Le trasmissioni televisive a colori erano ovviamente i miei preferiti e ricordo con piacere una delle trasmissioni di produzione della Televisione Svizzera: "Cappuccetto a pois", di Maria Perego, prodotto dal '69 per quasi un decennio, ma il mio preferito era Gatto Arturo, nato nel 1972. Era un personaggio ingenuo, curioso e interessato a tutto ciò che lo circondava e sapeva cogliere il lato positivo del mondo in qualsiasi situazione, affrontando la vita divertendosi, senza tuttavia trascurare l'apprendimento. Con il suo costume a righe, la lunga coda e il sorriso perennemente stampato sul grande musetto è stato capace di stimolare ed educare il suo pubblico con quel suo linguaggio mimato. Non lo sapevo, ma benché nato negli anni della generazione dei baby boomers stavo vivendo la generazione X, quella senza una vera identità. Ero troppo piccolo per vivere e partecipare alle contestazione del Sessantotto e le lotte studentesche degli anni Settanta. Ho passato la mia fanciullezza ed adolescenza negli anni in cui il mondo era diviso in due blocchi, quello americano e quello sovietico, che i mass-media di allora sottendevano con la dicotomia tra bene e male.
Anni strani, ma gioiosi e spensierati quelli della mia generazione che viveva ancora nell'idea della famiglia patriarcale anche se era in forte ascesa l'emancipazione femminile. Vi era il rispetto, anche solo formale, per le istituzioni sociali e politiche; in TV ero ammaliato dai duri dibattiti televisivi sui maggiori temi come il divorzio e poi l'aborto. Nello stesso periodo si presentava mediaticamente una comicità grassa e sessista in programmi televisivi come Drive in, anche se, vista la mia giovane età l'apprezzavo particolarmente.
Non sapevo quale sarebbe stato il mio futuro, me lo auguravo radioso, nonostante l'appartenenza ad una classe sociale tutt'altro che benestante. Le promesse che ci venivano fatte dalla classe politica era l'aspettativa di un buon lavoro, la serenità economica, una famiglia modello, ed invece era tutto solo show. Iniziava infatti, dopo un periodo di grandi conquiste sociali, la fase della dissoluzione delle ideologie. All'epoca non se ne provava nostalgia per questa perdita, anzi si vedeva tutto in positivo. Infatti sono cresciuto vedendo calpestare letteralmente le macerie del muro di Berlino.
Poi, negli anni Novanta i partiti politici iniziarono ad essere vuoti, privi di dottrine se non estremiste. La politica sembrava non aveva nulla a che fare con le ideologie e sembravano preferire di gran lunga la spartizione del potere e del denaro, lo scandalo di tangentopoli fu un duro colpo per il sistema dei partiti collusi. Insomma, mi sento di aver vissuto e forse sto ancora vivendo la generazione della fine degli ideali, dove le promesse hanno lo stesso peso specifico delle fiabe. Quando incontro i miei ex compagni di scuola e raffronto le nostre condizioni economico-sociali, mi rendo conto che quasi nessuno fra i miei conoscenti è diventato più ricco dei suoi genitori. Chi ha potuto ha messo su famiglia con non poche difficoltà: casa in affitto o con un mutuo pesante, un figlio, due al massimo.
Tutto ciò, quasi sempre aiutati dai genitori. Le generazioni che ci hanno preceduto hanno potuto godere della felicità assicurata da una ripresa economica fulminante, sicuramente un lusso visto gli standard di vita precedente. Noi invece abbiamo arrancato, faticato e "tirato la cinghia" oserei dire, e quello ottenuto è grazie ai genitori che hanno pagato gli studi e molto altro. Ancora oggi tiro linee per far quadrare i conti della spesa, riportando tutto sull'agendina, come si faceva un tempo. Oggi l'economia famigliare è segnata da una tremenda sensazione di precarietà, un mercato del lavoro asfittico e privo di tutele. I mass media con le loro rapente pubblicità, pone le nuove generazioni sempre alla conquista del nuovo e del costoso. I social-network creano aspettative ed invidie. Per poter vivere le tappe dei desideri esistenziali, come l'acquisto di una casa, una maternità, un miglioramento lavorativo se non l'acquisto di un auto, a volte bisogna aspettare anni o indebitarsi con le finanziarie e le banche, diventandone schiavi.
Il dover procrastinare le scelte più importanti della vita perché «non ci si riesce prima», pesa pesantemente alle nuove generazioni, proprio perché le aspettative sono alte e se ritengo che la nostra generazione è stata tradita dai proclami politici, l'attuale è stata illusa anche dal mercato e da una globalizzazione travolgente. Che belli i tempi in cui la Cassa di Risparmio ti regalava un bussolotto di metallo per metterci i tuoi piccoli risparmi, fatti di mancette. Li portavi orgoglioso con i tuoi genitori in banca che li metteva sul libretto dei risparmi e a fine anno vedevi crescere il tuo piccolo gruzzoletto con gli interessi. Oggi, non solo sei obbligato ad avere il conto corrente in banca, ma a fine anno sono le spese di gestione del conto corrente che hanno i numeri sempre più grandi. La voce pagamento interessi è scomparsa dal vocabolario bancario.
La vita mi scorre addosso e nemmeno me ne accorgo mentre mi affanno a cercare una modalità per mettere da parte i soldi per assicurarmi una stabilità economica che mi permetta di arrivare e mantenermi una pensione soddisfacente. Ma il tempo passa inesorabilmente, le generazione cambiano rapidamente e non ci sono più le energie fisiche e mentali per assaporare pienamente ciò che ti rimane. Certo rimane la lista dei desideri di ciò che non potrò più fare o ottenere. Posso almeno guardare con nostalgia, vedere scorrere le nuove generazioni.
Oggi la sociologia identifica le generazioni che si sono succedute in vere e proprie categorie di persone vissuti in particolari contesti economico, culturale e sociale nello stesso periodo. Quindi stando ai loro calcoli io sarei un Baby Boomers o afferente alla Generazione X perché nato a cavallo delle due generazioni. I primi perché nati tra il 1945 e il 1964. I secondi nati intorno al 1963-1980. Baby Boomers sono la generazione dell'esplosione demografica, definiti ottimisti, individualisti e consumisti. Talmente tanto fiduciosi nella prosperità economica che fanno debiti e acquisti a rate. Sulla fiducia nella prosperità economica ho molti dubbi, di certo è una generazione di persone che amano il lavoro e sono attenti alla forma fisica e alla salute. La Generazione X invece non ha un profilo chiaro e veniamo descritti spesso come cinici, scettici e senza valori, una generazione molto intraprendente e tecnologica, non nel mio caso per quanto riguarda la tecnologia e l'informatica.
Ritengo che questa descrizione sia semplicemente dovuta alla sfiducia di un sistema economico che non ha garantito un equa distribuzione del benessere ed anzi abbia promosso un rapido decadimento delle ideologie. Di certo posso dire che la generazione dei Millennials, detta anche Generation Y, Generation Next o Net Generation, ossia coloro nati intorno e tra il 1980/1995, che cresciuti con la rivoluzione informatica è più smaliziata, tollerante e individualista, anche se a volte li vedo eccessivamente narcisisti ed ambiziosi, ma sicuramente competitivi. Insomma li ritengo molto più ottimisti del sottoscritto. Ma chi mi colpisce è la Generazione Z, detta anche anche iGen, Post-Millennials, Centennials, o Plurals. Sono coloro nati intorno e tra il 1995/2010. Sono i nativi digitali, Internet regola il loro rapporto con la realtà. Sono privi di preconcetti, hanno un concetto di genere, in inglese gender come piace oggi indicarlo, meno rigido delle generazioni precedenti. Li considero molto più svegli, saggi e multiculturali, più ambientalisti, a parità di età della mia generazione
Questa è la generazione che mi prende in giro e lo fa con leggerezza e disinvoltura, per la scarsa dimestichezza che ho, buona parte di noi, con i dispositivi elettronici, ma anche per la nostra ostinazione di sembrare giovani a tutti i costi. Spero che queste generazioni non siano private della possibilità di crescere e cambiare il mondo che li circonda. Hanno sostanzialmente ragione, perché oggi abbiamo giovani "ragazze" di quarant'anni e uomini di cinquanta che si credono eterni adolescenti e che si atteggiano a ragazzini nel vestirsi e nei comportamenti. A quarant'anni, mi ricordavano che non siamo più ragazzi ma adulti, dove era necessario avere un lavoro, una famiglia e magari dei figli. Il tutto ovviamente con le frustrazioni e soddisfazioni che la vita dona. L'indipendenza economica dalla famiglia propria famiglia era un obbiettivo indiscutibile.
Certo la mia generazione non sfornava tutti laureati, anzi il diploma di maturità era una conquista, quasi un miraggio nel mio caso. Per andare a lavorare serviva un "mestiere" e una buona gavetta. Oggi il mercato del lavoro è molto più duro e competitivo, e non basta la laurea, hai bisogno di un master, di un corso di alta formazione, una specializzazione, conoscere tre o quattro lingue e sapersi districare con i linguaggi informatici. Non tutti potranno avere la possibilità di fare un lavoro che sia all'altezza delle proprie capacità o delle aspettative, ma mi sento di consigliare loro di continuare a cercare, non abbandonarsi e comunque cominciare a lavorare, rendendosi autonomi ed indipendenti economicamente. L'occasione verrà, non fatevi rubare la speranza come con destrezza l'hanno sfilata via a molti.