La Valle Grana sulle Alpi Cozie, è una vallata meravigliosa e man mano che la strada, sempre più stretta sale, inerpicandosi fino ai 1761 m s.l.m. che è la mia meta iniziale, mi permette di ammirare paesaggi incredibili e una vegetazione rigogliosa.
Raggiungo così il Santuario di San Magno, dopo aver avuto un piccolo contrattempo con l'auto, per aver sbagliato la percorso, sono rimasto bloccato su una strada sterrata fintanto che con l'aiuto di due giovani ragazzi locali sono riuscito a raggiungere il mio primo obiettivo.
Il Santuario di San Magno, si trova a monte delle borgate ancora abitate del paese, isolato su un colle, circondato da splendidi prati fioriti. L'edificio costruito nella forma attuale tra il 1704 e il 1716, conserva al proprio interno documenti artistici precedenti di notevole interesse. Il Santuario dedicato al culto di San Magno martire, protettore del bestiame e dei pascoli, da sempre principale fonte di sostentamento della popolazioni locali. San Magno, secondo la tradizione, era uno dei compagni di San Dalmazzo appartenente alla Legione Tebea, morto nel 772, secondo altri era un monaco benedettino di San Gallo in Svizzera, il cui culto, attraverso il Tirolo, si diffuse nel nord Italia ed in Piemonte dall'XI secolo, favorito dalle strutture monastiche benedettine. Ma la tradizione locale lo vuole martire della Legione Teba insieme a San Maurizio, San Costanzo, San Ponzio, San Chiaffredo, San Dalmazzo, San Pancrazio.
Il San Magno, sostituì nelle popolazioni locali la venerazione pagana a Marte come protettore degli armenti.
Agli inizi del 1400 a Castelmagno non esisteva ancora una chiesa dedicata interamente al Santo, ma una dedicata a Sant'Ambrogio e San Magno.
La ricorrenza a San Magno è festeggiata il 19 agosto e al Santuario, ogni anno, i pastori e i margari, ma anche tanti popolani, si ritrovano per partecipare alle suggestive celebrazioni religiose e alla processione con la statua del Santo. E se l'attuale edificio risale al XVIII secolo, il nucleo principale risale a circa trecento anni prima, quando nel 1475, il sacerdote Enrico Enrico Allamandi di San Michele di Prazzo, fece edificare una cappella in stile Gotico dedicata a San Magno.
Il crescente culto verso San Magno giustificò un primo ampliamento nel 1514 della struttura, aggiungendovi preziose decorazioni ad opera di Giovanni Botoneri, ma solo nel 1716 si giunse al completamento del Santuario attuale. Il vescovo di Saluzzo, sotto la cui giurisdizione stava la Valle Grana fino al 1817, decise all'inizio del XVIII secolo di dare avvio alla costruzione di un nuovo Santuario. L'edificio subì ancora importanti lavori nel 1775 per la costruzione dell'altare maggiore e nel 1845-1848 per il sopraelevamento del campanile quattrocentesco. Invece è tra il 1861 ed il 1868 l'edificazione dei porticati laterali e dei soprastanti alloggi per i pellegrini.
Questo sito, ove sorge il Santuario che fosse già un luogo sacro già in epoca romana dedicato a Marte, è confermato dall'Arula ritrovata alla fine del 1800 ed ora murata sul retro dell'edificio. Prima di accedere all'interno del grandioso Santuario percorro tutto il porticato che lo incornicia e, se da un lato posso ammirare lo splendido scenario della valle Grana, d'altra sono collocate lapidi e pannelli che raccontano la storia del Santuario e del suo prezioso contenuto. Posso così osservare l'Arula d'epoca romana, perfettamente conservata, sulla cui lapide vi è inciso: "A Marte, Dio Ottimo e Padre, Esdulio Montano costruì un'ara, sciogliendo volentieri il suo voto". Durante alcuni scavi furono ritrovati dodici tombe, vasi, lampade e oggetti vari, tra cui alcune monete di rame di epoca imperiale, risalenti al 250 d.C. circa.
Supero il maestoso ingresso con l'alto porticato, accedo all'interno e mi reco subito a guardare le più celebri Cappelle. La Cappella Allemandi realizzata intorno al 1475 per volontà del sacerdote Enrico Allemandi, nominato Rettore delle chiese poste nel territorio di Castelmagno, per festeggiarne l'anniversario del suo sacerdozio. La semplice Cappella ma ben decorata era affiancata da una torre campanaria alta 18 metri e costituisce oggi il nucleo più antico del Santuario. Fu decorata nella seconda meta del XV secolo con affreschi di Pietro Pocapaglia da Saluzzo, detto "Maestro del Villar" che raffigurò sulle vele gli evangelisti, i dottori della chiesa e Dio Padre in mandorla; lungo le pareti, se pure in stato frammentario, si vedono episodi della vita di San Magno e i resti di una cavalcata dei vizi alle spalle dell'altare. Un'altra cappella, detta "Cappella vecchia", fu invece integralmente affrescata nel 1514 da Giovanni Botoneri, un frate francescano di Cherasco come attesta la scritta al di sopra della porta di ingresso. Gli affreschi raccontando la condanna e la passione di Gesù a partire dal suo ingresso trionfale in Gerusalemme e culminando con la Crocifissione sull'arco trionfale. Però sono altresì affrescati anche i sette martiri della Legione Tebea: San Magno al centro, San Maurizio, San Costanzo, San Ponzio, San Chiaffredo, San Dalmazio, San Pancrazio ed altri santi legati alla tradizione locale e popolare, come San Michele che pesa l'anima di un morto, San Giacomo che compie il miracolo di Santo Domingo de la Calzada, salvando un giovane pellegrino ingiustamente impiccato.
Interessante è l'altare maggiore realizzato con marmi pregiati nel 1775. Probabilmente dello stesso periodo è il quadro posto attualmente dietro l'altare maggiore, raffigurante San Magno in armatura seicentesca, San Giovanni Battista e Maria Maddalena, sullo sfondo di un paesaggio portuale. Degne di nota le altre tele conservate nel Santuario. I molteplici ex voto conservati fanno particolarmente rifermento a San Magno che protegge gli animali al servizio dell'uomo, nello specifico ai bovini, estremamente preziosi in questo territorio.
Lascio il Santuario dopo essermi lungamente soffermato e in auto mi reco nella sottostante borgata Chiappi (Quiap in occitano). Tutte le case sono in pietra e legno, purtroppo molte in stato di abbandono, ciò nonostante conserva il suo fascino ed è estremamente curata. La borgata conserva una piccola chiesetta in pietra ad aula unica intitolata a San Sebastiano. Prima di lasciare questo villaggio sosto a bere dell'acqua freschissima che sgorga da una fontanella, sotto gli occhi meravigliati di alcune mucche al pascolo impegnate a ruminare mentre mi osservano.
La vicina località Sarét, conserva in un antico caseggiato del 1684 un piccolo museo etnografico "Dal Travai d'isì", dedicato agli attrezzi del lavoro, realizzato in una abitazione costruita nel 1684, che testimonia di antiche tradizioni alpine, ma che non posso visitare in quanto chiuso. Sul caseggiato vi è dipinta una bella meridiana del 1763 e un ottocentesco affresco con raffigurazioni sacre.
Son diversi i caseifici che trovo lungo la mia strada, segno che il famoso formaggio Castelmagno che prende il nome dall'omonimo Comune ha una buona produzione e commercializzazione.
In auto curva dopo curva raggiungo la ridente Borgata dei Chiotti, (Quiot in occitano) detta "La Font". Se a Chiappi non ho incontrato nessuno, qui vi sono dei giovani ragazzi intenti a parlare tra loro e una anziana signora a cui mi rivolgo per sapere come raggiungere la chiesetta della frazione intitolata a Sant'Anna. Non devo percorrere molta strada, ma è un breve sentiero erboso costeggiato da splendidi fiori, sopratutto Aquilegia rosse e bianche. La Chiesa fu eretta in Parrocchia nel 1519 e l'attuale edificio fu costruita all'inizio del Settecento, mentre l'altare maggiore è del 1760-1766. Si presente con un alta facciata, tetto a capanna. La facciata è divisa in due ordini ed è tripartita lesene. Presenta una sola porta d'accesso con due nicchie con statue ai lati in ogni ordine. Nel secondo ordine vi è una grande finestra rettangolare al centro. Sotto il marcapiano tra i due ordine vi è in posizione ventrale la scritta intitolatoria: Haec est domus domini. Un ampio sagrato in prato che come un grande balcone si protende verso la valle.
Il borgo è composto da altri tre agglomerati di case denominati "Balouard", "Térro" e "Cantoun"., realizzati in pietra e legno e ben conservati, le abitazioni sono ben tenute con le loro tende alle finestre e i loro davanzali fioriti.
Eccomi ormai sulla strada per Campomolino (Champdamoulin in occitano) capoluogo del comune di Castelmagno, Chastelmanh in occitano. Prima di arrivarci, sosto a vedere la chiesetta dedicata a San Bernardo da Mentone, posta proprio lungo la principale strada di collegamento tra le diverse borgate. Questa chiesetta fu ricostruita nel 1684 su un precedente edificio e si presenta, come una piccola chiesa con tetto a capanna, anticipata con un piccolo portico, sotto il quale, sulla porta sta dipinto la scritta: San Bernardo da Mentone, patrono dei pellegrini prega per Noi. La chiesetta di San Bernardo da Mentone conserva bei affreschi dipinti.
Subito all'ingresso del borgo di Campomolino, in un ampia piazzetta si affaccia il Palazzo Comunale e il Monumento ai Caduti.
È ormai ora di pranzo e i Castelmagnesi sono tutti intorno al desco. Mi aggiro solingo per le strette stradine del borgo, per lo più pedonali, accompagnato dagli occhi guardinghi di alcuni gatti che da dietro le finestre delle case scrutano il mio passaggio. Raggiungo così la particolare chiesa della borgata, con il suo alto pronao, cintato da una cancellata in ferro. La chiesa dedicata all'Assunta si erge, quasi soffocata tra le case e le strette strade che la circondano. Questo è un alto edificio con tetto a capanna, anticipata da un portico alto a tetto. L'accesso alla chiesa è interdetto da un miro e da un cancello che impediscono l'accesso al portico. La facciata è interamente dipinta con le raffigurazioni, tra le quali la Madonna Assunta e San Magno, ivi comprese sono dipinte le lesene.
A Campomolino, in un vecchio caseggiato, sono stati ricostruiti alcuni interni con arredi e oggetti originali, recuperati della borgata Narbona (Arbouno). Questa famosa borgata fu abbandonata agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso ed è ormai quasi del tutto crollata. Narbona diventa famosa per essere stata la sede comando delle brigate partigiane di Giustizia e Libertà. Per raggiungere questo piccolo borgo, conviene lasciare l'auto in borgata Colletto, mio prossimo obiettivo e inerpicarsi per una mulattiere tra bellissimi prati scoscesi e boschi di betulle i faggi. La borgata è disposta lungo una riva scoscesa e che sicuramente non gode di buona illuminazione solare d'inverno. Occorre farsi largo tra le tante antiche abitazioni ormai molte dirute, è possibile visitare la piccola cappella della Madonna della Neve, nella quale sono ancora presenti i banchi di preghiera. Sembra di tornare a tempi antichi o vivere in un film medioevale, quando la severità della montagna metteva alla prova la vita delle persone. Nelle case ci sono ancora i mobili abbandonati con bottiglie, vasi, stoviglie che da oltre mezzo secolo sono al loro posto. È un luogo magico che vale la pena visitare. Non a caso viene indicata come la Pompei occitana, una testimonianza di una vita, molto dura, che non esiste più. Nuto Revelli, partigiano e scrittore, nel suo libro "La guerra dei poveri" la definisce un muro di case, quando la raggiunge dopo essere sfuggito ad un rastrellamento nazista.
In quel dedalo di irte e strette stradine che compongono il borgo vivevano ancora durante la seconda guerra mondiale una novantina di persone, la metà di quanto vi risiedevano nell'Ottocento. La vita era semplice, fatta da ripetitive azioni quotidiane e stagionali che costrinsero poco per volta ad abbondonare il borgo, da sempre raggiungibile a piedi.
Anche per i morti era difficile trovare pace, infatti dovevano essere trasportati a spalla fino al cimitero della borgata Colletto. Ultimo viaggio non facile, con frequenti soste lungo il tragitto e durante il periodo invernale, quando la neve imbianca questi aspri monti, dovevano aspettare in qualche pagliaio il disgelo.
Mentre, sempre in auto mi dirigo verso la borgata Colletto, ripasso brevemente la storia locale. Nel toponimo si fa menzione di un castello di cui vi sono tracce nella borgata Colletto. Il castello era di forma quadrata con quattro torrioni agli angoli.
La storia di Castelmagno è comune a quella dell'intera valle Grana, ed è legata sia al vescovo di Torino che ne era signore che a Cuneo, a cui era saldamente unita e di cui seguì le vicende storiche tra angioini, marchese di Saluzzo e i Savoia.
Nonostante non sia una zona particolarmente agevole, le borgate furono teatro di aspri combattimenti nel 1744, quando i gallo-ispani scesero anche dal colle del Mulo per cingere d'assedio Cuneo. Infatti localmente si ricorda il 'vallone dei morti' ove più duro sarebbe stato il combattimento. In quell'occasione le borgate di Chiappi e Chiotti furono saccheggiate. Sempre tra borgate si tornò a sparare nell'aprile del 1944, tra i partigiani di Giustizia e Libertà, guidati da Nuto Revelli, Alberto Bianco, Ettore Rosa che erano attestati nella Borgata di Narbona, e ove i tedeschi tentarono di accerchiarli.
Narbona è una delle borgate più suggestive, ma non è la sola ad essere abbandonata, infatti vi sono anche Riolavato (Rulavà), Càuri (Caouri), La Croce (La Crous), Batùira (Batouira), Albrato (Albrè) e Tetti (Tech). Visitando questi antichi insediamenti pare di compiere un viaggio nel tempo. Invece ad essere ancora abitate, oltre a quelle finora visitate sono Einaudi (Inaout), Colletto (Coulet), Valliera (Valiera), Campofei (Champdarfei), Nerone (Niroun).
Lasciata la strada provinciale mi inerpico su un tortuosa e stretta strada che mi conduce nella borgata Colletto. Già dalla vallata, Colletto appare come un gruppo di case incuneate da due grandi speroni rocciosi, sulle cui case domina e spetta il campanile della chiesa dedicata a Sant'Ambrogio.
Lasciata l'auto percorro le strette stradine della borgata, larghe poco più di un sentiero, da subito vedo il piccolo museo della "Vita d'isì" realizzato sulla storia della vita quotidiana di questi borghi di montagna e dove vi è una sezione particolare dedicata ai lustrascarpe, attività a cui erano dedicati i ragazzi che scendevano in città.
Raggiungo così il ristorante dove ho prenotato il pranzo; non ha grandi insegne ed è realizzato in una tipica casa in pietra. Non ha un atrio o il tradizionale bancone da bar , ma poche e piccole stanzette, arredate rusticamente ma con eleganza. Tra i sassi delle pareti sono affisse antiche foto del borgo e dei lavori campestri. Ho così modo di pranzare con i piatti tipici valligiani, fatti di erbe semplici e profumati e saporiti formaggi. Il piatto principe sono i gnocchi al formaggio Castelmagno. Questo tipico formaggio, d'importanza storica in Piemonte è prodotto solo in alcuni comuni della Provincia di Cuneo con latte di vacca e un'eventuale aggiunta di latte di pecora e capra. L'alpeggio, degli animali deve avvenire a quote superiori ai 1000 metri, se si vuole ottenere la menzione aggiuntiva "di Alpeggio". La stagionatura avviene in luoghi naturali e asciutti, meglio se in grotte per un periodo non inferiore a 60 giorni. La crosta del formaggio giovane, si presenta liscia e di colore giallo rossastro, tendente all'arancione. Invece se è stagionato è rugosa e il colore paglierino carico, con una muffetta tendente al marrone. La pasta, friabile e granulosa ha odori e aromi intensi di colore bianco o paglierino, a seconda della stagionatura. Come secondo piatto, assaporo piacevolmente una piccola selezione di diversi tipi di stagionatura di questo formaggio, compreso quello erborinato che presenta venature verdi naturali. Il tutto accompagnato da un vino rosso e corposo come il Nebbiolo d'Alba.
Posso così proseguire la mia escursione per Colletto, non prima di ricordare che già nel 1277 era stata fissata una tassa annuale per i pascoli, l'ebatico, che andava pagata in formaggio al Marchese di Saluzzo. Non si hanno documenti certi, ma si presume che la produzione del Castelmagno abbia avuto inizio attorno all'anno 1000.
M'inerpico lungo la lunga scalinata per raggiungere la chiesa parrocchiale di Sant'Ambrogio al Colletto. Dal sagrato della chiesa, prospiciente la vallata si gode di un panorama incredibile. La chiesa ha origine medioevale. Questa chiesa fu l'unica parrocchia su tutto il territorio comunale fino al 1519 quando fu elevata a Parrocchia anche quella di Sant'Anna in borgata Chiotti. Si presenta con tetto a capanna e un solo accesso con coppie di lesene binate agli angoli. Una finestra sopra la porta d'accesso ne permette l'illuminazione. La facciata è interamente affrescata. Ormai la giornata è quasi conclusa, le prime ombre della sera stanno scendendo nella vallata, lentamente e serenamente lascio questo spettacolare lembo di terra che contribuisce a fare il Piemonte una regione unica.