Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Castelnuovo Bormida

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Castelnuovo BormidaLa mattinata è fredda, la galaverna ricopre alberi e campi intorno alla strada che con l'auto percorro. Sono certo però che il sole non tarderà a vincere ed a riscaldare la giornata.
La mia meta è quella di un piccolo borgo edificato alla destra del fiume Bormida. Raggiungo facilmente la meta, posta nelle pianure alle pendici dell'acquese e parcheggio nei pressi del suo castello: Calstelnuovo Bormida; anche se poste lungo il percorso della via Emilia le sue storie documentate risalgono al decimo secolo, quando il vescovo Primo ottenne dall'imperatore Ottone III di Sassonia la conferma dei possedimenti e l'estensione sui castelli e territori di Cavatore, Terzo, Strevi e Cassine, compreso il territorio dove oggi insiste Castelnuovo Bormida. Ma prima di entrare nel borgo, provenendo da Sezzadio facciamo una breve deviazione lungo la strada dei Preisi, detta la Sergenta, dove all'angolo con la via Aemilia Scauri, antica strada romana che univa Vado Ligure (Vada Sabatia) a Tortona (Dertona), trovo la cappelletta dedicata a santa Maria, a cui i castelnovesi sono molto devoti in quanto elevata dopo la pestilenza del 1714 per aver salvato il loro bestiame. Una tradizione vuole anche che venga denominata la cappella della Sergenta perché posta nel luogo in cui un sergente dell'esercito napoleonico, dispersosi insieme ai suoi uomini, ricevette da una donna indicazioni sulla strada da seguire, riuscendo così a mettersi in salvo e a raggiungere il resto dell'esercito. L'edificio si presenta molto elegante e in condizioni ottime, segno di una devozione popolare mantenuta nel tempo, il santuario in laterizio intonacato e granito ha un ingresso ad arco, sorretto da due colonnine in pietra con capitelli. Sopra di essa una lapide in pietra incisa con la scritta che recita: "O passegger che passi da questa via inchina il capo a salutar Maria B.V.M."
Entro così in Castelnuovo Bormida, costeggiando case padronali e antiche abitazioni contadine fino a raggiungere la chiesetta di San Rocco che si presenta all'angolo tra le vie Roma e Barocchio. La chiesa è a capanna, anticipata da un portico a tre archi con quattro colonne in pietra con un alto frontone triangolare. Anche questa chiesa è dovuta alla devozione popolare essendo stata edificata nel 1631 quale voto al temine dell'epidemia di peste che aveva decimato la popolazione. Sempre su via Roma si prospetta un bell'edificio con un portone importante. L'edificio fu sede dell'asilo infantile "Amalia Spinola" fondato nel 1853 dall'avvocato Giovanni Stefano Gaioli, che fu sindaco del paese. Oltre a mettere a disposizione l'edificio provvide anche all'acquisto degli arredi e a fornire una rendita annua. Altri aiuti economici provennero da altri benestanti locali tra cui il marchese Teodoro Ferrari e donna Teresa Bruni Gaioli, sorella dell'avvocato e moglie del Cav. Federico Bruni. A donna Teresa Bruni Gaioli è stata dedicata una via in paese. L'asilo fu retto dal parroco don Giovanni Araldi, noto teologo e pedagogista a cui fu anche intitolata una strada nel borgo. Nelle prime parti del ventesimo secolo ospitò anche le scuole elementari. L'edificio divenne proprietà comunale nella prima metà del XX sec ed è ora adibito a scopi di pubblica utilità.
Parcheggiata l'auto raggiungo la piazza della chiesa parrocchiale. La bella e grande piazza antistante l'imponente edificio religioso è decorata dal 1985 con una grande scacchiera, sulla quale annualmente si gioca una caratteristica partita a scacchi con pedine viventi in costumi rinascimentali. La chiesa è dedicata ai santi Quirco e Giulitta e sorge su un più antico edificio religioso documentato nel 1232. L'attuale edificio risale alla fine del XVII secolo, forse un ampliamento di quello originario in stile romanico. La facciata in stile neoclassico fu realizzata nel XVIII secolo, in quanto quella precedente dava problemi di stabilità. Anche la massiccia torre campanaria è risalente al 1715. L'imponente facciata si presenta tripartita da lesene e colonne, sull'architrave della porta centrale un iscrizione ricorda la dedicazione della chiesa e sopra di essa c'è un timpano semicircolare. Tra le alte colonne ed il marcapiano spezzato vi è una ampia finestra. Lateralmente negli altri due ordini si aprono due più piccole porte con piedritti e un timpano triangolare posato sull'architrave. Sopra a due timpani vi sono due grandi finestre ovali. Sopra il marcapiano nella parte centrale vi è un bell'affresco rappresentante il martirio del piccolo San Quirico e della madre Santa Giulitta, opera ottocentesca del pittore acquese Ivaldi, ora restaurato. L'interno è in stile semibarocco a tre navate e conserva pregevole opere d'arte fra cui le tele di scuola lombarda del XVII sec raffiguranti san Pio Quinto ed il miracolo del crocifisso, oltre alla seicentesca cappella di san Feliciano con i suoi marmi pregiati. Uscito dalla chiesa, dopo aver ammirato i quattro evangelisti dipinti nella cupola sopra il presbitero, mi soffermo a guardare l'adiacente viale della rimembranza dedicato ai caduti di tutte le guerre. Su un monumento realizzato in granito e marmo, consistente di un piccolo obelisco marmoreo su un basamento in granito, sui quali sono incisi i nomi di tutti i caduti. Poco distane, affacciato ad una piccola piazzetta alberata, vi è l'edificio che ospita la sede municipale. Questo è un piccolo edificio, che solo la presenza delle tre bandiere sul lungo balcone al primo piano la identificano come edificio pubblico. Sopra alla piccola porta di accesso la scritta dipinta "Municipio"insieme allo stemma comunale nobilitano l'edificio.
Sull'altro lato della piazzetta si prospetta la ex chiesa della Madonna del Santo Rosario, un antico palazzo e il castello. Tutti in precedenza contenuti all'interno delle mura castrense. La chiesa, sorse nel XIII-XVI secolo, quando vennero rinforzate le difese del castello e venne dedicata alla Madonna del Rosario. L'edificio è in stile romanico con linee molto armoniche. L'antica porta d'accesso riporta la scritta "1584", mentre la nuova porta che si affaccia su piazza Marconi è datata 1738, quando venne ampliato anche l'abside. Si racconta che una galleria sotterranea colleghi la chiesa con il castello. Secondo racconti popolari la chiesa sarebbe stata edificata in seguito alla vittoria cristiana sugli ottomani a Lepanto nel 1571, ma era solo un ampliamento di un edificio già esistente. L'edificio è sicuramente tra i più interessanti del borgo ed era oggetto di una forte devozione popolare per i santi che vi erano venerati; come San Bovo protettore degli animali domestici, San Defendente di Tebe contro i lupi, ma anche San Carlo e San Pio V. Attualmente la chiesa è sconsacrata e adibita a teatro. L'edificio è collegato con il grande e bello Palazzo dei Gaioli, ad un tempo vi era un corridoio pensile che permetteva alla famiglia di recarsi alle funzioni religiose senza uscire di casa. Anche la dimora del Sacerdote era collocata dei pressi dell'edificio religioso. Su piazza Marconi, nell'antico edificio oggi insistono alcuni caratteristici locali commerciali di prodotti tipici. Il grande cortile di Palazzo Gaioli si affaccia sul corso del Bormida, rivolto verso Rivalta Scrivia, ora è una piazza dedicata al Geo Pistarino, nativo di Castelnuovo Bormida che fu professore Emerito presso l'università di Genova alla facoltà di Lettere. Fu insigne medievista di fama internazionale e Presidente della Società di Storia Arte Archeologia per la Provincia di Alessandria - Asti. Nel soffermarmi a osservare le glaciali acque del Bormida, coronato da pioppeti e verdi campi, mi sovvengono le violenti alluvioni del fiume che riacquista ogni volta i suoi antichi spazi di palude.
Ma mi corre la memoria anche alla più importante battaglia che sotto le mura del castello, difeso anche dalle acque del fiume si è svolta. Il fatto d'arme ebbe luogo l'11 Gennaio del 1704 durante la guerra per la successione al trono di Spagna e vede scontrarsi un'armata austro-piemontese e una francese. La battaglia durò diverse ore, vedendo contrapposti il famoso maresciallo francese Vendôme e il maggior generale conte Solari e il principe Filippo Erasmo di Liechtenstein. Durante un combattimento all'arma Bianca perirono sia il principe Filippo Erasmo di Liechtenstein e dopo due giorni di agonia il conte Solari. Gli austro-piemontesi alla fine ebbero la meglio riuscendo a proseguire la loro marcia. La battaglia costò ad entrambe le armate almeno 2000 morti e centinaia di feriti. Anche la popolazione subì gravi danni, sia per le distruzioni che per i saccheggi.
Il castello è il simbolo del borgo ed è intorno ad esso che ebbe sviluppo il paese. Il maniero come si presenta oggi è risalente al 1300 benché rimaneggiato ripetutamente nel corso dei secoli, con la sua possente torre quadrata strapiombante sul fiume. Il complesso è una struttura di mattoni di forme approssimativamente trapezoidale. Della struttura originale esiste ancora un tratto di cinta muraria e la base quadrata della torre. Le successive modifiche strutturali e aggiunte di corpi di fabbrica sono stati realizzati per potenziare le opere di fortificazione per poi successivamente ingentilire il castello. Un castello e forse un receptum fu fondato verso la fine del secolo X dai Vescovi di Acqui Terme nell'area a loro donata da Ottone III. Il receptum e il borgo rimasero sotto il controllo dei vescovi di Acqui, probabilmente fino al XII secolo, successivamente passò sotto il dominio del Marchese del Monferrato, confermato con diploma dell'imperatore Federico Barbarossa nel 1164. Sul castello e il borgo dovettero godere di diritti di discendenza aleramica i marchesi di Incisa, ma che furono privati dei loro diritti dall'imperatore Enrico VI, in quanto accusati di fellonia e conseguentemente privati dei loro beni. Ancora nel XIV secolo Castelnuovo risulta in possesso del Marchese del Monferrato. Nel corso dei secoli XV e XVI secolo le fortificazioni su impulso dei Paleologi, in particolare del Marchese Guglielmo VIII furono ristrutturate e potenziate. I feudatari furono anche gli Adorno di Genova tra il 300 e il 400, periodo in cui Gian Galeazzo Visconti occupò gran parte dei territori intorno a Castelnuovo, trasformando il borgo con il suo nuovo castello una punta avanzata all'interno del Ducato di Milano. Successivamente Giovanni III del Monferrato lasciò il luogo nel 1380 ad Antonio Pozzo e poi Ottolino Zoppi. Scomparsa la dinastia degli Zoppi, subentrarono i Sacco, i Moscheni, i Grasso di Strevi, spesso con il castello frazionato tra le diverse famiglie. Lo ritroviamo riunito nel 1604 grazie ai Moscheni che lo vendettero a Luca Grillo e poi questi nel 1623 a Ottavio Ferrari, conte di Orsara. La peste del 1630 falciò circa un terzo della popolazione, ad essa si aggiunse nel 1644 il saccheggio da parte delle truppe francesi. È bene ricordare che Castelnuovo Bormida subì nel 1745 il passaggio e l'accampamento delle truppe del Maresciallo Maillebois. Tra i 20/30 mila francesi, spagnoli e svizzeri impegnati nelle guerre di successione austriaca si accamparono tra Castelnuovo e Rivalta Bormida. I Ferrari conservarono castello e titolo anche quando il Monferrato passò sotto i Savoia nel 1708 e a Castelnuovo fu conferita la dignità di marchesato. Da allora il castello perse gradualmente il ruolo di maniera fortificata per acquisire quello di residenza signorile dei marchesi Ferrari.
Come ogni castello ha leggende di fantasmi tra cui quella della Dama Rossa, figlia del castellano del XVI secolo, che fu murata viva nel castello per punizione per essersi innamorata dello stalliere. Si racconta di rumori notturni, fruscii e luci che si accendono e spengono provenienti soprattutto dalla torre. Dopo aver ammirato il castello con il suo torrione, loggiato, ponte levatoio e i diversi casamenti, lentamente mi inoltro per le strette vie del borgo. Le case che costeggio sono molto antiche, spesso con grandi cortili, altre sono già più moderne ma sempre dalle forme aggraziate. Mi piace pensare che queste strade che percorro, un tempo non asfaltate, fossero percorse da diversi importanti personaggi che nacquero in questo borgo, come Don Lorenzo Gaggino, natovi il 3 Aprile 1880, salesiano diplomato in Agraria e laureato in Filosofia a Roma nel 1905. Fu missionario a Smirne in Turchia, poi a Costantinopoli dove fu ordinato sacerdote. Rientrato in Italia fu inviato prima a Novara e poi a Vercelli. Durante la Prima guerra Mondiale fu cappellano militare presso l'ospedale Regina Margherita, fu poi inviato a Roma, poi a Frascati e in seguito a Tolentino e Castelvecchio. Tornato a Roma si arruola volontario come cappellano militare nella guerra in Eritrea, nel 1939 è assegnato in Libia e poi alla parrocchia di Tobruch, dove fu catturato dagli inglesi. Successivamente rientra a Roma dove finisce i suoi giorni nel 1966.
Un altro personaggio noto, anch'egli nativo di Sezzadio, ma da genitori castelnovesi, è sicuramente Biagio Caranti. Costui nacque nel 1839, visse l'intera giovinezza a Castelnuovo Bormida, figlio di un magistrato e avvocato acquese. Tutta la sua famiglia aveva ricoperto importati incarichi pubblici sia ad Acqui Terme che a Castelnuovo Bormida. Biagio mentre studiava giurisprudenza a Torino, conobbe a casa del Marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio, Giuseppe Garibaldi. Abbandonò gli studi e lavorò come addetto al Ministero degli Interni con il governo Rattazzi prima e con Camillo Benso dopo. Nel 1860 raggiunse la Sicilia con altri volontari dove entrò a far parte dello stato maggiore garibaldino del generale Stefano Turr, dove vi rimase fino alla battaglia del Volturno. Fu poi chiamato a Napoli dall'amico Marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio, prodittatore di Napoli, a svolgere l'incarico di suo segretario. In seguito ricoprì gli incarichi di reggente presso il Ministero degli Affari Esteri, Segretario della Prefettura di Palermo, Capo della Divisione presso il Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, Consigliere Comunale di Torino e parlamentare. Sposò Luigia Suaut-Avena, figlia dell'avvocato Suaut. Alla morte del nonno materno della moglie, ereditò un ingente patrimonio immobiliare, tra cui la Certosa di Pesio, ex convento di frati cappuccini e trasformato dal cav. Giuseppe Avena in un rinomato stabilimento idroterapico, frequentato dal futuro Re Umberto, Clotilde e Maria Pia di Savoia, Massimo D'Azeglio, Giovanni Giolitti e Camillo Benso Conte di Cavour. Dopo una breve esperienza nell'amministrazione del Banco di Sconto e di Sete di Torino, passò alla prestigiosa Banca Tiberina, restandone alla guida per 12 anni. Morì nel 1891, pochi mesi prima della messa in liquidazione della banca stessa.
Raggiungo così la cappella dell'Immacolata Concezione sita in via Bruni Gaioli. L'edificio sorge ove in precedenza esisteva un pilone votivo che è stato inglobato bella muratura dell'attuale cappella. La cappella dell'Immacolata Concezione è stata costruita nel 1712 ed è chiamata comunemente nella tradizione popolare "La Madonnina". La facciata della Chiesa è protetta da un alto portico ad arco con frontone a Timpano triangolare. L'unica semplice porta di accesso è fiancheggiata da due piccole finestre rettangolari, mentre una più grande è posta sopra alla porta. La chiesetta a navata unica dispone di un bel campanile in laterizio. Poco distante si trova la più antica cappella di San Sebastiano, anche questa edificata quale voto contro la pestilenza. La piccola cappelletta bianca è molto semplice con il suo tetto a capanna ed un cancello a protezione del semplice altare. Nel rientrare verso il centro del borgo mi colpisce una scritta dipinta in nero su sfondo bianco, ormai scolorita, posta su un edificio che sicuramente è di uso agricolo e che recita: "BANCA POPOLARE ITALIANA, sede sociale di Torino. Tutte le operazioni di banca" a testimonianza dell'imprenditoria agricola del borgo. Ciò mi permette di ricordare un altro castelnovese. Giovanni Traversa vi nacque nel 1901, uomo politico impegnato al fianco degli agricoltori. Costui fu il primo presidente della Coldiretti di Alessandria nel 1946 fondò il movimento femminile delle donne rurali. Riprendo ormai l'automobile, soddisfatto di questa breve visita a Castelnuovo Bormida, piccolo borgo ricco di storia e tradizione, rientro verso casa.