La strada è assai lunga anche se non particolarmente disagevole. Raggiungo così Candia Canavese che il sole già alto e scalda abbondantemente la giornata.
L'epoca di fondazione di Candia è romana, anche se preesistevano sulle sponde del suo lago insediamenti palafittici. Conferme dell'origine romana del luogo non deriverebbe solo dal toponimo, ma anche da alcuni reperti archeologici rinvenuti sul suo territorio.
In periodo Medioevale Candia fu al centro di aspre lotte, soprattutto durante i secoli XIII e XIV, quando il Vescovo Conte di Ivrea, il Marchese di Monferrato ed il Principe d'Acaia si contesero il controllo di questo lembo di terra canavese. Nella seconda metà del XIII secolo, Guglielmo VII del Monferrato cercò di sottomettere il Canavese, il Vescovo lo scomunicò insieme e ai suoi alleati che erano i signori di Candia e Castiglione. Qui i Marchesi del Monferrato vi consolidarono la loro Signoria durata fino alla pace di Cherasco del 1631 dove subentrarono i Savoia. Ciò non tolse che dal ‘XIV al XVIII secolo il Borgo di Candia subì continui assedi e distruzioni del territorio.
Dalla strada provinciale n 26 della Valle d'Aosta, posso ammirare, posta su un verdeggiante colle, la Torre di Castiglione, risalente al XI secolo. Essendo di proprietà privata mi è possibile ammirarla solo da lontano. Questa torre è tutto ciò che resta dell'omonimo castello che sovrastava il Paese e che dominava il Borgo di Castiglione, poi fusosi con Candia. Si pensa che la prima costruzione del castello sia datata nel X-XI secolo, forse anche antecedente. L'antica torre che domina l'abitato e il suo lago sono rappresentati nello stemma ufficiale del Comune di Candia.
Mi inerpico, in auto, fin da subito su per una stretta strada, dapprima asfaltata poi di campagna, benché ben rullata. Intorno a me una vegetazione lussureggiante che ti invita a fare una passeggiata a piedi, cosa che faccio ben volentieri, una volta parcheggiato l'auto.
Raggiungo così la cima del colle dove mi si apre una bella sorpresa con la magnifica Chiesa di Santo Stefano del Monte, immersa nel verde. Questa chiesa, costruita nell' XI-XII secolo su antichi luoghi di culto preesistenti, sorge isolata, sulla collina che sovrasta l'abitato del Paese, in una posizione panoramica dalla quale posso ammirare il lago di Candia incorniciato dalla cerchia alpina.
Le prime notizie documentali sulla chiesa risalgono al 1177, in virtù di una bolla redatta in occasione del passaggio della chiesa e dell'annesso priorato in proprietà ai canonici dell'Ospizio dei Santi Nicolao e Bernardo di Monte Giove, ossia il Gran San Bernardo.
La data di fondazione è probabilmente ancora precedente al XI secolo, infatti si ipotizza che sulla collina vi fossero costruiti degli edifici paleocristiani, forse romani almeno per alcuni reperti presenti nella facciata. Sulla facciata si appoggiava, ormai scomparsa, una torre campanaria, posta lateralmente all'ingresso. L'edificio ha una facciata a salienti, presenta una sola porta d'accesso e non ha finestrature ed è realizzata in mattoni e ciottoli di fiume. Lungo i fianchi, sotto la gronda del tetto della chiesa, corre una decorazione ad archetti pensili. Mentre nella parte posteriore, un'abside romanica chiude la navata centrale.
L'interno mi si presenta con tre navate rispondenti ai canoni classici dell'architettura romanica. Le tre navate sono divise tra loro da archi sostenuti da robusti pilastri quadrangolare. Il presbiterio è sopraelevato per mezzo di una scala in pietra con diversi scalini.
Degna di nota è la cripta sottostante l'abside che venne realizzata sempre in epoca medievale, nella sua costruzione furono impiegati materiali di reimpiego come colonne e capitelli in pietra risalenti al VI e VII secolo. Infatti la cripta della chiesa è sorretta da esili colonne in pietra con bei capitelli.
Se la Chiesa, sin dall'origine, è intitolata a Santo Stefano, la cripta venne dedicata alla Madonna.
La cripta ha ospitato dai primi decenni del XV secolo sino al 1970 una statua in marmo dipinto raffigurante la Madonna col Bambino, che dopo un accurato restauro fu trasferita nella Chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo e viene oggi esposta solo in speciali occasioni.
Un tempo, nella chiesa di Santo Stefano vi era un diffuso apparato decorativo, tra cui una seicentesca danza macabra, ormai quasi completamente illeggibile, come si apprende dalla relazione della visita pastorale del Monsignor Ottavio Asinari del 1651. Rimane in una cappelletta molto stretta, un affresco rappresentante una sorta di "danza sacra" di beati attorno a Dio. Una leggende vuole che il Borgo di Candia sia stato partorito da una pietra dal nome di "Pietra Leona", ossia un masso con una fenditura, che era considerato sacro e dispensatore di fecondità, e che si troverebbe nei pressi della Chiesa di Santo Stefano, ma non sono stato in grado di trovarlo.
Disceso verso il centro del Borgo, mi soffermo a guardare da fuori la Chiesa della Santissima Trinità posta lungo via Ivrea. La chiesa ha una facciata conservata benissimo, presenta una bella facciata intonaca e tinta in tenui colori pastello. Il sagrato, recenteme rifatto con lastre di pietra, anticipa l'unica porta d'accesso con due finestre laterali rettangolari. Sopra ad un marcapiano un bell'oculo permette la luce d'accedere al suo interno. La chiesa con tetto a capanna ha un frontone semicircolare.
Sempre in auto raggiungo la Chiesa di Santa Margherita del XVIII, secolo posta nella vicina frazione di Cascine Santa Margherita. In questo luogo di pace e tranquillità, dove l'operosità dei contadini è dimostrata dall'intenso lavoro nei campi, si erge una piccola chiesetta, ad aula unica e tetto a capanna. Presenta una semplice facciata divisa in due ordini da un marcapiano leggermente aggettante. Nella parte inferiore l'unica porta d'accesso accompagnata da due finestre ai lati e nella parte superiore una finestra rotonda. Un frontone semicircolare completa la facciata.
Lascio la frazione per tornare in paese, lasciando correre sulle loro biciclette i bambini che sulla minuta piazzetta giocano.
Raggiungo così, dopo aver parcheggiato sulla Piazza di Via Roma, la Chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo. Anche questo edificio è di origine antichissima, certamente una Chiesa Romanica ed inoltre è stato portato alla luce un manufatto circolare identificato come il fondo del fonte battesimale del VI secolo. Sicuramente la Chiesa è di origine tardo-romana, infatti fu edificata in onore del Santo Patrono dei Longobardi. La chiesa ha un tetto a salienti e la facciata è interamente intonacata. Questa è tripartita da leggere lesene, terminanti con pinnacoli sul tetto. Una ampia scalinata d'accesso conduce all'unica porta d'accesso, affiancata da due finestre in corrispondenza delle navate laterali. Sopra ad un marcapiano, nella parte centrale un ampia cornice tonda che un tempo doveva contenere un affresco, un frontone triangolare conclute la sommità della facciata. All'interno a tre navate si presenta scenografico l'altare maggiore Barocco con un'icona settecentesca raffigurante San Michele, e una tela di Andrea Ponchia con la Madonna e Santo Stefano. Interessante il campanile, realizzato in pietra e laterizio in stile romanico a cui fu aggiunto l'orologio.
Nei sui pressi si eleva l'Oratorio dell'Immacolata, un semplice edificio in stile Barocco che necessita un urgente restauro. Questo piccolo edificio con facciata a capanna e frontone triangolare accompagnato da due pigne ai lati, presenta una facciata divisa in due ordini, con una copia di lesene ai lati dell'unica porta d'accesso. Sul secondo ordine una ampia finestra rettangolare. Un vero peccato vedere questo edificio religioso necessitare maggiore attenzione.
Il passato è presente anche nelle vecchie case, semplici e severe abitazioni dell'antico Borgo; su molte di esse sono raffiguratati affreschi con temi sacri, altri "murales" invece animano con vari richiami la vita e i mestieri del Borgo e del suo lago.
Colgo l'occasione per ricordare Domenico Simonetti natovi il 17 gennaio 1893 e morto nel 1950, fu un pittore rinomato; frequentò l'Accademia di Belle Arti di Torino, come allievo di Giacomo Grosso. Espose nelle principali mostre piemontesi, ma anche a Milano, Firenze e Roma. Noto per le sue nature morte, ma anche per importanti ritratti. I suoi paesaggi invece ritraggono per lo più il lago di Candia e la catena alpina del Monte Bianco.
Sono poche le persone a passeggio sulle strade del piccolo Borgo, generalmente uomini anziani che si riuniscono in piccoli crocchi davanti ai bar. Sono incuriosito da una lapide affissa sulla parete di un abitazione di Via Ivrea, che ricorda come Raffaele Vitale s'impegnò a favore de locale sviluppo della piccola proprietà agricola; lapide posta il 16 ottobre 1910.
Raggiungo così, vagando per le strette ma pulite strade del Borgo, il castello. Questo castello, protetto da alte mura èd immerso tra le abitazioni del borgo, fu ricostruito e rimaneggiato nei secoli. Quello che io posso vedere, a fatica, si tratta di una ricostruzione ottocentesca dell'antico maniero con merlatura ghibellina, avente struttura simile all'antica e originale Torre di Castiglione, ancora in mattone a vista, altra parte è invece intonacata nelle residenziali zone più nobili.
Dell'antico castello rimangono i resti di mura medievali ancora osservabili nelle case adiacenti. Forse è rifacendosi a questi restauri che il complesso venne chiamato Castelfiorito.
Nel mio vagare per queste strette stradine incorniciate da case padronali e dalle mura delle grandi cascine, raggiungo la Chiesa di San Pietro in Via Stazione angolo Via del Lago; attualmente coperta da impalcature forse in fase di restauro. Il piccolo edificio, con tetto a capanna, presenta una sola porta d'accesso accompagnata da due finestre. Sulla porta d'accesso vi è un piccolo oculo. La porta ha un piccolo ma aggraziato portale con lesene che sorregge un altrettanto piccolo frontone. Mentre il tetto presenta un frontone spezzato nella parte lunga con all'interno la scritta Sancto Petro. Tornato verso Via Ivrea mi soffermo in Piazza VII Martiri, dove su un bel palazzo con tanto di loggiato è collocata una lapide che ricorda il sacrificio di sette persone qui fucilate per mano nazifascista il 22 novembre 1944 e il 17 febbraio del 1945.
Ormai sono in Via Roma ove si erge il Municipio. Il Palazzo Comunale è un edificio del XVII secolo. Si presenta come un bell'edificio ottimamente conservato con un interessante portale d'accesso; conserva altresì l'antica ghiacciaia del XVIII secolo. All'interno del Palazzo Municipale è conservato un interessante affresco raffigurante la Natività opera di chiara scuola spanzottiana del XVI secolo.
Documenti antichi del XV secolo raccontano che le adunanze della Credenza di Candia, ossia il Consiglio comunale attuale, si svolgessero nella Chiesa di San Michele.
Raggiungo così, prima di riprendere l'auto il bel monumento ai caduti delle guerre mondiali di Candia Canavese. È un interessante monumento dello scultore Gioacchino Chiesa di Bra, dove un soldato realizzato in bronzo è riverso supino a terra, su lastre di pietra con le braccia aperte.
Anche Candia ha i suoi personaggi che sono vissuti tra leggenda e realtà come la storia di Pietro Mottino, nato a Candia il 9 maggio del 1827, e soprannominato "il Bersagliere". Costui, descritto come il bandito dai bei lineamenti e dai modi gentili, rubava ai ricchi per aiutare i poveri. Un Robin Hood canavese che morì impiccato a Torino il 12 dicembre 1854. Prestò servizio militare come bersagliere e partecipò alla disfatta di Novara del 1849 e alla repressione fratricida di Genova insorta. Divenuto disertore nel giugno 1849, di cui non si conosce i reali motivi se perché durante la repressione di Genova insorta aveva rubato in case e negozi e quindi temeva la fucilazione o, come da lui affermato al processo, per una rivalità amorosa col suo capitano. Divenne così Capo di una banda di malandrini che operava nel basso Canavese con furti soprattutto a benestanti, dove qualche volta ci scappò anche il morto.
Ben presto i carabinieri di Chivasso, catturarono buona parte dei sui uomini ma "il Bersagliere" riuscì per lungo tempo a sfuggire alla cattura. Conoscendo bene le zone tra Canavese, Vercellese e Monferrato, e dove contava molte complicità, soprattutto femminili riuscì a lungo a essere ricercato dai Carabinieri. Infatti era un bel aitante giovanotto, distinto ed affascinante e i suoi nascondigli erano fattorie e osterie compiacenti, a Cavagnolo, a Cereseto, a Cerrina, ma soprattutto a Borgo Revel di Verolengo. Più volte comunque fu segnalato dagli Osti indispettiti e ingelositi dal "bersagliere" che senza remore amoreggiava con figlie e mogli di quelli che lo nascondevano, ma sfuggendo sempre all'arresto.
Fu catturato a Calliano, il 7 aprile 1852 dove si rifugiò dopo una caduta in cui si era rotto una gamba e dove anche qui fu tradito dagli osti che lo nascondevano. Confessò anche reati non propriamente suoi per scagionare altri innocenti arrestati come suoi complici. Confessò inoltre una lunga serie di reati, come i leggendari assalti alle vetture postali, o i furti in case e cascine.
Il luogo preferito per l'assalto alle vetture postali era Verolengo, dove nella notte, tendeva una fune attraverso la strada per far inciampare i cavalli, nel frattempo venivano fracassati i fanali ed infilato un palo nei raggi delle ruote per bloccarne la fuga. Anche se nelle casseforti della carrozza postale vi erano grosse somme di denaro il "bersagliere" in alcuni casi, si limitò a prelevare questi valori, risparmiando i viaggiatori. Ai derubati il Mottino si rivolgeva sempre gentile, dando del lei e rimproverando i complici se si mostravano scortesi. Anche al processo alcuni testimoni tra i derubati giurarono di aver dovuto insistere perché Mottino accettasse alcune monete e un vecchio sensale, ossia un mediatore, testimoniò che da una persona così educata era un piacere farsi derubare! Altre affermarono che gli fu restituita la refurtiva perché erano risultate simpatiche al ladro gentiluomo.
Il Mottino riuscì ad evadere dalle carceri di Torino, corrompendo un carceriere. Riprese ad assaltare le vetture postali. Nascostosi presso Crevacuore, dopo alcuni mesi, il 7 maggio 1853 i Carabinieri riuscirono ad arrestarlo.
Intanto cominciava a nascere la sua leggenda, che attirò le simpatie del pubblico femminile, ma anche dei giornalisti. Mottino, reo confesso, al processo si difese dicendo di aver rubato ma di non aver mai ucciso. Anche questa volta molte vittime confermarono la sua gentilezza e la sua educazione. Gli stessi Carabinieri, cavallerescamente, ammisero che Mottino era sempre sfuggito grazie alla sua abilità e che non aveva mai attentare alle loro vite. I giudici lo condannarono comunque a morte e il re Vittorio Emanuele II gli rifiutò la grazia.
Molte donne accorsero in città per vederlo un'ultima volta, e per generazioni i cantastorie illustrarono le sue gesta con ballate e canzoni e spettacoli teatrali. La leggenda narra che Mottino chiese, ed ottenne, di poter fare un giro attorno alla forca prima di essere impiccato e poi disse impavidamente e sorridendo al boia: «E adesso facciamo due salti all'inglese». Si concluse così la vita spericolata e la storia ormai leggendaria del ventisettenne Pietro Mottino, detto "il Bersagliere".
Raggiungo così in auto il piccolo ma bel lago di Candia, che è tra le più importanti zone umide del Piemonte, tanto da essere considerata area protetta. Ospita numerosi uccelli acquatici e una ricca flora idrofila. Questo bacino lacustre è interessato da una curiosa leggenda, secondo la quale i Salassi, gli allora abitanti della zona, erano governati da Ypa, regina e sacerdotessa della dea acquatica Mattiaca. In un periodo di pace e fertilità, la popolazione aumentò a tal numero che la regina decise di bonificare il lago per avere nuove terre da coltivare. La regina-sacerdotessa ordinò al suo compagno con altri uomini, di scavare una galleria per svuotare parzialmente il lago. Ypa. Nel frattempo era innamorata di un altro uomo e così, per sbarazzarsi del vecchio compagno, escogitò di rompere improvvisamente gli argini durante i lavori, facendolo perire. Per un errore di valutazione le acque sommersero buona parte del villaggio con innumerevoli morti, tra cui il suo nuovo amato. La regina colpita dal rimorso si sarebbe suicidata gettandosi nelle acque del lago. Dopo aver fatto un bel giro intorno al lago, degustato un gelato, guardando le folaghe giocare tra i canneti, riprendo l'auto per tornare verso casa.
Lungo la strada del ritorno ricordo che Candia Canavese è uno dei luoghi principali in cui si svolge, sotto il semplice nome di Candia, la vicenda narrata nel romanzo "Memoriale" di Paolo Volponi.
Questo romanzo sembra una sorta di diario biografico. Saluggia reduce di guerra e dalla prigionia, minato dalla tubercolosi, torna a vivere con la madre vedova a Candia Canavese. Trovato un lavoro in una fabbrica, i medici della fabbrica rilevano subito le sue precarie condizioni di salute, prescrivendogli ricoveri in sanatori. Il protagonista crede che tutto questo sia una manovra per farlo licenziare, diventando paranoico e con la mania di persecuzione. Inizia a vedere nemici dappertutto, persino fra i cuochi della mensa sospettati di volerlo avvelenare. Saluggia è anche un uomo malato di solitudine esistenziale e posseduto da dabbenaggine, tanto da diventare tragicomico con le ragazze degenti nel nosocomio che cercano inutilmente di avvicinarlo.
Durante uno dei suoi ricoveri Saluggia, vuole guarire per tornare a lavorare e si affida ad un sedicente professor Fioravanti nella speranza di riprendersi in modo definitivo. Questi però, dopo avergli spillato un bel po' di soldi, sparisce, da bravo truffatore.
Il lavoro in fabbrica, benché usurante è l'unica risorsa che ha il protagonista a cui aggrapparsi per motivare la sua vita fatta di grigiore e malattia. L'unico luogo dove ritrova sé stesso è nell'orto di casa sua, o quando passeggia nella campagna circostante o vicino al lago.
Ormai ho raggiunto a casa, sono particolarmente soddisfatto di aver conosciuto un altro angolo del mio Piemonte che continua a regalarmi piacevoli sorprese.