest'ultimo succedutogli il fratello Domiziano, Vibio Crispo rimase fedele tanto che nell'83 d.C., ottenne il suo terzo consolato. Fu tra l'altro considerato e lodato da Quintiliano come un buon oratore.
Altri interessanti edifici sono le Case Arborio Biamino e Bonetti. La costruzione originaria risale al secolo XIV e si presenta oggi in ottimo stato di conservazione grazie a costanti interventi di restauro conservativo, esibisce archi in cotto e decorazioni, sempre in cotto che ornano gli archi del porticato a piano terra e corrono lungo la facciata fungendo da marcapiano; probabilmente sotto l'intonaco conserva ancora le antiche finestre.
Ritrovato Gian, che solingo s'aggira nella maestosa Piazza, centro vitale di Vercelli, in attesa del mio arrivo per il meritato pasto. Le nostre compagne di viaggio hanno scelto di proseguire il loro happy hour. Ci rechiamo pertanto alla "Trattoria Paolino che s'affaccia sotto i portici proprio in Piazza Cavour. Il locale è piccolino, pochi tavoli anni Cinquanta del secolo scorso, alle pareti siamo circondati da manifesti della stessa epoca, anche lampadari e l'oggettistica che ci circonda, quasi soffocandoci, è di pari età.
La cucina offerta è tipica piemontese: il menù è ricco, dal vitello tonnato con insalata russa, al cotechino ubriaco, ossia cotto nel vino servito disteso su un letto di purè di patate, non mancano gli agnolotti ai tre arrosti, ma il vero padrone di casa è il riso. Risotti con zafferano e castagne, con gorgonzola, con toma e nocciole, ma anche con le animelle o la classica panissa vercellese. I secondi che vediamo correre nei piatti sono il brasato di vitello al Ruchè, ma anche arrosti. Opto per un piatto di baccalà. La carta dei vini fa gola ad un enoteca, ma preferisco stare sui vini monferrini. Ormai il tramonto s'avvicina, i lampioni rendono più magica la Piazza e preferiamo ritirarci in albergo, domani con i Calessini dobbiamo continuare la nostra corsa tra le risaie vercellesi. Un altra tappa ci attende. Certamente l'arte a Vercelli è dappertutto, visitare la città è un piacere ed avrò l'occasione di "perdermi" prossimamente tra questi antichi palazzi, chiese e musei per stupirmi ancora..



Fine XXXIII parte.