Colgo l'occasione della festa per andare a visitare questo antico borgo.
Voglio visitare il paese prima che inizi la manifestazione della Lachera per potermela poi guardare con calma.
Parcheggio l'auto in un parcheggio realizzato sotto il colle su cui si erge Rocca Grimalda. Al paese si accede da una sola strada che si inerpica verso la cima di questo sperone roccioso che domina la riva destra del torrente Orba.
Arrivo all'ingresso del paese, attraverso un sentiero e una scaletta, mentre la strada asfaltata come una biscia sale verso il castello. Sulla strada vi è un uomo accompagnato dal suo cavallo che tiene per le briglie; a cavalcarlo comodamente seduto sulla sella c'è il suo amico cane che sobbalza al suo passo come se tra i due ci fosse un mutuo accordo.
La camminata mi permette di fare un breve ripasso della storia di Rocca Grimalda.
Reperti recentemente ritrovati vicino al borgo, nella piana sottostante fanno presumere un insediamento delle tribù liguri. Il ritrovamento tra le località San Carlo e Schierano di alcuni manufatti ci riportano all'epoca romana. Recenti studi archeologici hanno rivelato, in località Trionzo la presenza di un castello alto-medievale, parzialmente scavato nella roccia tufacea e protetto da una palizzata.
Il paese nel tempo ha cambiato più volte nome, da Rocca Costantina, attestato nel 1199, qualcuno afferma anche che fosse identificato anche come Rocca Rondinaria, a Rocca Val d'Orba nel 1239 e nel 1440 a Rocca dei Trotti, fino a Rocca Grimalda nel 1572.
I primi riferimenti scritti risalgono al 963 quando l'Imperatore Ottone concede il territorio ai marchesi del Monferrato.
Dovrebbe risalire al periodo alto-medioevale l'incastellamento recentemente trovato in località Trionzo, parzialmente scavato nella roccia tufacea.
Questo luogo doveva essere molto importane se nel 991 i nobili aleramici lo inseriscono tra i loci et fundi donati per la fondazione di San Quintino di Spigno Monferrato.
Il feudo fu concesso a Guglielmo del Monferrato nel 1164 da Federico I detto il Barbarossa.
Nel XII secolo il feudo fu ceduto ai marchesi di Gavi e dopo alterne vicende che vede il territorio conteso tra il Comune di Alessandria e il marchese del Monferrato, passa ai Genovesi che lo investirono alla famiglia Malaspina. Fu successivamente per un brevissimo periodo libero Comune. Passato nuovamente ai marchesi del Monferrato nel 1355 fu assoggettata ai milanesi e nel 1440 assegnata da Filippo Maria Visconti a Galeazzo Trotti.
Dopo alterne vicende della famiglia Trotti, fu venduta da questi ultimi alla famiglia Grimaldi, patrizi genovesi che vi dominarono fino al XIX secolo.
Fu sotto il periodo dei Grimaldi che il borgo assunse il nome di Rocca Grimalda e sempre in questo lungo periodo il paese, il castello subirono diverse occupazioni e assedi. Ricordo il 1650 quando subì pesanti devastazioni e occupazioni da parte francese, ove fu distrutta quasi interamente le mura della cinta difensiva. Ancora i francesi in compagnia dell'esercito sabaudo nel 1672 lo assediarono.
Nel XVIII secolo austriaci, spagnoli e francesi si combatterono per il possesso della rocca. Sempre nel XVIII secolo Rocca Grimalda entra in possesso dei Savoia, fatto salvo il periodo napoleonico.
Raggiungo così piazza Senatore Borgatta dove s'innalza il castello. Il primo nucleo del castello risale al XIII secolo, in precedenza una struttura difensiva insisteva su uno sperone di roccia in località Castelvero, dove oggi sorge la chiesa di santa Limbania.
La parte più antica dell'attuale maniero è la torre circolare costruita in laterizio, composta di cinque ambienti in piani sovrapposti dotata di una scala ricavata nello spessore della muratura.
Una stanza della torre è detta del trabocchetto proprio per la sua antica funzione di stanza per la tortura.
La torre è dotata di piccole aperture a feritoie che servivano a permettere alla luce di illuminare l'interno, mentre esternamente, la sua sommità è decorata da una triplice serie di archetti pensili, la sua merlatura, invece, è stata distrutta da un fulmine che ha colpito la torre nell'Ottocento. La torre nel tempo ha svolto diverse funzioni, anche come prigione.
Purtroppo è necessario ricordare che proprio durante il periodo di dominazione dei Malaspina il castello e la sua torre furono protagonisti di un crudele episodio.
Infatti nella torre venne imprigionato per 10 anni Giacomo Malaspina, fratello di Isnardo Malaspina, crudele e cinico feudatario di Rocca che aveva già eliminato gli altri due fratelli Antonio e Giorgio, proprio per impadronirsi del feudo.
Il castello è formato da diverse ali, ha subito diverse modificazioni nei secoli fino ad essere trasformato a lussuosa residenza signorile nel XVIII secolo, impreziosita da un bel giardino come belvedere sulla valle dell'Orba.
Nel 1774 Giovanni Battista Grimaldi modifica ancora l'edificio per permettere alla popolazione di accedere alla cappella del castello.
Risale sempre a quegli anni il grandioso fastigio posto sulla facciata del castello, con le sue grandi finestre e le più piccole e ovali al piano terreno.
Il maestoso complesso ha una forma a quadrilatero irregolare che si sviluppa intorno a un piccolo cortile e si impone sui tetti delle case del borgo per la sua posizione rialzata.
Mi avvio verso il centro del paese, dove i bambini già si stanno preparando alla festa della Lachera.
L'abitato ha un impianto medievale tipico dei centri collinari, dove da una via maestra che attraversa tutto il borgo dipartono altre strade a modello di pettine.
Subito incontro in piazza senatore Borgatta, già piazza Vittorio Veneto il Municipio che ha sede proprio a palazzo Borgatta. L'edificio è una costruzione ottocentesca con soffitti e pareti affrescate.
Il senatore Carlo Borgatta nacque a Rocca Grimalda il 17 marzo 1840 e vi muore il 19 agosto 1914; laureatosi in legge all'università di Torino, fu deputato del Regno d'Italia dal 1882 al 1897 e poi senatore dal 1900 fino alla sua scomparsa, ma anche Sindaco di Rocca Grimalda e presidente della locale Società Agricola Operaia di Mutuo Soccorso (SAOMS).
Il Senatore fu tra i principali sostenitori della costruzione della linea ferroviaria Genova- Ovada- Alessandria.
Lentamente mi inoltro in via Cesare Battista, già via dell'Edera ove vi è la sede della SAOMS fondata nel 1877, subito dopo incontro via del Cavallino. La stradina ospitava l'antica locanda del Cavallino bianco che fu aperta a fine XVIII luogo di ritrovo per carrettieri, mulattieri e viandanti e purtroppo ha cessato l'attività nel XX secolo. Luogo che nonostante le sue modeste caratteristiche ha reso famoso il borgo e il suo vino. Ancora un antica scritta dipinta sul muro ne evidenzia la porta d'accesso.
Qui nell'autunno del 1975 lo scrittore Mario Soldati vi aveva fatto visita e nel suo libro "Vino al Vino" così ricorda il locale: "all'Osteria del Cavallino Bianco di Rocca Grimalda, un momento di commozione per tutte le virtù del passato. Il vecchio Piemonte sopravvive solo ai confini della regione".
Prosegue "colazione a Rocca Grimalda, formidabile paese alpestre, tutto di una volta. Anche l'Osteria del Cavallino Bianco è così: un osteria come ormai non ce ne sono quasi più. Accogliente, affollatissima, allegrissima..." poi ancora ricorda il suo vino "... è dolcetto di Rocca Grimalda, anno 1971, gradi 14: davvero superiore sebbene con un fondo catramoso...".
Di questo vino, di cui anch'io ne sono un estimatore, ne aveva già scritto il poeta milanese Carlo Porta, nel Settecento: "on bon biccer de vin..col tocca e salda da quattordes boritt d'Rocca Grimalda." Chissà se aveva visitato l'osteria del Cavallino Bianco?
All'angolo con via Parasio, su un’abitazione, un affresco di recente fattura, rappresentante santa Teresa di Lisieux.
Proseguo verso il belvedere Marconi che ospita il bellissimo panorama sull'Appennino ligure. In questo spazio, diverso tempo addietro aveva avuto modo di partecipare e gustare il piatto tradizionali di Rocca Grimalda; la Peirbuieira, un semplice, antico e delizioso piatto di lasagne e fagioli, la cui ricetta è gelosamente conservata dalle anziane signore rocchesi.
Rientro verso il centro del borgo, alla mia sinistra vi è l'edificio scolastico intitolato a Livio Scarsi, un famoso rocchese, recentemente scomparso nel 2006. Costui fu un celebre fisico e astrofisico, docente di fisica all'Università di Palermo, consulente scientifico dell'agenzia europea e collaborò per il lancio del satellite SAX, in orbita dal 1996 al 2002.
Poco distante via Parasio diventa via Paravidino, dove su un edificio compare una lastra di pietra con il monogramma IHS che secondo la tradizione, mai comunque provata da documenti, vi fosse un tempo un convento di monache.
Mi inoltro così per via Gramsci e subito mi devo soffermare davanti a una lapide posta su casa Garrone che ricorda che qui vi nacque un altro famoso rocchese; Carlo Barletti 22-5-1735 – Pavia 25-2-1800. Carlo Barletti, sacerdote degli scolopi, fu docente di Fisica all'Università di Pavia, commissario della Repubblica Cisalpina e morì incarcerato dagli austriaci. Di Barletti, oltre alle importanti scoperte e pubblicazioni di fisica si ricorda l'amicizia che lo legava ad Alessandro Volta.
Di fronte a questa abitazione che ha una bella porta sette/ottocentesca si apre un cortile, al civico 4, caratteristico sia per la conformazione che per la settecentesca meridiana.
Alla destra di via Gramsci, si apre via 1° maggio, già via del Pozzo Nuovo. Su questa piccola strada si affacciano diverse interessanti abitazioni settecentesche e al civico 25 vi è la cinquecentesca casa Barisone. Ma sono diversi gli edifici in tipico stile tardo medievale.
Via Gramsci, termina su piazza 2 agosto 1980, strage di Bologna, già piazza Pian del Forno e piazza della Chiesa, ove al centro vi è collocata un pozzo di fattezze tardo medioevali che forniva acqua alle popolazioni fino al XIX e parte del XX secolo.
Gli fanno corona antichi edifici, alcuni ospitavano negozi che rendevano la piazza il vero centro del borgo, ora i negozi sono diventate tristemente autorimesse per auto.
Sulla piazza si apre anche il sagrato della chiesa parrocchiale, dedicata a San Giacomo Maggiore, un tempo dedicata a San Giovanni Battista e San Pietro apostolo.
Il sagrato realizzato in sassi di fiume bianchi e neri che disegnano graziosi figure geometriche si raggiunge attraverso alcuni gradini.
L'attuale edificio è menzionato per la prima volta nel 1577 anche se è realizzato su un preesistente edificio, del XIII ancora parzialmente visibile in quanto la sua facciata è inglobata nel muro perimetrale di destra.
Infatti prima di accedere al tempio rivolgo la mia attenzione a questa più antica facciata che è posta su via della canonica. L'originale facciata anche se spezzata nella parte superiore è tipicamente romanica.
Realizzata in pietra grigia tagliata a blocchi con una serie di archetti ciechi che un tempo correvano sotto il cornicione, conserva parzialmente visibile, un arco tutto sesto indica ove era posto l'antico accesso al tempio.
Al posto dell'antico portale principale d'accesso una piccola porta conduce nella navata destra.
Tornato sul sagrato principale, l'attuale facciata presenta un armonioso disegno settecentesco con tre porte d'accesso, di cui quello centrale è più grande, delle laterali.
La facciata divisa da un grande marcapiano è tripartita da lesene che proseguono fino al culmine arcuato nella parte centrale del secondo registro.
Sopra alle parti laterali vi sono delle finestre trilobate, mentre nella parte centrale tra la coppia di lesene vi è un orologio. E se l'antica chiesa era rivolta a occidente con absidi ad oriente, l'attuale invece è rivolta nord-sud.
Accedo alla chiesa che è a triplice navata, con soffitto a botte quella centrale e presenta affreschi del XX secolo.
All'interno sono conservate interessanti tele seicentesche e settecentesche altre a un pregevole organo ottocentesco posto nella controfacciata.
La chiesa parrocchiale conserva anche la cassa processionale con statua in legno policromo di san Giacomo Maggiore che viene portato in processione per il paese il 25 luglio, festa patronale di Rocca Grimalda.
Uscito dalla chiesa, m'aggiro intorno alla chiesa e trovo nei pressi dell'antico abside romanico, una pavimentazione in riseu genovese in ciottoli di fiume, ricorda dove era posto l'antico cimitero, ma vi trovo anche una antica formella scolpita posta sul retro della chiesa che ricorda san Giovanni Battista, un'altra porta incisa la data 1787 che ricorda l'ampliamento della chiesa.
Sulle pareti delle case sono affrescati dei lavori agricoli e temi religiosi con gli edifici di culto del borgo. Queste pitture murali sono di fine XX secolo.
Percorrendo via Rondinaria, raggiungo la salita di Castelvero; un bel gatto grigio mi viene incontro in cerca di coccole che non lesino a donargli. Questo gatto-guardiano di Castelvero mi accompagna fino al sagrato della chiesa di santa Limbania.
Il toponimo Castelvero ricorda il primo incastellamento posto su questo sperone roccioso che s'affaccia sulla valle dell'Orba.
La piccola chiesa è dedicata a santa Maria Assunta, santa Limbonia, la Madonna del Carmine, san Liborio e Sant'Antonio da Padova, ma è conosciuta come chiesa di santa Limbania.
La chiesa non ha una storia legata a grandi personaggi o avvenimenti storici ma a locali vicende popolari. Storie di sofferenze, di malattie contagiose che la tradizione popolare ha voluto ricordare ed identificare con la piccola chiesa. Qui per centinaia di anni la fede profonda delle popolazioni ha trasmesso alle future generazioni la storia e le tradizioni del borgo.
L'edificio, ora monumento nazionale, compare già in antichi documenti del XIV secolo, fu ristrutturata nel tardo Cinquecento.
La facciata è molto semplice, a capanna tripartita da leggere lesene, un marcapiano divide la chiesa in due registri; l'ordine superiore è caratterizzato da un classico timpano rettangolare.
L'accesso al tempio avviene attraverso un unica porta, incorniciata da semplici piedritti e architrave in pietra.
Sopra di essa, un tempo vi era affrescata la Madonna Assunta, voluta dalla marchesa Geroloma Serra Grimaldi nel 1642.
Nel secondo registro, nella parte centrale un finestrone rettangolare ai lati due nicchie vuote.
La chiesa fu ripetutamente utilizzato come lazzaretto durante le epidemie, non ultimo quella di colera del 1854.
Un tempo le devozioni a Santa Limbania era tale che chi soffriva di emicrania si recava a pregare al suo altare, ponendo ai piedi della sua statua un fazzoletto che poi utilizzava per coprirsene o fasciarsene la testa invocando la Santa. Il culto di santa Limbania arriva dal genovese, infatti questa vergine benedettina, originaria di Cipro, visse nel monastero di san Tommaso di Genova nel XII secolo.
Furono i mulattieri e i cavallari provenienti da Genova, soprattutto da Voltri a portarne la fede, poi con l'arrivo della famiglia Grimaldi il suo culto fu ancora maggiore.
La chiesa è a navata unica con volte a botte e pavimento in cotto, ribassato dal piano di campagna. Il contrasto tra la semplicità della facciata e la ricchezza degli affreschi interni, con il suo marcato simbolismo tardo gotico è impressionante.
I dipinti occupano totalmente le pareti dell'abside centrale e del semicatino che lo sovrasta per poi alternarsi a spazi vuoti nell'intradosso e nelle nicchie e cappelle laterali.
L'abside centrale ospita un affresco dedicato al Trionfo dell'Assunta datato prima metà del XVI secolo e un altare barocco genovese più recente.
L'affresco anche se non in splendide condizioni di conservazione permette di distinguere in alto il Padre eterno con le braccia aperte in segno di accoglienza, al di sotto del quale in una mandorla vi è inserita la Madonna Assunta ed intorno a questa degli angeli con trombe.
Al di sotto di queste figure, all'altezza dell'altare un marmo istoriato, nell'affresco è visibile un paesaggio, presumo Rocca Grimalda con il suo castello con le rotonde torri, ovviamente non capitozzata dal fulmine nel 1865. Ai lati del paesaggio vi è dipinto un gruppo di apostoli.
Nell'abside di destra un altro gruppo di affreschi anche cinquecenteschi, rappresentano la Madonna in trono col bambino Gesù e i santi Sebastiano e Rocco, ma vi sono anche raffigurati san Paolo con altri santi Martiri, santa Chiara e un Santo francescano, forse proprio san Francesco d'Assisi.
Nell'abside di sinistra vi è un complesso decorativo dedicato a Sant'Antonio da Padova. In quell'abside vi è un settecentesco altare in marmi policromo all'interno del quale vi è la scultura lignea barocca di santa Limbania.
Fino al 1910 la festa di santa Limbania ricorreva il 16 giugno poi spostata al 10 agosto; durante la quale viene benedetto il cotone da distribuire ai fedeli e da mettere nelle orecchie per chi soffre di emicranie. La Santa viene considerata la protettrice dei naviganti, dei mulattieri, dei cavallari, dei facchini e degli emigranti. Era uso durante le guerre che coloro che venivano chiamati alle armi si rivolgessero a santa Limbania per averne la protezione.
Ma la piccola chiesa ha tanti altri bei affreschi o tele, come il pulpito decorato con immagini di Santi.
Lascio la chiesa e sull'uscio trovo il mio amico gatto ad aspettarmi; dopo aver ricevuto un'altra serie di coccole, con la sua coda diritta a mo' di antenna si allontana per sdraiarsi comodamente sull'erba sotto un frondoso albero.
Mentre scendo le scale mi sento comunque osservato, come se questo gatto guardiano volesse accertarsi del mio allontanamento.
Prima di prendere per via dei Bastioni, incontro via Torricella, toponimo che ricorda le vecchie fortificazioni; lungo questa via si trova la casa di riposo, IPAB, opera Pia "Domenico Antonio Paravidino", fondato con lascito testamentario nel 1820.
Domenico Aantonio Paravidino, nato a Rocca Grimalda fu sindaco del borgo dal 1816 al 1819, lasciò tutti i suoi beni e proprietà per realizzare un ospedale per i "miserabili".
L'attuale sede dell'istituto in via Torricella fu donata da don Tito Borgatta nel 1884.
Il palazzo già esistente nel 1347 divenne dapprima ospedale per poi essere trasformato in casa di riposo.
Don Tito Borgatto nacque a Rocca Grimalda nel 1805, laureatosi in teologia, presi i voti sacerdotali e fu canonico della cattedrale di Acqui Terme.
Percorrendo via dei Bastioni, anche questo toponimo ricorda le vecchie fortificazioni, al civico 4 trovo altri affreschi murali, stavolta tardo ottocenteschi anche se restaurati recentemente, raffiguranti una Crocifissione e un Ostensione con l'Agnus Dei.
Percorso l'intera strada raggiungo l'incrocio con via Calderai, dove anche via dei Bastioni diventa via Roma.
Prendo per via Calderai che ricorda un antico mestiere a via del Borghetto, un altro toponimo che ricorda l'antico ricetto. Lungo questa strada si affacciano diverse antiche case del XIV secolo.
Rientrando verso via Paravidino, attraverso via Certo dove è visibile un affresco datato 1995 raffigurante la Madonna della Guardia che testimonia l'affinità dei Rocchesi con la Superba.
In via Roma si affacciano molti importanti e interessanti edifici come quello posto al civico 33 che ha incastonato sull'angolo dell'edificio un leone scolpito nella pietra, ed un altro affresco ottocentesco con l'Immacolata Concezione al civico 25.
Mentre il palazzo al civico 43 presenta un bel portale barocco in pietra.
Scendendo in via Vergine delle Grazie raggiungo l'omonimo Oratorio.
L'Oratorio risale al XVII–XVIII secolo e vi opera la confraternita di Santa Maria delle Grazie dove i confratelli vestono la divisa bianca.
Presenta una facciata a capanna, un rosone centrale e la caratteristica decorazione a fasce di due tonalità di giallo. Sopra il portone vi è il novecentesco affresco dell'Immacolata Concezione.
La trovo aperta e vi trovo all'interno una bella cassa processionale con la statua della Vergine delle Grazie; un anziana signora che è presente in chiesa per fare le pulizie mi dice che la cassa risale al 1863 e che è fatta in legno di fico e che la statua viene portata in processione la terza domenica di agosto.
Sono colpito dagli innumerevoli ex voto presenti, molti dei quali sono piccoli quadretti con dipinti raffiguranti diversi tragici eventi, come malattie, infortuni, guerre che furono la causa della intercessione per ottenere la Grazia.
Lascio questo piccolo scrigno di religiosità per recarmi a vederne un altro collocato poco distante, sempre in una traversa di Via Antonio Paravidino.
Raggiungo così l'Oratorio di san Giovanni Battista e della santissima Trinità, sede della omonima confraternita.
La confraternita nacque nel Seicento con lo scopo di riscattare gli schiavi cristiani.
Anche l'edificio è seicentesco, la sua facciata è a capanna ed è tutta intonacata di grigio anche se si vedono degli affreschi che un tempo dovevano coprire l'intera frontale.
Il suo interno ha una navata maggiore con soffitto a botte affrescato nel XIX secolo e una navata laterale più piccola.
Interessanti le tele conservate raffiguranti la Madonna Addolorata, san Luca, san Filippo Neri e santa Caterina.
È presente un semplice altare in marmo e una bella cassa processionale raffigurante il battesimo di Cristo del XVIII secolo, portata in processione l'ultima domenica di Agosto.
I confratelli Trinitari, vestiti di rosso, anticamente praticavano il rito di "piantar maggio" che consisteva nell'innalzare un pioppo davanti alla chiesa, decorato con mazzi di fiori e il rosso vessillo della confraternita.
Mi piace ricordare come la confraternita nel rispetto della cultura della civiltà contadina partecipavano alle Rogazioni; introdotte da Papa Leone III per preservarsi dalle calamità naturali, che significavano morti, povertà e un annata di stenti per la comunità.
Tornato su via Antonio Paravidino, non posso non ricordare chi fu costui per la cittadinanza di Rocca Grimalda. Antonio Paravidino nacque nel borgo nel 1925 e trovò la morte a Bosio nel 1944 a soli 19 anni, fucilato dai nazifascisti alla Benedicta.
Operaio della San Giorgio a Genova diventò partigiano del V distaccamento della III brigata Garibaldi "Liguria".
Più avanti svolto in via dei Prefetti, fatti pochi passi mi soffermo davanti alla lapide posta su una abitazione che ricorda che vi nacquero: Giovanni Battista Carosio il 5 giugno 1834 che da umili origini divenne Prefetto della Provincia di Massa Carrara e morì a Ovada nel 1905; Giovanni Battista Rossi, nato il 16 settembre 1868 che fu Prefetto delle Province di Como, Grosseto e Pisa e che morì nel 1949.
Mi ritrovo nuovamente in piazza dove vi è l'antico edificio comunale, ora adibito a Ufficio postale e a Museo della Maschera.
Colgo l'occasione per visitarlo in quanto racconta non solo una parte della storia del Borgo ma raccoglie maschere etno antropologiche della tradizione italiana.
Il museo conserva l'abbigliamento cerimoniale e maschere sia antropomorfe e zoomorfe delle varie feste e ricorrenze. Tra queste anche quelle della tradizione di Rocca Grimalda della Lachera.
La tradizione narra della presunta rivolta del popolo contro lo ius primae noctis, una leggenda del XIII secolo quando Isnardo Malaspina, feudatario di Rocca, esercitava il diritto di prima notte con le novelle spose dei sudditi rocchesi.
Questa barbara usanza fu interrotta da una famiglia rocchese che ebbe il coraggio di sfidare il castellano.
Un ballo popolare che si svolge a Carnevale, ripercorre la presunta e mai provata storia e in verità un rito propiziatorio della fertilità e della rinascita della Primavera, sicuramente di origine precristiana.
Il corteo nuziale è preceduto dalla questua nelle cascine, e i personaggi che compongono l'accompagnamento degli sposi, sono variegati. Aprono il corteo i Trapulin, arlecchini dagli abiti rattoppati che muniti di sonagli e frustini allontanano gli spiriti maligni.
Intorno ai due sposi vi sono due damigelle e due Zuavi armati di spade e con caratteristici cappelli a fungo decorati con fiori multicolori.
I Trapulin con lo schioccare delle fruste sembrano dare il tempo al ballo delle damigelle e dei lacchè, mentre gli zuavi incrociano le spade in segno di difesa.
I lachei, saltano, sventolando dei nastri variopinti che sono parte della mitria infiorata portata sulla testa.
I balli tramandati da secoli sono sostanzialmente tre: la Lachera vera propria dove i lacchei con saltelli armonici avanzano e indietreggiano verso gli sposi, la Giga e il Calisun.
Seguono il corteo mulattieri e campagnoli vestiti in abiti tradizionali.
Partecipa al ballo anche il Bebè, un pagliaccio che disturba i danzatori e scherza con la folla. Costui, vestito da donna con cuffia in testa con grande orecchie e corna caprine, rappresenta il diavolo tentatore e il disordine e viene continuamente allontanato dagli zuavi.
Lascio il museo della maschera dal cortile interno, ora diventato un giardino dedicato al Dott Gianfranco Paravidino medico condotto del paese dal 1970 al 2005.
Riprendo l'auto per fare un giro nei dintorni di Rocca Grimalda. Appena fuori dal centro urbano, mi si prospetta una cappelletta che è anche il monumento ai rocchesi caduti in guerra. Il viale che dal castello conduce alla cappelletta è intitolato ad Adolfo Ugalia, un rocchese nato nel 1922 e ucciso in combattimento a Bandita di Cassinelle il 7 ottobre 1944. Questo giovane ragazzo, radiotecnico della Siemens, militare del genio pontieri e poi partigiano con il nome di battaglia Billy aveva aderito alle Brigate partigiane di Giustizia e Libertà.
La cappella, invece, è dedicata ai santi Fabiano e Sebastiano ed è attualmente il sacrario dei caduti.
La cappella, sicuramente molto antica e purtroppo stata rimaneggiata in modo discutibile già nel 1928, ed è attualmente utilizzata come sacrario per i suoi tre caduti nelle guerre rinascimentali, un caduto nella battaglia Adua nel 1896, i cinquantuno caduti nella prima guerra mondiale, al rocchese caduto nella guerra di Etiopia del 1935, agli undici caduti e ventitré dispersi della seconda guerra mondiale.
Ma anche i due partigiani rocchesi e i cinquantanove militari e civili internati nei campi di concentramento e di lavoro tedeschi.
A poche centinaia di metri all'incrocio tra la strada provinciale per Carpeneto e per San Giacomo si prospetta la curata cappelletta dedicata a Sant'Antonio Abate.
Un tempo durante la festa di Sant'Antonio Abate, i cavallari e i mulattieri portavano i loro animali infiocchettati alla cappelletta per le rogatorie.
Vorrei andare in direzione Carpeneto, sia per vedere Pocapaglia e Trionzo, ma al bar in piazza Vittorio Veneto mi hanno spiegato che essendo proprietà privata non avrei avuto occasione di vedere la cascina Pocapaglia e Villa Morandi con la chiesetta campestre dell'Immacolata Concezione.
Sarei stato felice di visitare la zona archeologica di Trionzo dove sono stati ritrovati tracce di un castello longobardo, località in cui si racconta di ritrovi di streghe e che dall'attuale sorgente del luogo, un tempo vi sgorgasse olio e non acqua.
Mi inoltro verso la strada che conduce alla frazione San Giacomo, nelle vicinanze del cimitero vi è l'edicola della santissima Annunziata, ove vi è collocata sul piccolo altare, una ceramica colorata con la riproduzione dell'Annunciazione del Beato Angelico. Sulla sinistra, nei pressi del cimitero vi è l'alberato viale della Rimembranza a ricordo dei caduti della Prima Guerra Mondiale.
Nelle vicinanze, ormai facente parte di una proprietà privata, vi è l'antica cappelletta di san Pietro. Infatti Villa San Pietro e l'omonima cappelletta sorgono sulle vestigia della Pieve di san Pietro, antica chiesa parrocchiale di Rocca Grimalda già esistente prima dell'anno Mille.
Proseguo la mia strada fino a raggiungere la chiesa di san Rocco, situata nell'omonima località. È quasi sicuramente seicentesca ed è dotato di un piccolo portico antistante l'ingresso, munita di un campanile a vela.
Raggiungo così la frazione di San Giacomo dei Boschi, già denominata nel XV secolo come San Giacomo di Labrasca.
Il toponimo dei Boschi è derivato dalla presenza, un tempo, di folti boschi e la chiesa campestre dedicata a san Giacomo ne completa il nome.
La chiesa è già citata nel XIV secolo, ma che a inizio XX secolo fu riedificata con il titolo di san Giacomo Maggiore e della Beata Vergine del Carmelo.
L'edificio sacro ha un grande tetto a capanna con ampi spioventi. Il suo interno ha una navata maggiore e una navata minore che ospita una cappella con la fonte battesimale. L'altare maggiore è settecentesco e ospitava tre statue lignee raffiguranti san Giacomo e la Madonna del Carmelo.
Le due raffiguranti san Giacomo risalgono al XVIII e XIX secolo, mentre quella della Madonna del Carmelo, settecentesca è conservata in una abitazione privata, dopo che fu rubata e fortunatamente ritrovata.
Sicuramente il culto di san Giacomo deriva dalla presenza di pellegrini diretti a Santiago di Compostela che percorrevano la Via Franca o Ducale di Rio Secco che collegava il Monferrato alla Francia.
Importante ricorrenza che si teneva a San Giacomo, oltre la festa del Santo, il 25 luglio con la fiera, era il giorno di san Bovo, il 22 maggio, quando si portavano a benedire gli animali da lavoro (buoi, cavalli, asini, muli).
Ormai la strada mi riporta verso la provinciale 185, al cui incrocio esiste ancora una cappelletta votiva dedicata a san Luigi Gonzaga. Il santo che è invocato contro le malattie polmonari e raffigurato in adorazione della Madonna. Purtroppo l'affresco è gravemente deteriorato.
Mentre ormai mi allontano da Rocca Grimalda voglio ancora ricordare la cascina Bagotto che fu sede del Comando della divisione partigiana Mingo e che ospitò la tipografia clandestina del giornale il Patriota; la cappelletta di san Carlo, posta nell'omonima frazione, forse si tratta di una seicentesca chiesetta ora edicola; la cascina Savoia Vecchia che un tempo era la stazione di cambio dei cavalli e si trovava lungo la strada franca del Rio Secco.
Rocca Grimalda aveva anche due stazioni ferroviarie, una denominata San Giacomo e l'altra Rocca Grimalda - San Carlo, entrambe sulla linea ferroviaria Alessandria–Ovada, da tempo ormai, purtroppo, usata solo per il trasporto merci.
Ormai sono sulla strada che mi riconduce a casa e la giornata con questa interessante visita a questo antico borgo dell'alto Monferrato si è concluso felicemente.