Mentre cerco di raggiungere il Grand Hotel in borgata Prese, mi sovvengono alcune frasi del poeta Giosuè Carducci che vi fu ospite nel 1890 e vi scrisse l'Ode "Piemonte":
"Su le dentate scintillanti vette/ salta il camoscio, tuona la valanga/ da' ghiacci immani rotolando per le/ selve croscianti:/ma da i silenzi de l'effuso azzurro/esce nel sole l'aquila, e distende
in tarde ruote digradanti il nero/ volo solenne./Salve, Piemonte! A te con melodia
mesta da lungi risonante, come /gli epici canti del tuo popol bravo,
scendono i fiumi. /Scendono pieni, rapidi, gagliardi, /come i tuoi cento/ battaglioni, e a valle/ cercan le deste a ragionar di gloria/ ville e cittadi."
Questo Grand Hotel a partire dal 1888, data di apertura, ospitò nel periodo estivo l'aristocrazia piemontese, ivi compresa la famiglia reale; soggiornarono infatti nel 1890 la regina Margherita, nel 1892 S.A.R. il Duca degli Abruzzi, nel 1893 S.A.R. il Conte di Torino e nel 1894 S.M. il Re Umberto I. La struttura è magnifica, realizzata in pietra e legno, poco si discosta oggi dalle immagini di vecchie cartoline del secolo scorso. Comprendo il perché il poeta Giosuè Carducci fu ispirato a scrivere l'ode "Il Piemonte", trovandosi al cospetto delle cime del gruppo delle Levanne (le "dentate scintillanti vette") e alla magnifica conca di Ceresole.
Curioso sapere che l'ingresso principale dell'Hotel fu orientato verso Sud, nella convinzione che la strada principale di Ceresole vi sarebbe passata davanti, ma nel 1907 questa fu costruita a Nord sul tracciato attuale, ossia passando dietro al grande complesso del Grand Hotel.
All'epoca fu costruito anche un altro grande albergo, sopratutto utilizzato dalla media / alta borghesia, ossia lì Hotel Levanna. Questo quando sorse fu in albergo sicuramente meno pretenzioso del vicino Gran Hotel ed ancora oggi mantiene il fascino del tempo. Ma come Ceresole Reale divenne luogo privilegiato di villeggiatura, nel borgo vennero costruite molte villette, tra cui Villa Peyron e Villino Chiesa, oggi Ciarforon, progettate dal celebre architetto Carlo Ceppi di Torino.
Occorre superare il torrente Orco per raggiungere la località Fonti Minerali, dove vi è una sorgente di acque minerali. La fonte era nota fin dal 1820 e nel 1858 vi sorse anche uno stabilimento idroterapico con la sua fonte di acqua ferruginosa. Le acque venivano usate per curare malattie di varia tipologia e vi era anche uno stabilimento per l'imbottigliamento che riforniva le farmacie del regno per essere venduta come tonico e rimedio con azione purgativa e diuretica e altri vari malesseri. L'attività dell'imbottigliamento durò fino alla seconda Guerra Mondiale. Sempre in località Fonti Minerali, sono visibili i resti di una ferriera medioevale. Questa ferriera dotata di un grande maglio era azionata dall'energia idraulica, l'impianto era già citato in alcuni documenti intorno alla metà del XVI secolo. Tornato sulla strada principale prima di raggiunge Borgata Cortevecchio trovo la Cappella dell'Angelo Custode. La chiesetta è piccolina con facciata a capanna e campanile a vela sul culmine del tetto e sul prospetto della facciata. Presenta un ingresso solo, affiancata da due finestre rettangolari con arco a tutto sesto. La cappella era già presente a metà del XVIII secolo in quanto descritta nei resoconti delle visite pastorali. Forse la sua costruzione risale probabilmente alla metà del XIII secolo.
Invece a Borgata Cortevecchio trovo la Chiesa del Carmine. L'attuale edificio religioso è posto nei pressi di alcune curve a gomito della strada provinciale ed è stato completamente rifatto nel 1963 per volontà degli abitanti della borgata. La chiesetta ha fattezze molto semplici con tetto a capanna e piccolo campanile. Presenta in facciata una sola porta d'acceso e nessuna infinestratura.
In origine la Chiesa era dedicata alla Beata Maria Vergine e San Bernardo e la sua esigenza è già documentata nel 1699. Nel 1880 il parroco di Ceresole l'attesta come intitolata a Maria Santissima sotto il titolo del Carmine, come pure dedicata a San Bernardo.
Supero la borgata Montone, dove nuove villini e antiche costruzioni in pietra, si alternano tra bei prati colorati ed alberi ad alto fusto. Così anche la borgata Torre, Pian della Balma, dove lungo la strada statale n 460 si alternano anche alberghi, trattorie e antiche cappelle votive; ormai sono in borgata Comba, costeggiando il lago di Ceresole. Questo Lago artificiale è dovuto all'omonimo sbarramento artificiale sul torrente Orco. Questa diga rientrava nel progetto di sfruttamento delle risorse idriche della Valle Orco realizzato da Aem - ora Iren - all'inizio del XX secolo. La sua costruzione inizia il 22 luglio del 1925 e per realizzarlo furono demolite e sommerse decine di case delle borgate che occupavano la conca di Ceresole, per far posto all'invaso capace di contenere 34 milioni di metri cubi d'acqua. Quattro anni dopo, nel maggio 1929, entra in funzione la centrale idroelettrica utilizzando l'acqua raccolta nel bacino di Ceresole, ma l'inaugurazione ufficiale della diga di Ceresole avverrà il 2 agosto del 1931, alla presenza del principe ereditario Umberto di Savoia.
Arrivo così davanti al Municipio e parcheggiato l'auto, inizio un breve giro turistico. Da subito mi soffermo davanti ai monumenti collocati nella piazzetta posta a lato del Palazzo Municipale, il primo dedicato alle Guide Alpine, il secondo ai Caduti di Guerra di Ceresole.
Colgo così l'occasione per scorrere mentalmente la storia del borgo. Probabilmente il luogo era abitato anticamente da tribù di Celti, si racconta che in antiche miniere vi siano iscrizioni latine, che indicherebbero la presenza della dominazione romana. Secondo la tradizione orale tramandata si narra che in epoca imperiale, i Cristiani erano costretti ai lavori pesanti e rischiosi di estrazione dei metalli preziosi dalle miniere. Da questi Cristiani, sembra si sia dato origine al culto di San Meinerio.
Nel secolo XI Ceresole, come tutta la Valle Orco, fu donata dall'Imperatore Ottone III al vescovo di Vercelli. Nel corso del secolo successivo i territori passarono invece alla famiglia dei Valperga. Le angherie dei nobili e la povertà in cui vivevano le popolazioni spinsero però la popolazione a insorgere pochi anni dopo, quando nel Canavese dilagò la rivolta dei Tuchini.
La pacificazione con i nobili avvenne a Ceresole soltanto nel 1449 e, nonostante che i valligiani avessero ottenuto di dipendere soltanto dalla giurisdizione dei Savoia dopo l'esborso di duemila fiorini, tornarono ben presto sotto il dominio dei Valperga. Storiche furono le reazioni degli abitanti dell'alta Valle Orco quando respinsero nel 1794 i repubblicani francesi che avevano invaso la zona passando dal Colle della Galisia e ancora si trovò a combatterli quando, due anni dopo, passando stavolta dal Colle del Nivolet.
Il Palazzo Municipale è un massiccio edificio a tre piani realizzato in pietra squadrata. Leggeri profili d'intonaco bianco incorniciano le finestre a decorazione dell'edificio. Sulla facciata è dipinto lo stemma di Ceresole Reale ed è composto da uno scudo rosso con una croce d'argento, ossia l'arme reale sabauda, sorretta da due stambecchi in piedi e affrontati. Lo stemma è timbrato da corona reale. Ciò mi permette di ricordare che fu solo a partire dal 1862 Ceresole poté fregiarsi del titolo di Reale, ottenuto per concessione di Re Vittorio Emanuele II, al quale il Comune aveva ceduto il diritto di caccia a camosci e stambecchi.
Curioso sapere che nel XVIII secolo gli stambecchi, oggetto di una caccia spietata a causa di credenze sulle qualità magiche e curative di molte parti del loro corpo, erano ormai estinti. Solo un centinaio di esemplari era invece sopravvissuto fra i dirupi del massiccio del Gran Paradiso, entro i confini del Regno Sabaudo. E se il Parco Nazionale del Gran Paradiso fu istituito il 3 dicembre del 1922, a cavallo delle regioni Valle d'Aosta e Piemonte, attorno al massiccio del Gran Paradiso, già il 21 settembre 1821 il re di Sardegna Carlo Felice, emanò le Regie patenti con le quali ordinava: «Rimane fin d'ora proibita in qualsivoglia parte de' regni domini la caccia degli stambecchi». Questa decisione, che salvò lo stambecco dall'estinzione, non fu ispirato da valori di protezionismo ambientale, ma da mere speculazioni venatorie che il sovrano concedeva solo a sé stesso.
Nasce ufficialmente, tra il 1854 e il 1864, la Riserva Reale di Caccia del Gran Paradiso, per volontà di Re Vittorio Emanuele II, il cui territorio era più ampio dell'attuale Parco Nazionale, comprendente anche alcuni comuni valdostani. Fu allo scopo istituito un corpo di vigilanza composto di circa cinquanta Reali Cacciatori Guardie e realizzata una fitta rete di mulattiere che dovevano facilitare i percorsi effettuati dal sovrano, ma anche facilitare i collegamenti tra le diverse borgate. È incredibile come questo piccolo Comune di poco più di un centinaio di residenti, abbia tante cose da raccontare; così come il suo toponimo che forse si riferisce alla presenza di una foresta di ceresiolae, ossia piccole ciliegie selvatiche.
Poco distante vi è la Chiesa parrocchiale di San Nicolao. Le prime testimonianze di questa Chiesa parrocchiale con la medesima intitolazione risalgono al 1252, ma era posta più a valle dell'attuale parrocchia, in località "Croce d'Ursini" e fu distrutta da una piena del torrente Orco, o da una "valanga di pietre". L'attuale edificio, con tetto a capanna è a una sola navata, risale al 1698 anche se sulla facciata è incisa la data 1681, forse ad indicare precedenti strutture, mentre il campanile riporta le date 1590 e 1591. Presenta un solo ingresso sulla facciata con due piccole finestre ed una lunetta posta in posizione centrale. Negli anni 1965-70 fu aperta una porta laterale che permette l'accesso alla chiesa in sicurezza, in quanto la strada principale corre davanti all'ingresso frontale cancellandone il sagrato. L'interno della Chiesa presenta alcune pitture murali e antiche sculture. Prima di riprendere l'auto e dirigermi fino al colle del Nivolet, mi godo ancora lo splendido panorama. Tutto il lago, che costituisce una delle principali attrattive turistiche del Paese, è costeggiato da un percorso pedonale ad anello che d'inverno diventa una splendida pista da fondo.
Con l'auto costeggio il lago e vi trovo la Cappella di San Rocco e Sebastiano in borgata Borgiallo. Questa cappella, forse settecentesca, presenta una facciata a capanna con un ingresso e due finestre poste ai lati. Il suo campanile è a vela, posto sul culmine anteriore del tetto. Un bell'affresco, che necessita urgenti restauri è posto sopra la porta d'ingresso. Una anziana signora ceresolese è intenta a porre dei fiori freschi su una finestra e così vengo a sapere che dovrebbero esservi custodite nella cappella le reliquie di San Venerando e Santa Gioconda. All'interno sono conservate l'icona con la Vergine, San Rocco e San Sebastiano. Inoltre mi racconta che secondo la tradizione locale, nella conca di Ceresole già in epoca remota esisteva un lago, ma che poi si prosciugò.
In testa al lago vi è la borgata Villa con diverse costruzioni per colonie estive, locande e la Cappella della Madonna degli Angeli, nonché una centrale idroelettrica. La locanda realizzata in pietra e legno ha un ampio dehor, dove un grande gruppo di motociclisti sta riposando e gustandosi una buona merenda.
La cappella è invece stata costruita nel 1976, dopo l'abbattimento dell'antico edificio, per permettere l'allargamento della strada. La prima notizia di una Cappella in questa borgata risale al 1750 e si riferisce ad un edificio dedicato alla Santissima Trinità, mentre nel 1880 viene nominata come Cappella di Maria Santissima degli Angeli. Il comune, costellato di parecchi piccoli borghi, tutti caratteristici con le sue costruzioni in pietra e legno e i tetti in losa è sparso in una stupenda conca. Oltre il lago la valle prosegue fra torrentelli, cascatelle, laghi e laghetti dalle acque limpidissime che si alternano a verdi prati con macchie di fiori colorati e boschetti di betulle e di abeti. Anche in borgata Mua vi è la sua cappella dedicata a San Giacomo. L'attuale cappella dalle fattezze moderne risale alla seconda metà degli anni '50 del secolo, in quanto la più antica fu sacrificata anche essa a vantaggio dell'allargamento della strada.
La precedente Cappella viene citata per la prima volta nel XII secolo ed era dedicata alla Vergine del Carmelo. Nel 1778 la Cappella risulta aver cambiato intitolazione, assumendo quella a San Giacomo Maggiore, purtroppo con la costruzione della nuova cappella andò perso un antico affresco.
In località Chiapili inferiore, nei pressi del rifugio Guido Muzio, una struttura del Club Alpino Italiano della sezione di Chivasso, vi è una piccola cappella aperta, in pietra e con campanile a vela con un bel altare eretta a memoria dei Presidenti del C.A.I. chivassese.
Superati alcuni tornanti, i boschi si rarefanno e per lo più incorniciano il corso del torrente Orco. Un gruppo di case mi accoglie lungo il percorso della strada che sale verso il Nivolet. Sono tutte ristrutturate, con bei giardini e muretti in pietra. Anche qui in Chiapili di Sopra vi è una chiesetta dedicata a San Lorenzo. Curiosa la sua cella campanaria a vela in pietra che non posta adiacente l'edificio religioso, ma solo nei suoi pressi. Questa Cappella nonostante la ristrutturazione degli anni Cinquanta del secolo scorso, si presenta ancora con le sue antiche fattezze. Nel 1647 viene citata in questa località una cappella intitolata a San Giacomo, quasi certamente una precedente intitolazione dell'edificio religioso. L'edificio sacro benché minuto è conservato perfettamente, segno di antiche e attuali devozioni popolari.
Continuo a salire lungo la SP 50 in direzione del Colle del Nivolet. La strada si fa più irta, incontro diversi ciclisti che con la loro bicicletta da corsa s'avventurano lungo un percorso che fu già di famosi corridori che percorsero questa valle, superando anche il colle del Nivolet, come il giro d'Italia. Ormai la vegetazione è solo prativa, la strada s'inerpica tornante dopo tornate e cumuli di neve si addossano alla strada. Il sole riflette sulla neve che ricopre le vette circostanti creando fantastici giochi di luci. Ormai sono ai piedi della diga del Serrù che crea un invaso con una capacità di 15.000.000 m³; diga che entrò in servizio nel 1951.
A pochi passi dal Lago Serrù, a 2250 metri c'è l'edificio di culto più alto della Valle Orco. Lascio l'auto in un ampio parcheggio realizzato sotto il muro di questa immensa diga e mi inoltro a piedi tra il verdeggiare dei prati e le ampi distese di neve che ricoprono ancora i prati, ove il sole con più difficoltà arriva a scioglierla.
Questa chiesetta, posta in una splendida posizione panoramica sulla valle dell'Orco, è per la prima volta citata in documenti del XVII secolo con la dedicazione alla Madonna della Neve, mentre nel 1880 si parla di Madonna delle Grazie. La cappella è realizzata a capanna con tetto in losa e un piccolo campanile che pare voglia solleticare il cielo.
La facciata presenta una semplice porta d'accesso affiancata da due finestre rettangolari e una lunetta posta sopra la porta. La chiesa venne ricostruita nel 1861 e la trovo chiusa, non posso pertanto ammirare il dipinto posto sopra l'altare che risale al 1825 e raffigura i santi Ilario, Bernardo, Bartolomeo ed Eusebio, di cui avevo letto sulle guide turistiche. Dietro alla chiesa un altare realizzato in massiccia roccia viene utilizzato per le Messe che vi vengono organizzate all'aperto e che richiama una moltitudine di fedeli. Un enorme dipinto tondo posto sul retro della piccola chiesetta, raffigura la Madonna della Neve con il Bambino.
Non è difficile scorgere le marmotte che allegramente si rincorrono e si nascondono tra le rocce. I loro richiami, forti ed incisivi sembrano volermi avvisare che sono entrato a casa loro e che debbo rispettare l'ambiente in cui vivono.
Lascio questo magico posto, dopo essermi riempito gli occhi di bellezza e continuo la mia salita verso il colle del Nivolet. Superata la grande diga posta a 2275 metri s.l.m. costeggio il lago Serrù con le sue acque color grigio-latteo dovuto dal limo glaciale trascinato giù dai ghiacciai sovrastanti. L'ambiente alpino è bellissimo, cerco di scorgere qualche stambecco e camoscio ma senza successo, mi accontento dei tantissimi colorati fiori che si trovo lungo il percorso e che rendono ancora più magico il paesaggio alpino circostante. Mi piace pensare che su qualche sperone di roccia sovrastante ci siano gli occhi attenti di qualche aquila o magari di un Gipeto ad osservarmi.
Qua e là, dalla strada che percorro vedo pozze d'acqua, ove credo siano la zona di riproduzione delle rane temporarie, anfibi che si sono adattatati perfettamente all'ambiente d'alta quota. Anche il lago dell'Agnel mi offre uno splendido paesaggio da cartolina. Anche qui vi è una diga a gravità costruita a 2300 metri di quota con un invaso di oltre 2 milioni di metri cubi d'acqua e realizzata tra il 1936 e il 1938. L'acqua del lago dell'Agnel è invece di un colore blu intenso, forse anche grazie alla splendida giornata soleggiata che ho trovato.
Riprendo il mio viaggio, la SP 50 del Colle del Nivolet passa sul coronamento della diga e ancora un tratto di curve, tornati e salite e raggiungo il valico alpino situato nelle Alpi Graie ad una quota di 2612 m s.l.m. posto tra la Valle dell'Orco in Piemonte e la Valsavarenche in Valle d'Aosta. Il colle del Nivolet è caratterizzata da una vasta prateria con numerosi stagni e torbiere ed è attraversata dalla Dora del Nivolet. Questo luogo è l'ideale, mi raccontano altri viaggiatori che trovo ad godersi il panorama e l'arietta frescolina che qui domina, per gli appassionati di astronomia essendo uno dei pochi punti carrabili in quota completamente privo di inquinamento luminoso. Poco distante dal valico del Colle del Nivolet vi è il Rifugio Albergo Savoia, già sul versante valdostano.
È il momento di rientrare sui miei passi, dopo aver goduto di questa splendida giornata. Scendendo, lentamente verso Ceresole Reale devo ripetutamente fermarmi in quanto marmotte zuzzurellone attraversano o giocano sulla strada. I muri di neve che lungo la strada trovo e che superano ampiamente l'altezza di un uomo mi fanno pensare a quale vita grama hanno dovuto subire i militari che dovettero costruire il Vallo Alpino nell'Alta Valle Orco, ossia quel complesso sistema di fortificazioni e di viabilità militare realizzato dopo l'avvento al potere del regime fascista, durante il periodo bellico con la Francia.
Sono tante le cose che non ho visto, come il Museo del Colle della Losa presso località Serrù, il GlacioMuseo del Serrù, il Museo "Homo et Ibex" presso il Grand Hotel o semplicemente la Chiesa Maria Ausiliatrice a Pian del Nel. Sono comunque soddisfatto di questa bella scoperta di un angolo prezioso del mio Piemonte.