Blog di Dante Paolo Ferraris

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Bergamo (XI parte)

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BergamoLa mattinata si prospetta interessante, il sole la fa già da padrone, la colazione è stata abbondante e coccolato Zori, il bellissimo gatto bianco che mi ha ringraziato con le sue fusa, lascio la mia foresteria e intraprendo una giornata che sarà per me di sicure scoperte. Percorro tutta via di porta dipinta, raggiungo così Piazza mercato delle Scarpe che è già abbastanza trafficata. Non prenderò la funicolare per raggiungere Bergamo bassa, percorrerò via San Giacomo fino a raggiungere l'omonima Porta e scenderò lentamente per via sant'Alessandro. Però voglio fare una breve deviazione in via Donizetti per poter vedere la casa dell'Arciprete. Percorro questa strada e in un piccolo slargo trovo su una bella casa di civile abitazione una lapide che ricorda Giacomo Quarenghi che fu un architetto e pittore, eccellente rappresentante dell'architettura neoclassica che lavorò in Russia a San Pietroburgo, chiamato dalla imperatrice Caterina II.
Giacomo Quarenghi nacque il 21 settembre 1744 a Capiatone, frazione di Rota d'Imagna, nella bergamasca e morì nel 1817 a San Pietroburgo dove edificò moltissimi palazzi, l'accademia delle scienze e il teatro dell'Ermitage. Sempre su via Donizetti, poco dopo la casa in cui abitò il Guarenghi vi è la Fontana del Gromo e il Palazzo Rivola con l'antica Zecca. Via Gaetano Donizetti, ex colle del Gromo, ha una storia antica, vi sono presenti palazzi di proprietà delle antiche famiglie bergamasche fra questi anche Casa Fogaccia detto anche dell'Arciprete, ma anche palazzo Scotti e palazzo Gromo dei Rivola oggi palazzo Pacchiani. Un'epigrafe posta sul muro ricorda la sua antica destinazione di zecca, documentata nel Duecento. La fabbricazione di monete in argento era appannaggio della famiglia Rivola proprietaria del palazzo. Infatti questa antica famiglia guelfa possedeva delle miniere d'argento in alta Val Seriana e precisamente a Gromo.
Raggiungo così Casa Fogaccia detto anche dell'Arciprete, così chiamata perché nel 1840 venne lasciata in eredità agli arcipreti della Cattedrale. Questo edificio del XV secolo si presenta oggi come una elegante casa rinascimentale con finissimi ornati alle finestre. Torno verso via San Giacomo ed inizio a percorrerla; è una bella strada, pulita e ben lastricata in cotto posto mattoni posti a lisca di pesce, trovo subito una lapide su un palazzo al civico 4 che ricorda il Cav. Alessandro Nini, che vi abitò per trent'anni e vi mori il 27 dicembre 1880. Costui nacque a Fano (PU) nel 1805, studiò a Bologna e divenne compositore prima d'opera poi di musica sacra. Fu apprezzato da Rossini, Donizetti e Verdi. La strada è incorniciata da belle case, con portali in pietra scolpiti. Presenti anche edicole sacre che necessitano di restauri e l'immancabile fontana di san Giacomo che è protetta da una grata.
Raggiungo così lo slargo dove si prospetta la bella porta san Giacomo, ma prima di iniziare la discesa pongo lo sguardo su una casa di civile abitazioni in via della Mura, dove una lapide, posta un po' in alto ricorda Antonio Cagnoni da Godiasco (Voghera), che come recita la stessa: insigne maestro di musica, abitò in questa casa per quasi due lustri e vi morì il 30 aprile 1896. Ciò mi riporta sia alle mie reminiscenze storico-geografiche di quando nel 1818 Godiasco passò alla provincia di Voghera e nel 1859 alla provincia di Pavia. All'epoca la provincia di Voghera era una suddivisione amministrativa di secondo livello del Piemonte dipendente dalla Divisione di Alessandria che era composta da sei province, ma mi ricorda anche come Bergamo sia stata una dei più importanti poli musicali del XIX e XX secolo. Infatti Antonio Cagnoni che nacque l'8 febbraio del 1828 si diplomò al Conservatorio di Milano, compose numerose opere, prevalentemente buffe, giungendo al successo con Don Bucefalo (1847); nel 1852 fu nominato maestro di cappella a Vigevano, nel 1873 a Novara e nel 1888 a Bergamo.
Nei pressi della porta di San Giacomo si prospetta anche Palazzo Medolago Albani. Questo edificio in stile neoclassico è un bel esempio di un'edilizia aristocratica di fine Settecento che ha trasformato in parte il volto medioevale di Bergamo. L'edifico, assai vistoso è di tre piani sovra terra e il secondo e terzo piano sono suddivisi in più parti da alte otto semicolonne bianche con capitello ionico, tra le quali sono presenti cinque medaglioni, in rilievo, in marmo di Carrara con scene ispirate agli episodi della "Gerusalemme liberata" di Torquato Tasso. Sul tetto in facciata vi è una decorazione a balaustra al cui centro spicca lo spazio per un orologio. La stessa balaustra è arricchita da quattro ottocentesche statue dedicate all'Architettura, alla Scultura, alla Pittura ed alla Poesia.
Invece Porta San Giacomo è una delle quattro porte che si aprono lungo il perimetro delle mura e che prendono il nome delle chiese vicine, benché questa non sia più esistente. La monumentale porta di San Giacomo, finita di edificare nel 1953 presenta rivolta verso la pianura e la città bassa il leone di San Marco. La facciata e in marmo bianco rosato, con i fornici divisi da colonne. Due pinnacoli la sovrastano lateralmente, mentre l'effige del leone alato è posto nella trabeazione centrale. Superata la porta, percorro un ottocentesco ponte in mattoni che scavalca il largo fossato che cinge la città alta. Il fossato, ben conservato è in parte adibito ad orti. Subito dopo il ponte, già in discesa verso la città bassa inizia via sant'Alessandro ed il mio primo incontro è con la chiesa della Beata Vergine del Giglio. Quando nel 1561 ebbe inizio la costruzione delle mura venete furono distrutte molte chiese che si trovavano lungo il suo tracciato, fra queste fu demolita la chiesa di San Giacomo, che diede il nome alla porta omonima, nonché l'antica chiesa conventuale domenicana di Santo Stefano.
Gli abitanti della contrada, rimasti senza un luogo di culto chiesero di poter edificare una nuova chiesa e nel 1660 ottennero l'autorizzazione per l'edificazione di una nuova chiesa con l'intitolazione alla Natività della Vergine. La costruzione terminò nel 1665 e la sua intitolazione era dovuta alla vicinanza di un affresco su un edicola o un capitello detto Madonna del Rastello o Madonna di San Giacomo. Il dipinto raffigurava la Madonna con il Bambino e un giglio. La tradizione popolare vuole che fu affrescato a memoria di un miracolo ricevuto da una giovane claudicante che, a fatica riuscì a salire la lunga via sant'Alessandro in processione devozionale, per raggiungere l'immagine della Vergine e chiederle la grazia della guarigione. La giovane fu miracolata e l'immagine divenne devozione popolare. Successivamente, nell'aprile del 1663, l'affresco fu strappato per essere posto come pala d'altare della nuova chiesa.
La chiesa prese il nome di Beata Vergine del Giglio ufficialmente nel 1806. Trovo la chiesa chiusa ma provo a descriverne la facciata che è divisa su due ordini e preceduta da un porticato composto da quattro colonne con capitelli ionici. Il portone d'ingresso posto centralmente tra due ampie finestre rettangolari protette da inferriate, presenta un bel portale in pietra. Nella parte superiore del portale vi è una lapide inserita in una cornice di stucco con due angioletti con la datazione del 1660 ossia la data della sua costruzione. Il secondo ordine, delimitato da due lesene angolari terminanti con capitelli ionici, presenta centralmente una finestra con contorno sagomata con decori in stucco. Il culmine della chiesa con tetto a capanna presenta una cimasa curvilinea sagomata ai cui lati sono poste due pigne. Via sant'Alessandro è stretta ed lastricata in ciottolato di fiume e accompagnata da alte mura in pietra a protezione di giardini e belle antiche case a civile abitazioni.
Lungo il percorso si aprono spazi che mi permettono do godere di un bellissimo panorama su Bergamo bassa. Trovo lungo il mio girovagare, una lapide su una abitazione che ricorda che in questa casa vi nacque nel 1801, Santa Teresa Eustochio Verzeri, Monaca benedettina che nel 1831 fondò a Bergamo la Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, dedita all'educazione delle bambine orfane o povere. Poche centinaia di metri dopo vi è l'ex chiesa san Carlo Borromeo dei mendicanti. Questo era un edificio di culto che prese il nome dall'ospizio posto nelle sue prossimità, edificato nei primi anni dopo la canonizzazione del santo nel 1620. Il prospetto della ex chiesa è a capanna e il portale d'accesso presenta inserito nel timpano triangolare spezzato, l'altorilievo raffigurante san Carlo a mezzobusto. Sopra di essa una grande finestra semicircolare. Poche decine di metri dopo mi si prospetta il Monastero san Benedetto.
Questo è un monastero benedettino femminile di clausura e che trae origine dalla fusione di due comunità nel XIII secolo; quella delle monache benedettine di Santa Maria Novella di Stezzano e di Santa Maria in Valmarina, in quanto le due comunità erano state decimate da carestie e pestilenze. L'attuale chiesa è del 1522 la cui facciata è tripartita da quattro lesene, nel centro il portale con frontone triangolare poggiante su piedritti in pietra. Ovviamente ne è interdetto l'accesso, così posso solo immaginare l'antico chiostro e i notevoli affreschi che conserva. Superato il grande edificio dell'Accademia musicale di Santa Cecilia arrivo alla Basilica Sant'Alessandro.



Fine XI parte.