Blog di Dante Paolo Ferraris

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Cartolina da Cuba

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Cuba (12/2009) Calpestare a piedi nudi, le bianche spiagge caraibiche, sotto un sole che tenta di rubare il cielo al buio, questo il mio dream caraibic.
Un sogno caraibico divenuto realtà, lontano dal frastuono di una civiltà che ormai consuma se stessa, l’infrangere delle onde sulla spiaggia nel silenzio assordante dell’alba, ha il sapore di un concerto.
Si combina la naturale bellezza delle isole caraibiche con l’atmosfera magica e nostalgica dei tramonti, sulle sue spiagge e dai colori a tempera delle povere case. Ciò la rende una meta esotica e incantevole.
Le profonde acque blu che accolgono l’isola in un anello magico, fa da contraltare alle bianche spiagge che declinano lentamente, colorando le acque da uno azzurro tempera a uno splendido turchese ad un profondo blu oltremare.
Lo scroscio delle acque che si infrangono sulle spiagge è ritmato dallo sciacquio dei miei piedi sulla battigia., ove la trasparenza delle calde acque rende impossibile non aver voglia di immergersi, sentendoti un novello “Nettuno”.
Spiagge deserte, dove l’arena bianca riflette l’ intensa luce e le palme che vi si specchiano offrono ombra e riparo.
Esse raccontano di veri giardini negli scienti fondali, ove i coralli dai colori più sgargianti nascondono pesci multicolore, che per nulla intimoriti dalla presenza umana, si pavoneggiano, mostrando con orgoglio i colori dei quali la natura li ha dotati e che il sole rispecchiandosi nel mare accende con maggior enfasi.
Dal turchese del mare alla coltre smeraldo della giungla, ecco cos’è questa isola delle meraviglie.
E’ ciò che mi attende alla ricerca dei carabi dei pirati e del loro tesoro nascosto.
Mi accolgono minuscoli centri abitati, di povere case dai colori vivaci. Animali da cortile fanno di ogni piccolo villaggio una grande fattoria, con galline, faraone, maiali, cavalli, mucche e gli immancabili cani che con i loro languidi sguardi raccontano la nostalgia dei luoghi.
Distese di canne da zucchero, cortei di alberi di mango, pompelmo, lime fanno da corona ai villaggi e alla strada che percorro.
Nei campi, contadini operosi sono intenti a curare ciò che per loro è il vitale sostentamento. Mucchi di biciclette ai lati della strada segnalano la loro presenza, sempre presenti con il terribile machete, strumento utilizzato per ogni attività agricola.
Ogni tanto sorpasso una povera giumenta che tira un carretto carico di masserizie e di persone. Invece mi sfreccia in senso opposto una coloratissima Chevrolet, una Pontiac o una Oldsmobile dai colori vivacissimi, appaiono dipinte con il pennello, hanno superato i cinquant’anni di vita e a parte il filo di ferro che le tiene insieme sono strabiliantemente funzionanti e affascinanti.
La giungla è splendida, arrivo in un pianoro, dopo 20 minuti di barca a motore lungo il Canimar, percorrendo uno slalom tra le radici delle mangrovie che scolpiscono splendidi monumenti dedicati alla natura stessa.
Supero quasi novello Schumacher le leggere barchette di legno degli indigeni del luogo, intenti a pescare con una locale tirlindana.
Spiaggio vicino a un piccolo villaggio dai tetti in foglia di palma da cocco, si fanno intorno a me, gioiosi e urlanti un mugolo di bambini pronti a giocare con lo straniero.
Mi addentro alla giungla accompagnato da un vecchio cacciatore che mi fa vedere splendidi uccelli, dai piumaggi coloriti, credo che siano parrocchetti, non ci capiamo con il linguaggio ma coi i gesti e con gli occhi, tutti e due ammagliati dallo splendore del luogo e dal canto dei volatili che frullano tra le foglie degli alberi.
Abbracciati alle mangrovie, ficus e le palme reali e nane splendidi scindapsus, alocasie, albizie, dracene ecc.
Da lontano mi fa vedere un enorme coccodrillo, intento a crogiolarsi al sole in una pozza di fango, insieme ai suoi piccoli che il mio sherpa dice di avere circa quattro mesi, sono ormai protetti come animali in via di estinzione.
Sono entusiasta, esterrefatto che a pochi chilometri dalle spiagge assolate e stracolme del turismo consumistico esistano ancora dei piccoli paradisi terrestri.
Tornato al villaggio, trovo una specie di grande roditore che gioca con i bambini, come i nostri fanno con i cagnolini. In effetti mi fa un po senso, soprattutto quando me lo mettono in braccio, credo di aver capito si tratti di una jutia addomesticata e che fino a qualche anno fa era oggetto di caccia spietata per la sua carne, sopratutto durante il periodo del più duro embargo al popolo cubano.
Trinidad, Cienfuegos, città dallo stile di vita un po retrò, mi accolgono con i loro edifici coloniali dai colori sbiaditi, i cappelli dalle falde larghe dei cavalieri a spasso per la città, le lunghe vesti bianche o intensamente colorate delle donne campesinos.
Il fascino dei carabi è da ritrovarsi proprio nella sua unicità.
L’aria è perennemente impregnata dalla musica che accompagna i ritmi cadenzati di un popolo che ha conservato il calore dell’ospitalità.
Il transito delle vecchie e colorate macchine americane e il rumore degli zoccoli dei cavalli che rimbombano sul selciato, rende l’atmosfera nostalgica, di un tempo che a noi europei sembra cosi lontano.
I piccoli e caratteristici bar, servono con il ritmo caraibico di lento lentissimo, magnifici rom che con sapiente maestria è trasformato nel moderno cuba/libre e mojito.
L’odore del tabacco dei sigari riempie i locali ed è un tutt’uno di aroma con gli odori di vecchi arredi, più un misto tra cambusa di un vecchio galeone pirata e una ricercata modernità tra le spillatici di cerveza.
La salsa, danza tipica cubana domina anche nei movimenti di tutti i giorni.
Ognidove, uomini e donne, ragazzi e fanciulli pare abbiano la salsa nel sangue.
I giovani cubani amano curare molto il proprio aspetto fisico e la salsa insieme allo sport sono molto seguiti. Corpi che sembrano scolpiti da un novello Michelangelo, sono l’affascinante aspetto delle giovani donne e dei glabri uomini dal colore meticcio che rendono ancor più merito a madre natura.
La capitale l’Havana è una delle più vecchie città delle americhe.
Mostruosi palazzi circondano ad anello la città Vieja e il Vedado.
E il tripudio dell’ architettura coloniale, balconi lavorati in stile barocco si alternano a patii andalusi, graziose le arcate delle case, strade acciottolate con maestria interrotte da antiche bocche da fuoco che fungono ormai da colonnine paracarro lungo le calle centrali.
L’Havana non può che far venir alla mente lo scrittore americano Ernest Hemingway che la renderà famosa con il suo più celebre romanzo “il vecchio e il mare”. Non posso non seguire le orme di Hemingway e non passare al floridita ove andava a bere il suo Daiquiri, non sedermi vicino al vecchio bancone a sorseggiarlo e anch’io immaginare come l’autore, avesse li pensato alla storia del vecchio pescatore Santiago che insegna l’arte della pesca a Manolo, ma poi andare sempre nel cuore de l’Avana Vecchia, a due passi da Plaza de La Catedral a visitare La Bodeguita del Medio, sempre affollata da turisti, cubani e musicisti che suonano musica tradizionale.
Locale tra i più famosi della capitale che deve la sua celebrità a un delizioso cocktail, il mojito, e a lui, suo affezionato cliente Ernest Hemingway. Ma qui si sono incontrati molti altri artisti famosi, tra cui Marlene Dietrich, Gary Cooper e Errol Flynn che lo definì, simpaticamente, uno dei migliori locali to get drunk (per sbronzarsi),celebrità che hanno lascito alla Bodeguita del Medio un ricordo fotografico del loro passaggio e oggi queste fotografie sono affisse alle pareti contribuendo a fare della Bodeguita un locale leggendario. Entrambi ambienti pittoreschi e gradevoli, per fare del luogo un vero e proprio must.
Tanto si può ancora dire di Cuba e dalle mille piccole e splendide città, delle sue spiagge, della sue foreste, ma sopratutto dalla sua gente, che ama la sua isola in maniera passionale.
Io devo lasciarla, ma lancio uno sguardo ancora sulla costa, in attesa di quel galeone che sventola la bandiera nera con il teschio che io da sempre cerco,con quell’’anima di bambino che spero di avere ancora.
Dall’aereo un ultimo sguardo all’isola mentre mi risuona nella mente le note della celebre canzone di Joseíto Fernández, Guantanaera e della sua amata Guajira e un pensiero, non mio ma di quell’americano che ha amato cuba più di tutti. Ernest Hemingway“ cuba non sembra solo meravigliosa è semplicemente meravigliosa”.