Rocchetta come molti altri territori nel corso dei secoli entrano a far parte Oltregiogo di Genova, controllati dalle maggiori casate genovesi, quali gli Spinola, i Fieschi, i Doria, i Pallavicini e i Botta Adorno.
Genova infatti, pur essendo una Repubblica senza imposizioni feudali, aveva nelle casate genovesi di fatto dei feudatari, eredi dei disgregati marchesati Aleramici e Obertenghi.
Nel 1607 Stefano Spinola, ottiene dall'Imperatore Rodolfo II, re di Boemia e arciduca d'Austria la licenza di imporre, a Rocchetta, i pedaggi sulle merci in transito.
Dopo la congiura dei Fieschi, nel 1547, gli Spinola dominano su vaste aree delle valli Borbera, Sisola, Scrivia e Vobbia, spartendosi il territorio tra le famiglie della casata, di fatto quasi uno 'Stato' spinolino. Stefano Spinola, ingrandisce i possedimenti grazie ad una politica di alleanze, matrimoni, acquisizioni ed eredità, concedendo nel 1609 uno Statuto innovativo alla cui osservanza sono tenute le popolazioni del feudo.
Napoleone IV Spinola, succeduto nel 1626 al padre Stefano, per diritto di primogenitura ne prosegue l'opera, governando con lungimiranza i suoi feudi per oltre mezzo secolo. Costui, l'8 ottobre del 1644 ottiene dall'imperatore Leopoldo I l'erezione in Marchesato della sua signoria che comprende Roccaforte, Rocchetta, Vigo e Centrassi.
Sarà lui a ricostruire intorno alla metà del secolo Rocchetta, nel sito attuale, alla confluenza del Sisola con il Borbera, rimpiazzando l'antico villaggio oggi scomparso sulla sponda opposta del torrente.
In questa zona, di nuova edificazione, già nel 1626 si era sviluppato il nuovo borgo con diverse attività commerciali, grazie al fatto che si trovava lungo ad una via del sale, tra le più importanti vie di collegamento tra Genova e Milano. Il nuovo borgo disponeva di due 'porte' destinati al controllo e all'esazione dei dazi sui convogli delle mercanzie che, a dorso di mulo, percorrevano quotidianamente i sentieri delle via di comunicazioni con Genova, Milano e Pavia. L'opulenza della casata Spinola della signoria di Roccaforte, non solo costruisce 'ex novo' il Borgo, ma fa edificare un imponente palazzo marchionale, eretto tra il 1666 e il 1678, diventando la nuova residenza del feudo imperiale della famiglia, sostituendo quella più antica di roccaforte.
Nel suo ampliamento, l'abitato incorporò i nuclei di case preesistenti, tra cui i caratteristici 'Marughi', riconoscibili nel gruppo di case quattrocentesche di pietra, entrando a sinistra, dall'unica porta oggi perfettamente conservata che delimita il borgo a sud verso Genova. Il nuovo borgo di Rocchetta si sviluppò lungo l'unico asse viario sul quale si affacciavano le abitazioni a più piani, dipinte alla ligure, con alcuni bei portoni, la chiesa di Sant'Antonio, il palazzo marchionale, osterie, botteghe, stalle e ampi spazi per il mercato e gli scambi commerciali. C'erano i mulini di proprietà camerale e tre fabbriche di polvere pirica, che fornivano ricchi introiti fiscali. C'era il palazzo Pretorio, sede degli esattori e agenti del feudo, che ospita all'occorrenza plenipotenziari imperiali, ed una zecca per battere moneta, attiva dal 1669 al 1721. Di rilievo la stamperia camerale fondata nel 1673, dove vengono stampati importanti documenti dell'Ordine di Malta, dove il marchese Raffaele Spinola ne era Priore.
Gli Spinola hanno controllato questo feudo per oltre cinque secoli e Rocchetta era considerata, ancora a metà del XVIII secolo un bellissimo borgo, ricco e un luogo sicuro ove fioriva l'attività commerciale.
Fu a fine di quel secolo che vi fu il dissesto finanziario del feudo causato dalla pessima amministrazione Carlo Napoleone Spinola, tra l'altro accusato di stampare moneta falsa, a cui si aggiunse la carestia tra la popolazione. Il Marchese verrà interdetto nel 1784 per insolvenza. Sull'onda della rivoluzione francese, il popolo bruciò nella piazza di Rocchetta, davanti a 3000 persone, l'archivio marchionale, per disperdere le tracce della proprietà feudale. I Raggi, eredi degli Spinola, benché impossibilitati a riscuotere dazi sulle merci, rimasero in possesso di buona parte del loro territorio fino alla metà del XIX secolo e continuarono a riscuotere gli affitti di terreni e case. Rocchetta nel XIX secolo è un capoluogo di Dipartimento di un territorio quasi isolato comprendente Albera, Cabella, Cantalupo, Carrega, Mongiardino e Roccaforte. Ma prosegue inesorabile il declino della media e Alta Val Borbera, benché Rocchetta dal 1856, fosse sede di Pretura. A decretarne il declino fu l'apertura della 'Regia via dei Giovi' nel 1823 e la costruzione della ferrovia nel 1854, concentrando i flussi di traffico commerciale sul versante arquatese, condannando all'oblio le antiche strade mulattiere. Con il Ministro Urbano Rattazzi, nel 1859 venne riorganizzata la struttura amministrativa del Regno Sabaudo, suddividendo il territorio in Provincie, Circondari, Mandamenti e Comuni. Nel 1861, il Mandamento di Rocchetta si amplia, diventando parte del Circondario di Novi in Provincia di Alessandria fino alla scomparsa dei Mandamenti. Ed è grazie ad un decreto del 1863, che i borghi dell'Alta e Media Valle, otterranno il riconoscimento dell'identità storico culturale ligure, aggiungendo al loro nome, il suffisso 'ligure'.
L'isolamento, la mancanza di strade, l'asprezza d un territorio che lo rende meno produttivo, portò all'emigrazione di buona parte della popolazione. Rocchetta nel 1870 ha ancora 935 abitanti, ma intorno agli anni 20 del XX secolo, ne resteranno meno di due terzi. Mete dell'emigrazione di intere famiglie sono, già dalla fine del XIX secolo, l'Argentina, il Brasile e gli Stati Uniti. Nel borgo le uniche due sole strade esistenti sono sterrate almeno, fino alla fine della seconda guerra mondiale. La strada delle 'strette', verrà scavata nel 1874 nella roccia, e l'energia elettrica arriverà a Rocchetta tra il 1928 e il 1932, ma soltanto nel 1953 tutta la vallata ne sarà servita. Durante la II guerra mondiale,la Val Borbera ed anche Rocchetta è teatro di eventi drammatici, dove lotta partigiana ha scritto alcune tra le pagine più significative della Resistenza. Infatti Rocchetta diventò un importante centro della " Zona Libera ", istituita all'inizio di settembre 1944 ed amministrata dai partigiani. Un'ospedale verrà istituito nel Palazzo Tassorello, allo scopo di assistere la popolazione civile e i feriti, partigiani. In località 'Masenghin' si stabilì il comando della brigata partigiana Oreste, nella ex caserma dei carabinieri risedette il comando del S.I.P.(Servizio Informazioni e Polizia) che svolse importanti compiti di pubblica sicurezza per la popolazione civile. In località Coghi, vi era l'Intendenza della Brigata, prima e il comando della divisione Pinan-Cichero poi.
Superato il ponte sul torrente Borbera, imbocco via Umberto I e parcheggiato l'auto in piazza Regina Margherita, inizio ad aggirarmi in piazza, sulla quale si affaccia la Stazione dei Carabinieri, l'ufficio postale, la Banca e diverse attività commerciali. Al centro della piazza vi è collocato il monumento ai caduti di tutte e guerre. Sulla strada principale, via Umberto I, vi è il palazzo Delucchi-Tassorello-Poggie, un edificio settecentesco di 4 piani che si erge tra le case di fronte alla piazza. La facciata dell'edificio è intonacata e possiede tre ingressi, due con grandi archi, uno d'accesso al cortile, ed uno utilizzato come esercizio commerciale, mentre l'ingresso principale è leggermente asimmetrico e conduce direttamente alla una scala ai piani superiori.
La facciata possiede tre file di porte-finestre, con balconcino antistante, protetto da ringhiera in ferro battuto, mentre sopra all'ingresso principale è allineata una fila di tre finestre oblunghe.
Il Palazzo fu utilizzato sia come un asilo infantile e poi come ospedale in tempo di guerra. Ricordano l'utilizzo del palazzo alcune lapidi marmoree. Una cita l'ospedale e le persone che vi operarono: il dottor Luigi Risso, gli operatori sanitari e le religiose. Un altra, molto più grande e posta al di sotto di un affresco votivo mariano, ricorda il che l'edificio fu ospedale della Valle Borbera e che funzionò fino al 1952. Durante la guerra di Liberazione vi ricevettero cura ed assistenza civili, partigiani e nazifascisti. La lapide ricorda infatti che l'ospedalino fu creato per la brigata Oreste della Divisione Pinan Cicchero. Il borgo mantiene l'impianto urbano seicentesco allineato lungo l'unico asse viario, con alcuni edifici che conservano elementi barocchi di pregio, soprattutto nei portali, nei cornicioni e nelle tracce dei decori sulle facciate dipinti con i tipici colori liguri. Tutto ciò nonostante l'incuria dell'uomo e del tempo. Diverse anche le costruzioni successive che poco legano con i più antichi edifici.
Interessanti anche gli antichi passaggi voltati che si aprono sui cortili delle abitazioni.
Sulla strada trovo ben restaurato un antico fontanile in pietra, dove un tempo si abbeveravano i muli e gli altri animali da soma che erano in transito in paese. La lunga vasca è racchiusa in una nicchia voltata, realizzata in un edificio dell'epoca. Poco distante e sul lato opposto, si affaccia un altro antico edificio che è stato individuato come il 'palazzo pretorio' e ove vi alloggiavano gli agenti e i procuratori del feudo.
Sempre sulla via principale si affaccia il piccolo Oratorio di santo Stefano; edificio già esistente nel 1695. L'edificio, ormai sconsacrato ed adibito ha scopi privati, conserva benché alterata una bella facciata. Su questa è stato aperto di un finestrone rettangolare sulla facciata, posto sopra all'ingresso che ha un portale rifatto. La facciata conserva ancora due lesene angolari e la finestra lobata posta al centro del timpano. Questo edificio fu sede, fino alla prima metà del XX secolo della Confraternita della Buona Morte. Proseguendo ormai si staglia davanti ai miei occhi, l'imponente palazzo Spinola; oggi questo palazzo è di proprietà comunale ed ospita gli uffici e due Musei. Al piano nobile vi è il Museo delle Arti Sacre Valli Borbera e Spinti', mentre al piano ammezzato è collocato il Museo della Resistenza e della Vita Sociale in Val Borbera'. Il palazzo è circondato dagli edifici limitrofi, ma originariamente era isolato e circondato dai giardini camerali, ossia di proprietà del feudatario. Il Palazzo Palazzo Spinola fu fatto costruire tra il 1666 e il 1678 quale propria residenza, da Napoleone IV Spinola. L'edificio è scandito all'esterno da cinque file di finestre che mi permettono di immaginare la suddivisione degli spazi del palazzo nobiliare e l'importanza abitativa dei locali; infatti i grandi finestroni rettangolari, sono presenti al piano terra dove le finestre sono protette da robuste inferriate, mentre al piano nobile le tre finestre centrali sono state arricchite da una balaustra. Invece per i piani ammezzati sia inferiore che superiori le finestre sono assai più piccole e rettangolari. Cornicioni modanati ripartiscono orizzontalmente la facciata. L'accesso sul fronte principale è centrale e presenta una scalinata di quattro gradini stondati, in pietra di lucerna. Il bel portale d'ingresso, è sormontato dallo stemma della famiglia. Il piano terreno si sviluppa attorno ad un grande atrio che doveva sicuramente impressionare gli ospiti e che forse aveva funzioni di rappresentanza. Il pavimento del piano terra è originario ed è ottimamente conservato, disegnando con la sua composizione un buon effetto decorativo.
Sulle pareti sono stati affrescati lo stemma e i ritratti del marchese Napoleone Spinola e sua moglie Girolama Brignole, nonché riproduzioni delle raffigurazioni situate nella chiesa di Roccaforte Ligure. Sui lati intorno all'atrio si aprono locali un tempo destinati al commercio e una cucina minore oltre ai locali destinati a contenere le derrate alimentari e le scorte di acqua. Invece i locali interrati erano destinate a segrete o prigioni, illuminate da bocca di lupo. Dall'atrio, si sale attraverso una grande e bella scala al piano nobile costituita da 3 rampe semplici e due ballatoi finestrati. Sulle rampe si aprono, nello spessore dei muri,accessi alle scale interne destinate alla servitù e ai locali del mezzanino inferiore. Il piano nobile era rigorosamente riservato alle esigenze diurne e di rappresentanza della famiglia marchionale e si sviluppa intorno ad un sontuoso salone illuminato da tre grandi finestre che si aprono sul fronte principale del palazzo. Nell'antisalone si svolgevano funzioni amministrative e giudiziarie. Ai lati del salone si aprono gli appartamenti padronali. È immaginabile come questi locali dovevano essere riccamente arredati. L'ammezzato superiore è suddiviso in due piani sovrapposti, con funzione di alloggi, in parte dei marchesi ed in parte per la servitù. Un tempo il palazzo era dotato di quattro torrette e da camminamenti interni per gli armigeri.
Il Palazzo fu in abbandono fino al 1883 dopo l'occupazione delle truppe napoleoniche che lo danneggiarono pesantemente. Ospitò nel tempo i locali della Pretura, una Banca, l'Ufficio del Registro e nel periodo della seconda guerra mondiale ospitò la scuola media. Ospitò dopo il restauro il 'Living Theatre' di New York, che vi rimase per 5 anni fino al 2003 facendone la propria sede Europea. Il Museo d'arte sacra facendo parte del Museo diocesano di Tortona, ospitato in palazzo Spinola, conserva una collezione permanente di oggetti ed arredi sacri non più usati nella liturgia, appartenente alla miriade di chiese e oratori presenti in Valle Borbera. Invece il Museo della Resistenza e della Vita Sociale in Val Borbera "G.B, Lazagna" racconta come durante la seconda guerra mondiale, la Val Borbera sia stata uno dei punti nevralgici della guerra partigiana, ossia la VI Zona Operativa Ligure, teatro di numerosi scontri e sanguinosi rastrellamenti nazifascisti. Il borgo di Rocchetta fu il centro di una delle 'Zone Libere' della VI Zona Operativa, comprendente anche vaste zone della Val Curone, la Val Sisola, l'alta Val Grue. Qui i partigiani ricevettero sostegno e collaborazione dalla popolazione locale.
Testimone del tempo è appunto il settecentesco Palazzo Tassorello, appena visitato che fu adattato ad ospedale per fornire assistenza medica e chirurgica ai feriti e alla popolazione civile,con il supporto di medici, delle suore dell'Opera Don Orione. Fu durante questo periodo che si riaprirono le scuole elementari e si istituì per la prima volta una scuola media. Addirittura a Rocchetta Ligure si tennero, il 3 ottobre del '44, le prime elezioni democratiche libere e vi si insediò la giunta popolare con la prima consigliera comunale donna. Ciò ovviamente con pesanti rappresaglie da parte delle truppe nazifasciste che utilizzarono anche nei loro rastrellamenti truppe 'mongole' della divisione Turkestan, ex prigionieri caucasici addestrati dai tedeschi alla guerriglia antipartigiana lanciati, soprattutto contro le popolazione civile che subì razzie, feroci devastazioni e violenze anche ai danni della popolazione femminile. I partigiani erano equipaggiati ed e armati grazie anche agli aviolanci delle missioni alleate 'Walla Walla', 'Pee Dee' e 'Meridien'. Dopo la vittoria a Cantalupo, il 2 febbraio 1944, conclusasi con la resa del nemico e il sacrificio dell'eroe russo 'Fiodor' i tedeschi e i fascisti desistettero dall'entrare nello stato libero partigiano dove si andava formando ormai un esercito di combattenti ben organizzato. I partigiani effettuarono moltissimi atti di sabotaggio in Valle Scrivia sulle strade di comunicazione che collegavano Genova con l'entroterra, attacchi a comandi e depositi nazifascisti. Dopo l'8 marzo 1945, le diverse Brigate partigiana operanti in zona diedero vita alla Divisione 'Pinan Cichero'. La Divisione con le sue cinque Brigate: 'Oreste', 'Arzani', 'Po Argo', 'Val Lemme-Capurro' e '108-Rossi' saranno fondamentali, negli eventi insurrezionali per la liberazione di Genova.
Il Museo, è intitolato a G,B, Lazagna, il comandante partigiano 'Carlo' che lo ha anche ideato. il patrimonio museale va dai documenti, con le foto dei protagonisti e molti cimeli come attrezzature utilizzate dai partigiani che ripercorrono non solo i combattimenti ma anche la vita quotidiana del partigiano. Vi è inoltre una sezione del Museo che raccoglie una collezione di foto d'epoca e oggetti contadini che testimoniano usi e costumi della Val Borbera, della popolazione della vallata dalla seconda metà dell'800 al dopoguerra.
Uscito da Palazzo Spinola, trovo prospiciente trovo una scenografica fontana seicentesca,collocata, al centro della due rampe di risalita, una delle quali conduce alla chiesa parrocchiale di Sant'Antonio. La fontana posta sul piazzale davanti al Palazzo Spinola ha le caratteristiche architettoniche di un ninfeo. Salgo verso l'imponente parrocchiale con il suo settecentesco campanile e la canonica, fatti costruire dall'ultimo discendente diretto della famiglia Spinola.
La chiesa Sant'Antonio Abate ben rappresenta la potenza e la ricchezza dei committenti, ossia dal fratello di Napoleone IV, Spinola Priore dell'Ordine di Malta. Fu edificata nel punto più elevato del borgo ed è costruita in muratura e la facciata è interamente intonacata. La copertura del tetto è a capanna a doppia falda. La facciata suddivisa in due ordini è tripartita, nello spazio inferiore, da 4 alte lesene con capitello corinzio. Il campo centrale è occupato dal portone d'accesso, quelli laterali invece da nicchie contenenti le due statue dei Santi apostoli: Pietro a sinistra e Paolo a destra. L'ordine superiore è occupato al centro da una finestra a serliana e la sommità è coronata da un timpano triangolare con al centro un cartiglio con stucchi raffiguranti i simboli attribuiti a Sant'Antonio Abate: la mitra, il libro e il bastone con il campanello.
L'interno ha una navata unica molto grande, absidata. Nel catino absidale sono affrescati angeli che si affacciano da balconate. La pavimentazione dall'aula è in marmo a quadri bianchi e grigi, posati in diagonale. L'area presbiteriale è rialzata rispetto al piano dell'aula, separata da una balaustra settecentesca in marmo bianco e giallo. Due seicentesche nicchie in stucco ornate da decorazioni contengono le statue lignee della Madonna del Rosario e di Sant'Anna. Belli i quattro altari laterali anch'essi con decorazione in stucco e con colonne tortili, capitelli di stile composito e fastigi spezzati. Sono dedicati a San Francesco Saverio,alla Vergine, a San Francesco da Paola e alla Veronica. Il settecentesco altare maggiore è in marmo policromi con cherubini e conchiglie. L'altare ricorda i committenti con due grandi stemmi degli Spinola ai lati della mensa, nel catino absidale vi è un pregevole coro del 600 in legno di noce, con sedili e genuflessori. nella parte centrale dell'abside è collocata una grande tela datata 1780, con la gloria di Sant'Antonio Abate, che sembra raffigurare, sullo sfondo, la primitiva chiesa dedicata a Sant'Antonio, eretta sulla sponda sinistra del Sisola, e poi abbandonata perché ormai diruta. Nella chiesa vi sono due sepolture, mentre la strada che affianca la chiesa è via del Cimitero che ricorda che l'antico cimitero fu spostato in altro luogo nel 1935.
Proseguo la mia passeggiata su via Umberto I, fino a giungere davanti a Porta Genova.
Questa è nominata in un atto d'epoca feudale come 'Porta di Genova', è l'unica superstite delle due porte di accesso al borgo, entrambe identificate ancora nel 1836. È una struttura in pietra a vista, con un ampio passaggio voltato, a tutto sesto, sormontato da una torretta con camminamento di guardia coperto da un tetto a due falde. Sul fronte sud, tra le due finestre del camminamento è affrescato un grande stemma degli Spinola.
Nel passaggio, dove sono ancora visibili le strutture di incardinamento del portone, ci sono una finestra e due aperture, una di fronte all'altra, due porte-finestre dalla caratteristica forma a 'L' rovesciata, tipica delle antiche botteghe, probabilmente qui utilizzate per esigere i pedaggi. Una è rialzata rispetto al livello stradale e accessibile da alcuni gradini di pietra. Dall'altra porta si accede ad un'abitazione, in apparenza della stessa epoca, oggetto di un recente restauro che ha completamente restituito la parte più antica.
Ripresa l'auto, voglio fare un rapido giro per l frazioni più interessanti. Supero Porta Genova e proseguo sulla strada provinciale n°145 fino a Pagliano Inferiore.
Pagliaro Inferiore è una piccola borgata che sorge lungo il corso del torrente Sisola, il suo toponimo, come per quello superiore pare derivi da due parole liguri che dovrebbero dire "acqua limpida", almeno da quanto scrive monsignor Clelio Goggi nel libro "Storia dei Comuni e delle parrocchie della diocesi di Tortona". Girovagando tra le strette stradine, scorgo antiche linee costruttive medioevali, infatti alcuni stipiti sono in pietra scolpita. L'energia elettrica in questa borgata non è arrivata prima del 1946, mentre una strada è del 1937. Il santuario di nostra Signora della Guardia di Pagliaro si erge maestoso con il suo campanile. Questo edificio, dalle linee semplici, interamente intonacato con la facciata tripartita da leggere lesene, ha una sola porta d'accesso con alcuni gradini per accedervi mentre due piccole finestre sono posti ai lati. Un lunettone è posto sotto il grande frontone e due nicchie vuote sono posti ai lati sopra le finestre. La chiesa è stata edificata nel 1843 su una più antica cappella. Il santuario ricorda l'apparizione della Madonna a Benedetto Pareto. Costui era un contadino, vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo. Secondo la tradizione, l'apparizione di Maria al Pareto ebbe luogo il 29 agosto 1490 sul Monte Figogna in val Polcevera. Si racconta che costui, un uomo umile e pio, la Madonna avrebbe chiesto di erigerle una cappella sulla vetta del Monte Figogna. Il Pareto però fu dissuaso dalla moglie, che incredula del racconto del consorte, temeva per la reputazione della famiglia. Pareto cadde da un albero di fico e ormai moribondo la Madonna gli offri una nuova opportunità ed egli, in cambio della grazia della guarigione, si impegnò a mantenere la promessa fatta.
La chiesa è assai frequentata e la devozione appare anche nell'ordine e pulizia che ne caratterizzano il sagrato. A Pagliaro Superiore che non dista molto distante, trovo un borgo animato, con tante belle case di villeggiatura, una bella chiesa parrocchiale dedicata a San Bernardo. Questo è un edificio semplice, con tetto a capanna, interamente intonacata, tripartita da tre leggere lesene, una sola porta d'accesso e un lunettone posto al centro del timpano. Il suo alto campanile, anch'esso intonacato e il cupolino a cipolla pare dominare tutta la borgata e con il su grande orologio voglia ricordare il passare del tempo anche in questo luogo immerso nel verde. Dietro alla chiesa, sul muro del cimitero una lapide ricorda Balbi Santino, nato in questa borgata il 30 gennaio del 1926 e qui trucidato da nazifascisti il 15 dicembre 1944. I nazifascisti nel corso di un rastrellamento trovarono il giovane diciottenne che sebbene non fosse un partigiano, ma solo un renitente alla leva, in compagnia di alcuni amici sul sagrato della chiesa, venne subito fucilato sul posto. Lascio Pagliaro Superiore per raggiungere Bregni, dopo essermi inerpicato su una stretta strada. Anche Bregni è suddiviso in due borgate, molte case sono restaurate, mentre altre come molti cascinali sono ancora in pietra. Devo dire che da questi borghi si gode di un magnifico paesaggio sulla valle Sisola. Una stretta strada, costeggiata per un tratto da alberi di mele selvatiche mi conduce fino alla borgata di Sant'Ambrogio. Anche questa borgata è molto piccola e quasi in posizione centrale vi è un piccolo oratorio tutto intonacato di bianco. Sono accolto nella borgata dall'abbaiare dei cani che dopo un po' mi girano intorno circospetti ma non con cattive intenzioni. Mi siedo su un muretto in pietra che circonda il verde sagrato erboso dell'oratorio di Sant'Ambrogio a godermi il paesaggio e la tranquillità. L'oratorio ha la sola facciata intonacata mentre il resto è in pietra a vista, due piccole quadrate finestre sono poste ai lati della porta, mentre una più grande finestra quadrata è posta sotto la grondaia. Un campanile a vela è posto è posto al centro sul culmine del tetto ma non vi ho visto campana.
Scendo lungo il torrente Sisola, dopo aver fatto quasi amicizia con i due cagnolini che mi hanno seguito tutto i tempo come guardie del corpo. Proseguo la strada provinciale 145 fino ad arrivare alla borgata di Sisola, ai confini con il Comune di Mongiardino Ligure. Sisola è una splendida borgata posta tra l'omonimo torrente e il rio Fabio. Peccato che vi siano molte le case abbandonate. Le auto che vi transitano sono quelle dirette o provenienti da Mongiardino. Il peso pubblico, gli alberghi e le antiche locande, ormai in stato di abbandono rimembrano con le loro scritte dipinte sulla facciata gli antichi fasti della borgata. Gli unici abitanti che trovo in questa giornata infrasettimanale sono alcuni gatti sornioni che sorvegliano i miei passi e molti fantocci in paglia vestiti da contadini, massaie ecc.. posti chi seduti vicino all'uscio chi intento a fare lavori manuali. Un affresco, posto su posto sui resti di una casa quattrocentesca, colpisce la mia attenzione. L'affresco, protetto da un vetro, rappresenta la Madonna con le anime del purgatorio ed è datato XVI e XVII secolo. Altri moderni affreschi sono dipinte sulle case ancora abitate e rappresentano i paesaggi della campagna locale. Un po' più lunga è la strada per raggiungere Celio; infatti per arrivarci più agevolmente preferisco riattraversare Rocchetta, il ponte sul torrente Borbera, superare Albera Ligure e poi raggiunta Cabella Ligure, inerpicarmi verso Celio, dopo aver riattraversato il torrente. La strada è stretta e giuntovi, trovo un gruppo di case prevalentemente in pietra e una vista mozzafiato su Cabella Ligure e il torrente Borbera. Le case sono come raggomitolate tra loro, vecchi pozzi d'acqua sono posti qua e a tra le case. Sul punto più alto dell'abitato vi e un minuta chiesetta, tutta intonacata ed in ottimo stato di conservazione, intitolata a San Giorgio.
Lascio anche questa borgata, stanco ma soddisfatto di aver goduto di una splendida giornata, dove il sole e l'immersione nella natura mi hanno fatto ritrovare antiche suggestioni.