In auto mi dirigo verso la Valle Borbera; risalgo la vallata lungo una strada provinciale che si snoda tortuosa tra fitti boschi e radi versanti sassosi. Raggiungo così Albera Ligure.
Diverse sono le ipotesi circa lo studio del toponimo. Infatti alcuni studiosi lo collegano ad "albero", mentre altri lo fanno derivare da Albaria o terra albaria, che potrebbe indica i luogo di ritrovo dei maggiorenti per trattare affari di comune interesse di tutta la valle, considerato che il Borgo si trova al centro della Valle Borbera. Un ultima ipotesi la fa derivare dal nome del torrente Albirola, un affluente del Borbera, che separa l'abitato principale in due.
Nel 1151 compare il primo documento in cui è citato come plebi de Alberia. Albera, nel 1168 compare tra i Comuni che parteciparono alla lotta contro l'Imperatore Federico Barbarossa. Ma quasi certamente il luogo era già abitato prima dell'anno Mille, se si considera che nell'attuale frazione di Vendersi si stabilì una comunità di monaci benedettini, che fondarono e costruirono un'Abbazia su un luogo dov'erano i resti di un precedente insediamento di origine romana. La presenza dell'Abbazia contribuì a raccogliere intorno a sé numerose famiglie contadine, anche per fare fronte comune contro le invasioni barbariche.
Intorno al Quattrocento tutte le borgate della vallata passarono sotto l'egemonia della Repubblica di Genova. Solo nel 1861, Albera, come tutti i borghi della vallata, verrà inserita nella provincia di Alessandria.
Nel 1929 l'amministrazione fascista decretò la soppressione del Comune, che venne accorpato a quello limitrofo di Rocchetta Ligure, riacquistando l'autonomia amministrativa nel 1947.
Superata la borgata San Nazzaro, posta nei pressi della confluenza dei torrenti Borbera e Sisola, nota soprattutto per i suoi ristoranti, proseguo sulla strada provinciale. Prima di entrare nel capoluogo mi soffermo qualche minuto ad Astrata, una piccola borgata sita lungo la strada provinciale 140, su cui si affacciano un pugno di case dalle caratteristiche in pietra squadrata. Nel piccolo Borgo insiste la Chiesa di San Gaetano. La sua facciata è a capanna ed è realizzata in stile Neogotico. La chiesetta presenta un piccolo sagrato in pietra come lo è tutta la facciata della Chiesa che presenta una sola porta d'accesso con un sovra porta a sesto acuto al cui interno vi è un mosaico con San Gaetano e Gesù bambino. La porta d'accesso presenta ai lati delle colonnine circolari. Un piccolo oculo completa la facciata posto sotto il culmine del tetto. Un bel e piccolo campanile, a sezione quadrata, si sviluppa sul fianco destro. La Chiesa è a navata unica, con volta a botte a sesto acuto.
Per raggiungere il Borgo principale supero il ponte sul torrente Albirola e parcheggio l'auto nei pressi del moderno edificio che ospita il Comune. Da subito m'aggiro per l'antico Borgo, con le sue strette strade, alcune ancora in ciottolato. Le case sono in pietra con i loro voltini sopra le strade. Una bella casa torre, probabilmente con funzioni di difesa e sorveglianza, si presenta intonacata con decorazioni colorate gialle, rosse, brune e azzurre forse novecentesche. Alcune case presentano gli angoli arrotondati forse per agevolare il passaggio dei carri. Ma vi sono anche case settecentesche e ottocentesche che affiancano le più antiche e che presentano facciate dipinte nel classico rosso genovese. Quasi certamente nei pressi del Borgo antico vi potrebbe essere stato il Castello di Albera citato in diversi documenti del Seicento e Settecento. Raggiungo così la Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista, questo edificio è stato costruito sui resti della prima chiesa risalente al X-XI secolo. Il primo nucleo di Albera nasce infatti attorno alla chiesa pievana. La prima fonte documentata dell'esistenza di questa Chiesa che era una Pieve è un trattato di pace fra Genovesi e Tortonesi del 1140. A partire dal XVI secolo i prevosti della Pieve, appartenenti alla nobile famiglia guelfa dei Fieschi, iniziarono la ricostruzione e l'ampliamento della vecchia Pieve ormai in precarie condizioni. La Chiesa venne poi ampliata nel 1630. L'attuale facciata risale alla metà del XVII secolo. La Chiesa ha il tetto a capanna e la facciata è tripartita da lesene. Sopra l'unica porta d'accesso con un portale in pietra vi è l'immagine di San Giovanni Battista, sopra all'affresco un marcapiano e al centro del frontone vi è una finestra lobata. Il campanile nella forma attuale è del 1690 su un impianto romanico a base quadrata con un bel lanternino ottagonale sopra alla cella campanaria. Tutto l'edificio è intonacato e ben dipinto con tenui color pastello. Mi raccontano alcuni anziani del posto che un tempo la facciata presentavano una decorazione pittorica estremamente ricca.
Addossato al fianco sinistro della chiesa vi è un bel porticato con arcate in pietra. Gli anziani signori che ho incontrato sul sagrato della Chiesa lo hanno chiamato "l'ossario", forse perché costruito sopra il cimitero che circondava l'antica Pieve. Sul retro, è ammirabile un porticato a due piani con volte a vela, è ciò che rimane dell'edificio preesistente. M'aggiro ancora per un po' per il centro storico prima di riprendere l'auto ed iniziare a visitare le diverse frazioni che compongono il Comune.
Ripercorro per un breve tratto la Strada Provinciale 140 in direzione Cabella Ligure fino ad incontrare sulla mia destra una piccola borgata. Spinola è un agglomerato di case posto a ridosso del corso del torrente Borbera, dove svetta tra essa una casa torre ormai capitozzata ed inglobata in altri edifici. Subito dopo m'inerpico su una stretta strada comunale in direzione di Figino. La strada, ampiamente panoramica sale rapidamente, costeggiata talora da bei boschetti e altri da verdi prati da sfalcio. Arrivato a Figino mi attende un Borgo vivace, con case in buona parte ben conservate ed abitualmente abitate, giardini fioriti e la Chiesa della Natività di Maria Vergine. Mi aggiro tra le case, poste prevalentemente lungo la strada, qualche cane abbaia al mio passaggio con tono minaccioso a protezione della sua proprietà.
Noto subito che la strada principale passa sotto ad un bel portino voltato, interamente in pietra, che benché si presenti in buone condizioni, avrebbe bisogno di una manutenzione straordinaria che solo la presenza umana quotidiana può dare. Sicuramente un tempo era luogo di controllo e difesa del Borgo, le finestre sono protette da scudi di legno, come lo sono anche le porte d'accesso.
Mi reco sul sagrato della Chiesa di Figino che ha il fronte rivolto alla valle, da cui si ammira un bellissimo panorama. La facciata dell'edificio è a capanna ed è tutta intonacata. Due coppie di paraste, dotate di basamento e capitello composito, affiancano l'unica porta d'ingresso. Le paraste suddividono così verticalmente in tre campi la facciata e sorreggono la trabeazione del frontone. Nel campo centrale, sopra il portone d'accesso è presente un oculo.
Lo stato di manutenzione della Chiesa e del suo sagrato dimostrano l'attenzione che la popolazione ha verso l'intera borgata. Il campanile è a pianta quadrata posto sul fianco sinistro dell'edificio vicino all'abside. La cella campanaria è sormontata da un lanternino con copertura a bulbo. Accedo brevemente al suo interno; la Chiesa è a navata unica, con absidale a sviluppo curvilineo in pietra a vista. La navata presenta la volta a botte, con lunette. Bella la fonte battesimale, in marmo, protetto da un cancelletto.
Riprendo l'auto per raggiungere Figino Torre. La borgata si presenta pressoché disabitata, le case in pietra, anche quelle successivamente intonacate, raccontano antiche storie della dura vita di montagna, il toponimo del Borgo ci ricorda la presenza di una torre di avvistamento e difesa. Le finestre delle case presentano inferiate in ferro, le poche stradine presenti sono sterrate, ma che la borgata sia ancora frequento è dimostrato dalla presenza di animali da cortile.
Ritorno da questa borgata che è a 713 metri slm. verso Figino e proseguo per Volpara seguendo la stretta strada affiancata da bei boschi e che segue il sinuoso percorso costeggiando la Costa delle Melighe. Superata la fontana di Costa Longa la strada, sempre asfaltata, sale fino agli oltre 900 metri slm. in cui è distesa la borgata di Volpara. In un ampio parcheggio mi fermo per poi proseguire a piedi in questo grosso grappolo di case. Le sue case sembrano volersi affacciare sul rio Albirola, protette dall'alta vette del Monte Giarolo e Gropa. Case che hanno molte storie da raccontare, come quella che vide Volpara protagonista di un tragico evento. Era l'inverno del 1944 e i partigiani del comandante Marco, vivevano rifugiati e protetti nei boschi sovrastanti il Borgo, intenti a riorganizzarsi per la liberazione dall'Italia nazifascista. Il 23 dicembre, mentre alcuni partigiani della brigata Arzani stavano distribuendo in parrocchia dei generi alimentari alla popolazione, piombarono dai monti, provenienti da Caldirola i tedeschi. Fortunatamente buona parte dei partigiani riuscì a fuggire, tranne il sedicenne partigiano acquese Aureliano Galezzo detto "Miscel" che fu ucciso sulla piazza. I tedeschi obbligarono la popolazione a non rimuovere il cadavere, in segno di monito a non aiutare i "ribelli", pena l'abbruciamento del Borgo. Il giovane partigiano fu decorato con la medaglia d'oro al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione: "Giovane studente animato dalla fiamma del sacro amore di Patria, abbandonava i banchi della scuola per divenire combattente della libertà. Ferito una prima volta in uno scontro con i nazifascisti rifiutava ogni soccorso per non distogliere i compagni dalla lotta e non appena le condizioni delle sue piaghe, non ancora completamente rimarginate, glielo permisero, spinto da giovanile entusiasmo, tornava al suo posto di combattimento. Durante una operazione di rastrellamento, avendo il nemico accerchiata la località ove era raccolto un nucleo di partigiani, conscio del sacrificio cui andava incontro, si scagliava da solo sparando con irruenza contro l'avversario per trattenerlo col suo epico impeto e dare l'allarme ai compagni dello incombente pericolo. Nel sublime gesto di eroica generosità, cadeva crivellato di colpi, ma il suo olocausto non fu vano perché salvò da sicura morte tutti i compagni che poterono sventare la sorpresa nemica. Fulgido esempio di eroismo, cosciente sprezzo del pericolo e sublime altruismo" La sua memoria ha ispirato il complesso musicale Yo Yo Mundi che ha pubblicato nel 2005 un disco che contiene anche la canzone "Lamento per Aureliano".
Raggiungo così la Chiesa Parrocchiale di San Michele Arcangelo posta lungo la strada principale posta in salita. La sua facciata con tetto a capanna è suddivisa da trabeazioni in due ordine a loro volta tripartiti da paraste con capitello dorico. Nell'ordine inferiore è posto il portone di ingresso, sormontato da una finestra lobata chiusa, mentre nell'ordine superiore presenta, nel campo centrale una finestra.
La Chiesa al suo interno è a navata unica, con volta a botte e zona absidale a sviluppo curvilineo. Anche qui, come a Figino, la fonte battesimale è protetta da un cancello. Il campanile è posto sul fianco destro della navata. Il suo fusto è suddiviso in quattro porzioni da paraste e marcapiano e la cella campanaria è sormontata da un lanternino con copertura piramidale.
Il Borgo è abitato da diverse persone e possiede anche un museo sulla vita contadina, realizzato e gestito da privati, appassionati a raccogliere la storia di queste borgate degli Appennini liguri. L'esposizione è ospitata in una stanza, già cantina di una vecchia trattoria. Vi sono esposti vari oggetti: quelli di uso quotidiano nei lavori di casa o dei campi ed abiti. Ma vi sono anche libri, manifesti, e tutto quanto rientra nella quotidianità contadina dalla fine del XIX secolo fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Devo scendere da questa bella e caratteristica borgata, ed in auto superare nuovamente Figino, per poi voltare per la borgata di Vigo, situata sopra i 580 metri slm. Questo Borgo mi appare come un centro turistico assai frequentato, le case in pietra sono ristrutturate, abbellite da graziosi vasi di fiori e da tende in pizzo, poca gente s'aggira per la borgata, ma sono gentili e disponibili. La mia sosta mi permette di apprezzare l'ordine e la pulizia; il lavatoio coperto ristrutturato è il sagrato dell'Oratorio punto di ritrovo degli abitanti. Anche questa Chiesa è stata ristrutturata ed è abbellita da sagrato con una nuova pavimentazione dotato di panchine ombreggiate da alberi. L'Oratorio di San Rocco presenta una bianca facciata su un tetto capanna. Uno zoccolo grigio affianca il portone di ingresso, accompagnato da due finestrelle quadre. Al di sopra della porta, una finestra rettangolare tra due mosaici moderni; il primo raffigurante San Rocco che assiste un appestato, l'altro in forma tonda presenta una colomba ed è posta sotto al culmine del tetto. Il tozzo campanile ha la parte inferiore del fusto in pietra squadrata, la tratta superiore è invece, intonacata e delimitata da paraste e contiene la cella campanaria sormontata da un cupolino piramidale. L'interno dell'Oratorio a navata unica presenta la volta a botte, con arconi e lunette.
Ormai devo rapidamente scendere lungo la strada provinciale della Val Borbera se voglio vedere le altre borgate. Supero quindi il centro abitato di Albera e riattraverso il ponte sul Albirola, giunto in borgata San Martino e imbocco la strada alla mia destra. Percorrendo la strada che corre lungo il torrente Albirola raggiungo agevolmente la località Mulino di Santa Maria. In una piazzetta di sosta mi soffermo per visitare la borgata completamente ristrutturata, dove si possono tuttavia osservare le tracce delle fondamenta di più vecchi edifici. L'esistenza di un mulino in questo luogo è documentata già in epoca medioevale, mentre l'attuale mulino fu costruito nei primi anni dell'Ottocento. Il mulino era ed è mosso dall'acqua del torrente Albirola, e possiede due macine in pietra in grado di lavorare in maniera indipendente, mosse entrambe da una grande ruota in ferro che prende movimento dall'acqua della chiusa posta sul torrente che scorre a fianco della costruzione. Interessante la presenza di un essiccatoio a soffitto per le castagne, che venivano macinate per produrre farina. Sicuramente questo sito rappresenta una preziosa testimonianza di cultura contadina ligure-montana. La strada in cui ho sostato è intitolata a Juan Joacquin ossia Giovanni Gioacchino nato in questa borgata in data sconosciuta e morto nel 1748, Costui fu Tenente di cavalleria dell'Esercito Austro-Ungarico.
Superato la borgata di Santa Maria, un gruppo di case davvero affascinante con case in pietra, i ballatoi, le piccole aie interne con ingressi archivoltati, vi è nei pressi di una fontana con lavatoio in pietra vi è l'Oratorio della Beata Vergine Maria della Neve. Questa chiesetta era già nominata nel 1523, citata anche come Oratorio dell'Assunzione della Beata Vergine Maria. Oggi si presenta in forme rinnovate nel XVIII secolo. Presenta pareti in pietra e la facciata è tripartita da lesene intonacate di bianco, in entrambi gli ordini in cui è divisa. Un campanile a vela, in pietra è posto su un lato.
Proseguo la mia salita per raggiungere l'ultima borgata che è Vendersi. Anche questa borgata è realizzata prevalentemente in pietra con le abitazioni, fienile e la sottostante stalla, secondo una tipologia costruttiva tipica della valle. Alcuni spaventapasseri, con colorati vestiti, abitano le vie di queste borgate, rendendo il luogo ancor più accattivante.
Vendersi è soprattutto nota per la sua Abbazia con la sua storia millenaria, infatti è tra le istituzioni monastiche più antiche di questa parte d'Italia. L'Abbazia di Vendersi originariamente era dedicata a San Pietro e fu distrutta una prima volta nel primo quarantennio del X secolo, forse dai Saraceni.
Secondo quanto emerge da un atto del Vescovo di Tortona Giseprando del 946, l'Abbazia versava talmente in precarie condizioni che fu quasi interamente abbandonata.
Fin dalla sua fondazione l'Abbazia conservava le reliquie di San Fortunato Martire, che sono tuttora conservate. Con una Bolla del 13 aprile 1157 Papa Adriano IV confermava il possesso alla Chiesa tortonese della ricostruita Abbazia sostituendo l'originaria dedicazione a San Pietro con quella a San Fortunato.
Ancora, tra il 1198 e il 1220 l'Abbazia andò nuovamente distrutta, questa volta da una frana. Ricostruita la Chiesa nel XV secolo ad opera della popolazione, i beni dei monaci di San Colombano passarono al clero secolare e alla Pieve di Albera. La ricostruzione avvenne in un posto considerato sicuro, leggermente a valle dell'abitato, in un pianoro da cui gode uno splendido panorama sull'alta Val Borbera.
Nel 1659, negli atti del Sinodo del Vescovo di Tortona, la Chiesa trova la doppia intitolazione ai Santi Fortunato e Matteo.
Per raggiungere la Chiesa devo percorrere un tratto di strada sterrata, tra i verdi campi fioriti del pianoro da dove mi godo un panorama fantastico sulla sottostante vallata. La facciata della Chiesa si presenta molto slanciata, intonacata e tinteggiata di rosa pastello. Quattro lesene bianche, priva di veri capitelli ne tripartiscono la fonte e un bianco marcapiano lo divide in due ordini. Il disegno della facciata sembra mosso grazie ai movimenti curvilinei del marcapiano che nella parte centrale crea anche un arco a tutto sesto, mentre sembra un tutt'uno con le fasce bianche che costituiscono le lesene, in quanto anche nel secondo ordine seguono la forma del frontone circolare. Un solo massiccio portone si apre al centro del primo ordine, sopra di esso vi è un ampia cornice che un tempo doveva ospitare un affresco. Al centro del secondo ordine vi è un ampia finestra rettangolare svasato, sopra alla stessa vi è la scritta D.O.M. Il campanile è inglobato nella canonica, interamente intonacato e tinteggiato di celeste con inserti rosa pastello e beige chiaro ed è dotato di lanternino e cupolino cuspidato. Purtroppo la Chiesa è chiusa e non posso accedervi, d'altra parte ha subito diversi furti e comprendo come sia necessario tutelare ciò che rimane di questo prezioso bene architettonico.
Riprendo l'auto per tornare verso casa, ma prima m'aggiro ancora sulle stradine della vallata per potermi godere questa giornata soleggiata. Di tanto in tanto trovo nei pressi delle borgate degli orti dove sicuramente vi sono coltivate sia la "Patata Quarantina" che la "Fagiolana della Val Borbera". Sono queste due colture storiche della vallata. La Patata Quarantina viene coltivata in una zona ristrettissima a cavallo tra il Piemonte e la Liguria. Questa patata è del tipo precoce a pasta bianca e chiara, con buccia liscia e chiara e forma tondeggiante. Mentre la Fagiolana bianca di Figino è simile al "bianco di Spagna", ma più grande e con la buccia meno consistente e presenta un sapore delicato. Un'altra produzione, ormai di nicchia è la Mela Carla. Questo è un frutto gustoso ma con un basso contenuto di zucchero.
Ormai sono sulla strada verso casa, soddisfatto di aver potuto visitare un altro Borgo di questo meraviglioso Piemonte.