Non a caso questa terra ha dato i natali a dei campioni del ciclismo su strada e su pista come Fausto Coppi e suo fratello Serse.
Raggiungo così, lontano dal Borgo, posta isolata su un altura e in compagnia del cimitero, la Chiesa di San Biagio. La Chiesa Parrocchiale fu edificata nel corso del Cinquecento nelle vicinanze di una precedente costruzione intitolata a San Marziano. Castellania era già sede di parrocchia dal 1432 e della primitiva Chiesa rimangono alcuni tratti della costruzione nella Chiesa Parrocchiale e nelle sue immediate vicinanze.
L'odierna Chiesa dedicata a San Biagio è sorta certamente sulle rovine di quella antica nel 1700. Non deve meravigliare che la parrocchia e gli Oratori siano stati ricchi di quadri e di suppellettili sacre: i Rampini che ne ebbero la signoria per lunghi anni erano protetti dai Visconti, e diedero un Vescovo alla Diocesi di Tortona.
Per raggiungerla ho dovuto percorrere una ancor più stretta stradina che s'inerpicava su per il colle, dove il bianco campanile svetta come un indice alzato al cielo. L'edificio è semplice, con una facciata a capanna, una sola porta d'accesso, protetta da un piccolo porticato, sopra al quale è posta una finestra rettangolare. Su un lato della chiesa il vecchio e nuovo cimitero raccoglie le spoglie di tanti castellanesi, mentre dall'altro, senza interruzione di continuità, un lungo edificio su due piani era sicuramente la casa parrocchiale.
La Chiesa è anticipata da un sagrato erboso e da un viale di alberi che l'accompagnano costeggiando il muro del camposanto. Naturalmente non è possibile accedere alla Chiesa perché è chiusa e raramente vi viene offiata la Santa Messa.
All'interno del vicino cimitero sono sepolti i genitori del Campionissimo Fausto Coppi e di suo fratello Serse. Avevo avuto modo di vedere le foto dei funerali di Fausto Coppi che fu sepolto inizialmente nel cimitero in terra, dove vi era pure il fratello Serse e rimasi colpito dalla quantità di persone che avesse partecipato alle esequie, raggiungendo un così lontano luogo dalle vie principali di comunicazione.
Proseguo la mia strada per raggiungere Castellania, questo piccolo borgo abbarbicato sulle colline della valle Ossona. Il comune è anche composto dalle frazioni di Sant'Andrea e Sant'Alosio e la sua storia è indissolubilmente legata proprio alle frazioni, in particolare alla più importante e forse la più antica quella di Sant'Alosio, fondata ben prima dell'anno Mille.
Dopo Sant'Alosio, all'inizio del nuovo millennio, secondo studi della Società Storica Pro Julia Derthona, nacque probabilmente il nucleo abitativo di Castellania, dalla fusione di due insediamenti: Baselica e Lungagnano, ormai non più distinguibili e di cui rimangono solo tracce in alcuni cognomi. Dovevano comunque essere due luoghi assai rilevanti per essere già attestati in documenti a partire dall'inizio del XIII secolo.
Lugagnano è tra le località confermate da Federico II di Svevia a Tortona nel 1220, invece di Baselica alcuni vogliono attestare la sua origine etimologia di epoca romana. Il territorio di Castellania apparteneva al feudo di Sant'Aloisio.
Un'altra località facente parte della zona era Mozzabella, oggi denominata Mossabella che doveva anch'essa essere assai importante visto che vi nacquero i notai Bergundio e i Bergondino; questultimo borgo si trova su un crinale, quasi dirimpetto al colle ove sorge la chiesa di San Biagio. Nel XIV secolo il borgo venne concesso in feudo dal vescovo di Tortona alla nobile famiglia milanese dei Rampini, che lo tennero fino alla cessione dei feudi. La diretta dipendenza dal vescovato fa si che nelle borgate di Castellania e sulle sue strade, anche campestri, vi siano diverse cappelle.
Il toponimo "Castellania", che compare nei documenti solo dopo il XV secolo, secondo alcuni deriverebbe dal termine "castello", ovviamente legato al luogo fortificato di Sant'Alosio, proprio dell'espressione latina (et) castellaniae, usato per indicare i territori appartenenti ad un determinato feudo, mentre per altri deriverebbe dal nome gentilizio del capitano Castellino che sposò l'ultima discendente dei Rampini, nobile famiglia tortonese feudataria del luogo. A parte le scorrerie delle varie truppe francesi, spagnole, tedesche, milanesi e sabaude che si contesero il territorio portando povertà e carestie e in molti casi anche pestilenze non si registrano avvenimenti di rilievo.
Sarà solo nel XX° secolo con le prodezze di Fausto e Serse Coppi che il borgo tornò agli onori della cronaca. Il Comune fu soppresso con Regio Decreto il 28 giugno 1928 ed aggregato a quello di Carezzano. Castellania ritornò autonomo nel 1947. Nel marzo 2019 con deliberazione del Consiglio regionale, il Comune di Castellania ha cambiato nome in Castellania Coppi in memoria del Campionissimo.
Parcheggio facilmente l'auto e inizio ad aggirarmi per il paese, in cui in tutte le vie del paese sono ben in evidenza suggestive gigantografie che ritraggono il grande campione del ciclismo nei momenti di sport e di vita privata. Murales, grandi foto, riproduzione di articoli sportivi, monumenti raffiguranti il campionissimo e addirittura una grande cabina elettrica tinteggiata di rosa, rendeno il paese un museo all'aperto ove è possibile incontrare la storia dell'Airone come veniva soprannominato il campionissimo. Infatti lo sviluppo urbanistico del borgo si è sviluppato intorno al mito di Fausto Coppi con il suo mausoleo, la chiesa, un centro di documentazione sul ciclismo, la casa Natale, la casa dei suoi parenti, trasformati in museo e locali di ristorazione ecc. La via principale del paese è stata intitolata a Fausto Coppi, come tutto il paese è diventato un percorso museale per tutte le vie del paese, con gigantografie da foto e opere d'arte legate alla storia del suo figlio più illustre.
Il paese è piccolo ed è facilissimo trovarsi davanti alla casa dei Coppi, oggi diventata casa-museo.
Questo edificio fu edificato nella seconda metà del XIX° secolo e venne acquistato da Domenico Coppi, padre di Fausto, subito dopo la prima guerra mondiale. La struttura originaria disponeva di nove camere, poste su tre piani, con annesso fabbricato rurale, stalla, cascina e cortile. A metà del XX° secolo, Fausto fece alcune modifiche alla casa, realizzando una camera con servizio igienico al piano terra per la comodità dell'anziana madre Angiolina. Sulla parete esterna della casa vi sono anche diverse lapidi che ricordano il campionissimo.
Davanti alla casa natale dei fratelli Fausto e Serse Coppi, posso così ripercorrere la storia del famoso ciclista considerato uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi. Fausto Coppi nasce a Castellania il 15 settembre 1919, è quarto dei cinque figli di Domenico Coppi e di Angiolina Boveri, gli altri sono, in ordine, Livio, Dina, Maria e Serse. I genitori, originari di Quarna Sotto, ora i provincia di Verbania, si trasferirono a Castellania a condurre alcuni appezzamenti di terreno. Fausto non particolarmente brillante nello studio, affiancò ben presto il padre nei lavori della campagna per poi andare a fare il garzone di bottega a Novi Ligure, dove faceva le consegne in bicicletta. Con i soldi regalatigli dallo zio Fausto, a quindici anni riusci a comprarsi una bicicletta Maino e potè cominciare a partecipare alle prime corse non ufficiali. Fu Biagio Cavanna, un famoso massaggiatore di Costante Girardengo e di Learco Guerra, che lo scoprì e lo fece ammettere alla sua scuola di giovani corridori da poco aperta a Pozzolo Formigaro. Cavanna, che diventò cieco nel 1938, sarà per molti anni, suo massaggiatore nonché fedele consigliere. Nel frattempo lasciato l'impiego di garzone alla salumeria a Novi Ligure, iniziò e lavorare come macellaio per dei contadini della zona, riuscendo a così a comprarsi una nuova bicicletta; la prima realizzatagli su misura da un ciclista di Asti. Fu proprio con questa nuova bici che ha la sua prima vittoria nel luglio del 1938, da dilettante, con i colori della squadra del Dopolavoro Aziendale Montecatini di Spinetta Marengo, sul circuito di Castelletto d'Orba. Da questo momento sara solo un escalation di palmarès. Considerato il maggiore talento del ciclismo italiano, già a vent'anni, nel 1939, vinse diverse gare in tutta la penisola italiana. Oltre alle vittorie non è possibile dimenticare l'acerrima rivalità con Gino Bartali. Infatti è il 1940, Fausto Coppi è ancora uno sconosciuto nel mondo del ciclismo da corsa ed inizia a correre come gregario proprio nella squadra di Bartali che è gia un campione affermato. Bartali è dato per vincente ed invece Coppi ribaltò i pronostici e vinse il Giro d'Italia davanti ad un Bartali furioso. Il giornalista Cesare Facetti di quel Tour scrisse relativamente alla tappa del 29 maggio 1940, Firenze-Modena, già quando in Italia cui si percepivano i sentori della guerra: "un ragazzo segaligno, magro come un osso di prosciutto di montagna" che vince la tappa Firenze-Modena attraversando l'Appennino sotto il diluvio: Fausto Coppi". Coppi porterà la maglia rosa fino alla fine, vincendo il primo dei suoi cinque Giri d'Italia. Una rivalità quella con Bartali che cominciò così e che negli anni dividerà l'Italia in due fans club. Orio Vergari, giornalista del Corriere della Sera scrivera sempre sul Giro d'Italia 1940: "Avevo visto Binda, Girardengo, Verwaecke, Bartali, tutti campioni da leggenda. Ma sulle salite dell'Abetone e del Barigazzo ho visto qualcosa di nuovo: aquila, rondine, non saprei cosa dire, che sotto alla frusta della pioggia e il tamburello della grandine, le mani alte e leggere sul manubrio, le ginocchia che giravano implacabili, le gambe che bilanciavano nelle curve come ignorando la fatica, volava. Volava, letteralmente volava su per quelle dure scale dei monti. Coppi passava tra il silenzio della folla, che non sapeva chi fosse, applaudivano, solamente applaudivano". Ancora "con la prerogativa di essere il vincitore di una corsa che ebbe il potere di far ritardare di cinque giorni la dichiarazione di guerra. Perché è storicamente provato che la guerra doveva essere dichiarata il 5 giugno; fu dichiarata appunto il 10 per permettere la conclusione del Giro".
Tra gli altri successi del "Campionissimo", il record dell'ora, stabilito nel 1942 al velodromo Vigorelli di Milano. Inoltre vinse due titoli mondiali dell'inseguimento, fu cinque volte campione italiano, trionfò nelle più prestigiose gare "classiche", oltre al Giro d'Italia, il Tour de France, Milano – Sanremo, Tre Valli Varesine, campionati del mondo e Parigi-Roubaix. Il mito di Coppi, un ragazzo di campagna che vince tutto su tutti diventa presto un modello di ispirazione per tanti giovani, aiutati anche dalle incredibili storie raccontate sui giornali e nelle radiocronache dove l'Airone diventa presto protagonista incontrastato. Basti ricordare la celebre frase del radiocronista Mario Ferretti "Un uomo solo è al comando della corsa, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi". Frase detta durante la 17ª tappa del 32° Giro d'Italia Cuneo-Pinerolo del 10 giugno 1949, considerata difficilissima e che è riportata su un lungo murales lungo la strada d'accesso al borgo di Castellania.
Tra i giornalisti al seguito del Giro c'era anche lo scrittore Dino Buzzati. Nel suo resoconto del giorno successivo "La vittoria si pose al fianco di Coppi fino dal primo istante del duello. In chi lo vide non ci fu più dubbio. Il suo passo su quelle salite maledette aveva una potenza irresistibile. Chi lo avrebbe fermato? Ogni tanto per alleviare il tormento del sellino si sollevava sui pedali e pareva, tanto era leggero, che volesse distendere le membra per eccesso di vitalità, come fa l'atleta al destarsi da un lungo sonno. Si vedevano i muscoli, sotto la pelle, simili a serpenti straordinariamente giovani, che dovessero uscire dall'involucro". Ed a me piace ricordarne un'altra citazione, meno famosa ma forse ancora più evocativa: l'occasione è la Milano-Sanremo del 1946, Nicolò Carosio il radiocronista, "voce del calcio" prestato al ciclismo quel giorno così commentava "Primo Fausto Coppi… e in attesa degli altri concorrenti trasmettiamo musica da ballo". Fausto Coppi arriva al traguardo con 14 minuti di vantaggio sul secondo ed il commento di Carosio alla radio è emblematico.
A rendere maggiormente interessante la figura del Campionissimo contribuirono senza dubbio oltre la storica rivalità con Bartali anche la storia d'amore con la "Dama Bianca", che infiammò le cronache dell'epoca. Fausto Coppi si era sposato il 22 novembre 1945 con Bruna Ciampolini e da questa unione nacque la figlia Marina l'11 novembre 1947, ma poi nel 1953 conobbe Giulia Occhini anch'essa gia sposata con il Dott. Enrico Locatelli, colei che per la stampa diventerà ben presto "la dama bianca" e per lei Fausto lascia la famiglia. Per l'Italia degli anni Cinquanta, ancora legata a vecchi schemi, è un fatto inaudito e di portata eccezionale soprattutto perchè vede protagonista una celebrità. Il Campionissimo riempirà pagine intere di rotocalchi e di giornali, ma non più per le imprese sportive ma per problemi sentimentali. La loro relazione venne fortemente avversata da una parte dell'opinione pubblica e persino papa Pio XII giunse a condannarla. Coppi e la moglie Bruna Ciampolini si separarono consensualmente, mentre Enrico Locatelli denunciò la moglie per adulterio. Nella notte tra il 25 e il 26 luglio 1954 i carabinieri, accompagnati da Locatelli, fecero irruzione a villa Carla, ma non riuscirono a cogliere la flagranza di reato, come ricorda il giornalista Claudio Gregori in La Dama Bianca - Enciclopedia dello Sport. Il 9 settembre Giulia Occhini fu arrestata per adulterio, portata inizialmente nel carcere di Alessandria e rilasciata con foglio di via e costretta a recarsi in domicilio coatto ad Ancona, a casa di una zia, con obbligo di firma in questura. A Fausto Coppi sarà invece ritirato il passaporto.
Il processo del marzo del 1955 si concluse con la condanna di Coppi e Giulia Occhini per abbandono del tetto coniugale. Entrambi usufruirono comunque della sospensione condizionale della pena. Fausto Coppi e Giulia Occhini dovettero espatriare, prima in Messico per sposarsi e poi in Argentina per dare alla luce il loro figlio Angelo Fausto detto Faustino in modo che potesse prendere il cognome del padre. Quando nacque Angelo Fausto (per tutti Faustino) per la legge italiana prese il cognome Locatelli, per quella argentina Coppi. Solo nel 1978 quando Coppi non c'era più, gli fu riconosciuto anche in Italia il cognome del padre.
Anche la morte del campionissimo sarà travagliata. Fausto Coppi con altri amici ciclisti fra cui Raphael Géminiani si recò in Africa nell'attuale Burkina Faso per partecipare ad una corsa e poi ad una battuta di caccia. Tornati a casa sia Coppi che Géminiani cadono gravemente ammalati ma al corridore francese viene correttamente diagnosticata la malaria mentre a Coppi i medici diagnosticano una forte influenza e per tale patologia lo curano. A causa della diagnosi sbagliata e di conseguenza anche le cure, Fausto Coppi muore a Tortona il 2 Gennaio 1960 soli 40 anni. L'ultimo saluto, forse quello che più di tutti resta ancora impresso nella memoria, lo scrisse Orio Vergani sulle pagine della Gazzetta dello Sport: "Il grande airone ha chiuso le ali. Quante volte Fausto Coppi evocò in noi l'immagine di un grande airone lanciato in volo con il battere delle lunghe ali a sfiorare valli e monti, spiaggi e nevai? Fortissimo e fragile al tempo stesso, qualche volta la stanchezza e la sfortuna lo abbattevano e lo facevano crollare a terra, sul ciglio di una strada o sull'erba del prato di un velodromo: la sua figura sembrava spezzarsi in una strana geometria; come quella di un pantografo, e una volta di più suscitava l'immagine di un airone ferito...".
Dopo essermi aggirato un po' per le strette strade del paese raggiungo Piazza Candido Cannavò, intitolata al noto giornalista sportivo nato a Catania il 29 novembre 1930 che si occupò di Mondiali di calcio, ben 9 Olimpiadi e moltissimi Giri d'Italia come inviato della Gazzetta dello Sport. Costui morirà a Milano per emorragia celebrale il 22 febbraio 2009. Nel gennaio 2010 il comune di Castellania in occasione del 50º anniversario della morte di Fausto Coppi, volle dedicarle una piazza. Nel 1997 dalle colonne del giornale La Gazzetta dello Sport, nasceva il premio "Bici d'Oro", per celebrare ogni anno il campione che, con le sue gesta, ricordasse le imprese del Grande Airone. Scriveva, nel marzo 1997, Candido Cannavò: "Se un giorno qualsiasi, di un anno qualsiasi, lontano da ricorrenze e commemorazioni, decidessimo di chiedere agli italiani "qual è stato il più grande nostro campione di questo secolo?", la risposta sarebbe sempre la stessa: Fausto Coppi. Non è un'intuizione, ma una esperienza che abbiamo già fatto.Tutti i referendum, tutte le graduatorie degli ultimi trent'anni, portano allo stesso intramontabile nome. La polvere del tempo diventa borotalco: non copre i ricordi, ma serve a custodire il patrimonio della memoria. Coppi fu un'umanissima contraddizione vivente, tra mito e debolezze, tra implacabili azioni di comando, amori, lacrime, trionfi e felicità fuggenti. Il rosa della "Gazzetta" è impastato con i ricordi di Coppi. Essi sgorgano di tanto in tanto dalle pagine non come rimembranze lontane, ma cronache vive. Il mondo di Coppi è anche il nostro. Gli uomini di Coppi, quelli che gli vissero accanto, sono nostri amici fraterni. I luoghi di Coppi, dove cominciò e fiorì la sua leggenda, ci appartengono in senso spirituale. Da qui, da questa familiarità struggente, nasce il premio dedicato a Fausto, il più grande campione di questo secolo. "La Gazzetta" battezza e sposa l'iniziativa, la proietta in Italia e nel mondo, la consegna ai nostalgici e ai giovani che vogliono sapere. Di premi, lo sapete, ce ne sono tanti, ma questo è diverso: noi vogliamo farne il più importante riconoscimento annuale del ciclismo, chiamando in causa per la votazione tutti i Paesi dove questo sport ha una cittadinanza importante. Mi pare bellissimo, infine, che questo premio intitolato a Coppi trovi i suoi primi fautori e la sua casa in quella parte d'Italia, a cavallo fra Lombardia, Piemonte e Liguria, dove Fausto scoprì di essere nato per la bicicletta. Dinanzi ai nomi romantici di Castellania, Novi Ligure, Tortona, la Gazzetta s'inchina. Da lì parte Coppi, da lì parte il premio. Buon viaggio, Campionissimo". Sulla piazza si erge oltre il palazzo Municipale anche un complesso, nato per onorare la memoria di Fausto Coppi e del fratello Serse, voluto nel 1970 da un apposito Comitato facente capo alla "Pro Julia Dertona". Con le offerte pervenute da sportivi di tutt'Italia, da molte istituzioni e su disegno dell'architetto Tito Gatti, fu realizzato il Monumento-sacrario dedicato a Fausto e Serse Coppi, comprendente le tombe dei 2 fratelli con un pregevole busto in bronzo dello scultore Todeschini ed una moderna chiesa che per comodità degli abitanti è utilizzata normalmente dagli abitanti perche la vecchia parrocchia è troppo lontana dal centro abitato. Sempre nei pressi del Municipio si apre una piazza dedicata a Serse Coppi, fratello del più celebre Fausto. Serse Coppi nacque a Castellania, 19 marzo 1923, fu anch'esso un ciclista e campione su strada italiano,vincitore di una Parigi-Roubaix ex aequo con André Mahé, morì per i postumi di una caduta al Giro del Piemonte a Torino, 29 giugno 1951. Infatti durante lo sprint finale infilò con la ruota un binario del tram, in Corso Casale a Torino, cadde e picchiò la testa a terra, a poche centinaia di metri dall'arrivo al Motovelodromo. Fu uno dei migliori gregari nelle corse di suo fratello Fausto. In questa piazza si erge la statua in bronzo del campionissimo Fausto Coppi. Questa statua in bronzo venne realizzata dall'artista toscano Volterrano Volterrani nel 1958, in occasione delle Olimpiadi di Roma che si sarebbe svolte due anni dopo e venne esposta davanti al velodromo dell'EUR.
Spostata nei magazzini del Coni fù per lungo tempo dimenticata e solo grazie all'associazione "Fausto e Serse Coppi" e anche all'appoggio del Presidente del CONI, Francesco Malagò, senza non poche difficoltà, si riuscì a trasferire la statua a Castellania, dove fù inaugurata nel settembre del 2015. Vado a riprendere l'auto per dirigermi verso la frazione Sant'Andrea. La strada e tortuosa e scende attraverso uno stretto percorso, spesso invaso dalle fronde degli alberi, per poi risalire leggermente. Il borgo conserva antiche case e cascine, spesso abbandonate, ma la chiesetta, ossia l'oratorio dedicato a Sant'Andrea è assai ben conservato. L'edificio, di minute dimensione è a capanna, con un ancor più piccolo sagrato ma abbellto da diversi fiori. Risalgo verso Castellania per dirigermi, questa volta, alla frazione di Sant'Alosio. Qui vi sono case ben restaurate e giardini curati. La strada che mi conduce è in ottime condizioni benchè stretta e con diverse curve. Lascio l'auto in una piazzetta, ove da un lato si vede uno splendido panorama e sull'altro, posta in rilevato si erge la chiesetta od oratorio di San Bernardo. Questa chiesetta, recentemente restaurata, ha il tetto a capanna, è interamente intonacata e presenta un campanile a vela, una sola porta d'accesso con due finestre quadrate ai propri lati. Una lapide in marmo, ormai illeggibile è posta sulla facciata.
Inizio, lentamente ad inerpicarmi a piedi, su per il colle. Nell'ultimo tratto del percorso, la strada diventa selciata con pietre tondeggianti. In cima al colle mi attendono le Torri di sant'Alosio, che facevano parte del castello dei Rampini. Dell'antico maniero rimangono ben visibili due torri a pianta quadrata, originariamente alte più di 20 metri e munite di bertesche, con tratti dell'antica cinta muraria. In origine le due torri in sassi e muratura dovevano essere circondate da un incastellamento costruito in legno e in parte in muratura e massi rocciosi. Da questa posizione elevata si poteva controllare da un lato le valli Ossona e Grue e dall'altra quelle dei rii San Biagio e Castellania, oltrechè essere in collegamento visivo con altri incastellamenti, tra i quali quelli di di Bavantore e Sorli.
Antichi documenti ricordano che gli abitanti del luogo, erano tenuti a far la guardia giorno e notte al castello, a tener puliti i fossati e a prestare opere di manutazione al maniero. L'incastellamento dell'area è sicuramemente antecedente all'anno 1000, addirittura il Salice, come ricorda Monsignor Clelio Goggi nel libro Storia dei Comune e delle parrocchie della diocesi di Tortona, attestava che nel 499 vi esistesse già "castrum sancti Aloisji". Mi risulta difficile l'identificazione dell''agiotoponimo di Alosio e ancor più l'affermazione che sia una dedicazione a San Luigi, proprio perché in quell'epoca non poteva esistere un San Luigi. Comunque è certo che già nel IX secolo fosse esistente un castello. Sant'Alosio un tempo, sicuramente nel 1311 era comune autonomo e sempre nello stesso secolo, i suoi abitanti furono coinvolti nella lotta tra guelfi e ghibellini. Il castello con il feudo comprendente Sant'Agata, Podigliano, Malvino, Cuquello, i due Carezzano e per qualche tempo anche Avolasca, furono infeudati dal Vescovo di Tortona, già nella seconda metà del XIV secolo alla famiglia milanese dei Rampini. Anche i Visconti, subentrati nei domini riaffidarono il feudo al controllo dei Rampini. Famiglia che continuò a gestire il feudo fino alla cessazione dell'istituto della feudalità. I Rampini, seguaci della parte Ghibellina, furono parte attiva degli scontri tanto che nel 1359 rimane ucciso Manfredino Rampini. Ancora nel 1590, il pretore di Tortona condanna al taglio della testa Urbano Rampini, perché coinvolto con una masnada di armigeri all'assalto della cascina dei fratelli Rodi di Stazzano. Lo stesso Re Filippo, considerando i servigi resi alla casa di Spagna amnistia Umberto Rampini. In questa famiglia e castello nacquero anche personalità di spicco come Enrico Rampini, conosciuto anche con il nome di Enrico Rampini di Sant'Aloisio, nato a 1390 circa e morto a Roma il 4 luglio 1450. Costui fu Vescovo di Tortona, di Pavia e di Milano, infine fu nominato Cardinale a Roma ed è considerato un valente giureconsulto. Sant'Alosio diede i natali pure a Marziano Rampini di Tortona, che fu precettore e consigliere di Filippo Maria Visconti, presso la corte di Pavia. Costui oltre aver frequentato le Università di Pavia, Padova, Bologna e Firenze, ebbe anche incarichi alla corte pontificia. Personaggio poliedrico aveva tra l'altro ideato degli artistici mazzi di carta (i tarocchi lombardi). Rampini Marziano morirà nel 1425 circa.
Posso ormai rientrare verso casa, lascio soddisfatto un piccolo borgo, carco di storia antica e recente. Il Piemonte continua ad essere una continua scoperta di storie, suggestioni e memorie.