In auto raggiungo Vallegioliti, un'interessante borgata posta nel fondo valle. Parcheggio in una piazzetta, recentemente restaurata ed abbellita con fioriere. In questo luogo fino a cinquant'anni fa si svolgeva un importante mercato ortofrutticolo. Posta all'incrocio tra le strade provinciali n° 3 e la n° 4 si erge la chiesa parrocchiale di Santo Stefano. Questa chiesa dalla bella facciata intonacata in stile neoclassico è stata edificata nel 1819. Ha un piccolo ma decoroso sagrato in laterizio autobloccante ed alcuni verdi fioriere che l'abbelliscono. La facciata, assai semplice con tetto a capanna, è tripartita da lesene poggianti su un alto basamento. Presenta una sola porta su cui sopra è collocata una grande finestra rettangolare con bella cornice di gesso. Su un lato vi è un piccolo porticato su cui sopra è collocata una lapide che ricorda l'arciprete Pietro Acuto che fu parroco di Vallegioliti per quarantasei anni e che morì nel 1947. Questo sacerdote fondò l'asilo infantile e continuò la sua opera sacerdotale, nonostante fosse divenuto cieco. Lo slanciato campanile della chiesa sembra gareggiare con i circostanti colli nel raggiungere le nuvole.
Il suo interno è a croce latina con decorazioni pittoriche ad affresco. Le mura di questa chiesa hanno raccolto e conservano le difficili trattative tra il Vescovo Angrisani e i capi delle Brigate Partigiane Monferrato e Patria, per trattare la liberazione dei militari tedeschi catturati l'11 novembre 1944. L'incontro avvenne nella casa del parroco di Vallegioliti, Don Acuto, ormai anziano era già quasi cieco. I partigiani acconsentirono di liberare i prigionieri tedeschi in cambio di alcuni loro compagni catturati. Tale richiesta di scambio fu consegnata dal Vescovo al comando tedesco, che però lo rifiutò. Il Vescovo dovette tornare a Vallegioliti, dove, dopo una sofferta trattativa, i partigiani accettarono di rilasciare i militari tedeschi catturati per evitare altre rappresaglie sulla popolazione. L'indomani il Vescovo fu condotto a Cascina Montagnino, dove gli furono consegnati i militari tedeschi e riportati a Casale.
Inizio ad aggirarmi per il borgo, una bella scoperta di case ben conservate è interessanti monumenti, come quello dedicato a san Pio. Si tratta di una grande statua di bronzo, fatta erigere da un devoto davanti alla propria abitazione. Invece su un obelisco sono elencati i caduti della prima e seconda guerra mondiale, compresi dispersi e patrioti di Vallegioliti. Un bel monumento ligneo invece è posto nei pressi del viale alberato e rappresenta un anziano con il suo cane e un giovane, bellissimo rappresentazione della vita.
Da Vallegioliti provengono famosi stampatori del XV- XVI secolo, alcuni si trasferirono a Venezia e stamparono importantissime opere letterarie. Si tratta della famiglia Giolito de Ferrari che con il figlio Gabriele, tra il 142- 1578 è ricordato come raffinatissimo stampatore, tanto che l'Aretino lo definì "piuttosto da principe che da libraio". Ricordo anche Bernardino Giolito, detto "lo stagnino", cui si devono dei capolavori stampati tra il 1489 e il 1538.
Mi fermo qualche minuto al cimitero di Vallegioliti; voglio rendere omaggio a ai fratelli Brusa Romagnoli, ivi sepolti, che facevano parte della Brigata Autonoma partigiana Patria. Filippo, Teobaldo e Mario sono medaglia d'oro al valore militare. Commovente l'epitaffio che i loro genitori e i fratelli hanno voluto incidere sulla loro lapide: Famiglia Brusa Romagnoli, tre fratelli, due martiri un eroe. Sia il vostro sacrificio apportatore di pace, faro di luce fra tante tenebre, per rischiarare la strada agli uomini di buona volontà, affinché i popoli oppressi ottengano giustizia. Mario, nome di battaglia Nando, era un diciottenne meccanico, nato a Guardiaregia in provincia di Campobasso, Aderì alle formazioni autonome, precisamente la VII Monferrato.
Fu scelto, insieme ad altri tre partigiani per un'azione di sabotaggio ad un treno di soldati tedeschi che transitava lungo la ferrovia Torino - Milano a Livorno Ferraris. L'azione di sabotaggio riuscì, ma un proiettile ferì Mario ad una gamba. Aiutato dai suoi compagni, trovò rifugiò in una cascina per essere poi trasferito all'ospedale di Cocconato.
Una donna fece la spia e i fascisti della "Monterosa" catturarono tutti, con Mario c'era Francesco Bena di Crescentino, Vittorio Suman di Caresanablot e Giuseppe Gardano di Trino. I quattro partigiani furono condotti al municipio di Livorno Ferraris e fucilati il 30 marzo 1945 da un plotone di esecuzione fascista (Rau, reparto arditi ufficiali). Anche due dei suoi fratelli morirono in guerra. Teobaldo fu torturato e ammazzato dai nazifascisti, Filippo, soldato del regio esercito, ferito, dopo una notte all'addiaccio spirò per una broncopolmonite. Il loro padre, Giuseppe, fu il sindaco della Liberazione a Villamiroglio. Costui, antifascista, aveva lasciato il Piemonte per il Molise, dove aveva conosciuto la moglie Nicolina Romagnoli. Ebbero anche altri figli, tra cui uno dopo nato nel dopoguerra al quale fu imposto lo stesso nome del partigiano ucciso a Livorno Ferraris. Quest'ultimo divenne un celebre attore, doppiatore e fondatore della scuola di teatro Sergio Tofano. Salgo verso il capoluogo e ripercorro brevemente la storia del borgo. Si racconta che Villamiroglio fosse un insediamento Longobardo ed alcuni toponimi della zona sembrano di derivazione Longobarda, quali Mezzalfenga, Seminenga, Scarfenga, etc. Anche se s'ipotizza che già nel I secolo a.c., vi fossero stanziate tribù celtiche.
Comunque sia si ha notizia certa del borgo dal Diploma Imperiale di Federico Barbarossa del 14 ottobre 1164, che attesta la sua fondazione ed infeudazione alla famiglia dei Miroglio, che fondò il borgo chiamato allora Villa Santa Maria, la quale prese in seguito il nome della famiglia fondatrice, che lo governò fino al XVIII secolo. Nel 1713, il feudo dei Miroglio entrò a far parte dei domini sabaudi, poi del regno e dell'Italia repubblicana. Parcheggiato nella piazzetta davanti al piccolo palazzo municipale, mi soffermo dapprima a guardare lo splendido panorama che definirei sconfinato, infatti, in una bella giornata come oggi, non solo si vedono le borgate del fondovalle come Vallegioliti o quelle sul crinale opposto di Mezzalfenga, Curto, Brusa ecc... ma anche le torri di Leri nel vercellese, individuando l'imbocco della valle d'Aosta, Ivrea e la sua Serra. Si vedono anche l'innevato Monterosa e le alpi biellesi. Sono convinto che se avessi un buon cannocchiale potrei vedere il santuario della Madonna Nera d'Oropa.
A piedi mi reco verso il cimitero del capoluogo, dove a pochi passi si erge la bella chiesa di San Michele, intitolazione che ricorda le sue origini medioevali. L'attuale edificio risale al XVI secolo, ma ha origini più antiche, perché è già citata negli estimi della diocesi di Vercelli del 1299. La chiesa è in ottime condizione, realizzata in mattoni e arenaria. La chiesa a tetto a capanna presenta una facciata divisa in due ordini con ampio frontone triangolare e marcapiani, sempre in laterizio, sporgenti. La facciata presenta quattro lesene di cui due angolari che arrivano fino sotto il frontone, interrotte solo dai marcapiani. Un sagrato con autobloccanti rossi anticipa i tre gradini d'accesso. La porta presenta una cornice in laterizio con lunetta sovra porta, mentre nel secondo ordine, centralmente vi è una finestra quadrilobata. Il suo interno a navata unica presenta pregevoli tele. Assai bella è la settecentesca pale d'altare con i santi Michele e Rocco. Torno verso la piccola piazzetta antistante il modesto e moderno edificio comunale.
Sulla piazzetta si erge la cappella votiva dedicata a san Vito e su un muro, è affissa una lapide che ricorda il partigiano Cover Lino, caduto in combattimento contro i nazi-fascisti a Villamiroglio il 31 gennaio 1945. Costui era nato a Visnale, in provincia di Pordenone nel 1923 ma residente a Balzola nella piana risicola casalese. Divenne partigiano della 11° Divisione Patria il cui comando era nella vicina borgata di Rairolo. Quella tragica notte si trovava con altri partigiani in una cascina di via Bertola a Villamiroglio, quando furono sorpresi da un rastrellamento nazifascista. Lino, con l'intenzione di coprire la fuga dei suoi compagni sacrifico la propria vita a soli ventuno anni. La stessa cappella di san Vito, mi si racconta fosse stato rinchiuso un anziano abitante di Villamiroglio, catturato durante un rastrellamento ma poi rilasciato.
La cappella fu anche usata durante la guerra di Liberazione come santabarbara dai partigiani. Inizio la mia salita per arrivare al culmine del colle, dove si erge la spettacolare chiesa parrocchiale. Per raggiungerla devo passare sotto un voltino, che presumo fosse parte dell'antica torre di accesso al castello. Come le adiacenti costruzioni, almeno le fondamenta dovrebbero appartenere alle mura dell'antico castello dei Miroglio che andò in fiamme nell'anno 1400. Infatti, questa parte del borgo si compone di alcune abitazioni, che attorniano la piazza della chiesa dove s'impone per maestosità la chiesa parrocchiale. Sotto il voltino alcune lapidi in marmo ricordano i caduti e i dispersi nella prima e seconda guerra mondiale. Raggiungo così la chiesa parrocchiale. Questa fu edificata nel 1764 ed è dedicata ai Santi Filippo e Michele.
La settecentesca chiesa fu eretta sul sito del precedente edificio dedicato a Santa Maria. Si vuole attribuire il suo progetto al Magnocavalli o comunque alla sua scuola. L'edificio è realizzato in mattoni a vista con una bella facciata tardo barocca suddivisa in due ordini con frontone curvilineo. I due ordini sono tripartiti da lesene con capitelli ionici, le ali laterali presentano una lieve concavità, rendendo leggero ed armonica l'intera facciata. Su una parete di destra, ricurva, vi è l'antica formella scolpita, raffigurante un uccello, si vuole una colomba su un rametto con grappolo d'uva o altro frutto, forse di epoca longobarda. Il campanile, svettante verso il cielo, è invece ottocentesco. Sul fianco della chiesa sono presenti i resti di un quadrante solare. Accedo attraverso un bel portale in laterizio, all'interno della chiesa che a navata centrale. Bello l'altare maggiore in marmi policromi, che ha anche un'elegante balaustra marmorea. Nell'abside vi è una bella tela con san Michele Arcangelo che uccide il drago. Altri due altari, in stucco dipinto in finto marmo con tele settecentesca che raffigurano la SS. Trinità in uno e nell'altro la Madonna del Rosario con san Domenico e santa Caterina da Siena.
Esco sul sagrato per dirigermi verso l'auto e proseguire il mio girovagare per il borgo. Con l'auto prendo la stretta stradina comunale di Oddone che mi porta a valle dell'abitato di Villamiroglio fino alla piccola cappella di sant'Oddone, posta nella borgata omonima. La cappelletta è novecentesca, a pianta rettangolare, con tetto in tegole ed è interamente intonacata. Fu costruita per una grazia ricevuta dalla famiglia Gennaro ed oggi la curano gli abitanti dell'omonima borgata. Presenta un cancello in ferro battuto e conserva al suo interno una statua della Madonna di Lourdes e un dipinto di sant'Oddone, realizzato amatorialmente da mano ignota.
Ritorno così verso Villamiroglio, scendo a Vallegioliti e alla chiesa di santa Maria della Neve e giro su un'altra stretta strada comunale che conduce verso il Mulino del conte, un antico mulino, ora un bed & breakfast. Proseguo per la mia strada posta nel vallone del rio santa Liberata. Alcuni cartelli escursionistici mi dicono che devo fermare l'auto e continuare l'escursione a piedi se voglio andare a vedere i ruderi del castello. Inizio così a inerpicarmi su una strada di campagna prima e un sentiero poi sul irto colle, ricoperto da una folta vegetazione di olmi, acacie, roveri, frassini e tigli. Anche il sottobosco è ricco di vegetazione, tra cui la rosa canina. Raggiungo cosi i resti di un fortilizio sul bricco castello o bricco Miroglio. Questo fortilizio appartenne ai Miroglio ed era posto a difesa della loro residenza a villa Miroglio, posto sul confine del loro feudo; si tratta di resti murari in pietra e tufo. Uno scomodo sentiero gli gira intorno, oggi è un luogo di transito di diverse escursioni presenti nella zona. Scendo lentamente per non scivolare e in auto mi dirigo verso la borgata Alemanno, dove visiterò la chiesa del monastero di santa Liberata.
Percorrendo la strada che mi conduce alla borgata Alemanno, non posso non evidenziare come il settore fondamentale dell'economia del luogo, sia l'agricoltura. Le colture prodotte sono ortaggi, cereali ed i foraggi. Anche se è una zona a vocazione vitivinicola, la coltivazione della vite non è molto presente. Vi sono anche allevamenti di bestiame e impianti di apicoltura. Raggiungo cosi il "monastero" di santa Liberata; un luogo di culto dedicata alla Santa protettrice delle partorienti e dei neonati in fasce cui molte donne si rivolgevano con preghiere ed ex-voto per ottenere attenzioni e grazie per i propri bambini. La chiesa di santa Liberata è situata in una bella valletta e dal contrario di quanto qualcuno afferma, non fu mai un monastero o un convento, ma solo un romitorio. L'attuale edificio ha forme di fine XVII secolo, sicuramente è la ricostruzione o l'ampliamento di un edificio più piccolo perché nel 1619 era descritto come un edificio non troppo grande e dotato di un solo altare. Già nel 1685 era segnalata la presenza sulle pareti del presbiterio di dipinti murali con molti santi, di un altare laterale dedicato a san Luigi con una bella tela tuttora presente. Un portico sul fianco sinistro dell'edificio termina con un'abitazione su due piani per un romitorio.
L'attuale facciata, anticipata da un sagrato recintato da un muretto, è ottocentesca. La facciata è tripartita da quattro lesene in doppio ordine, culminante con un frontone triangolare in cui s'innestano le due lesene centrali. Presenta un modesto portone centrale affiancato da due finestre rettangolari, una terza è posta centralmente nel secondo ordine. Prima di accedere al suo interno faccio due passi sotto il seicentesco porticato posto sul lato sinistro dell'edificio. La chiesa ha un campanile a vela posto posteriormente. Accedo all'interno che è ad aula rettangolare. Mi colpiscono subito le pareti del presbiterio che recano dipinti murali databili, tardo XVI ed inizio XVII secolo. Sulla parete di fondo dell'abside, interrotto dalla aggiunta di una nicchia vetrata, sono rappresentati una processione di sacerdoti e un gruppo di personaggi in abiti cinquecenteschi. Mentre sulle pareti laterali sono raffigurati dei santi, tra cui distinguo sant'Antonio abate, san Pietro martire, san Bernardo da Mentone, san Grato e Sebastiano. Sulle pareti laterali della navata sono appese tele raffiguranti santi ed ex voto, alcuni assai antichi. La chiesa ha subito ripetuti furti e la bellissima statua di santa Liberata sorreggente due neonati in fasce e fu realizzata nel 1997, in sostituzione della precedente rubata negli anni '80 del secolo scorso. La festa della santa titolare era celebrata il 18 gennaio con una processione. Dai pressi di questa chiesa partono altre due strade comunali, una si arrampica verso case Alemanno, l'altra continua nel fondo valle denominata come Strada Carpegna.
Percorro questa stretta strada tra alberi frondosi e una lussureggiante vegetazione di sottobosco, dopo aver incontrato la strada comunale che conduce a Varengo e finalmente incontrato un'auto che marcia in senso opposto e un vecchio trattore con un anziano contadino indossante un cappello di paglia consunta. Sul rimorchietto che il trattore traina è seduta un'anziana signora, dal tradizionale foulard in testa e una leggera maglietta rossa su un abito da lavoro; sicuramente sono diretti nei loro campi a coltivare i prodotti della terra. Raggiungo così una chiesetta, totalmente immersa in una boscaglia, nonostante sia a pochi passi dalla strada. Sembra un cantiere abbandonato, con impalcature che in buona parte la circondano. La chiesetta è a poche decine di metri dalla località Rairolo. Tra vegetazione e impalcature posso vedere ben poco se non distinguere la facciata alta e stretta con un unico ingresso e due finestrelle laterali. Mi sembra di vedere una finestra centrale a forma ottagonale, un timpano arcuato, ed un esile campanile. Si tratta della chiesa di san Rocco, eretta in seguito ad un voto, sicuramente legato a quale pestilenza. Ho voluto raggiungere questa chiesa e questa località perché dal 1944 vi ebbe sede il comando della Brigata Autonoma Partigiana Patria.
Ormai deluso di aver visto questo importante luogo della Resistenza al nazi-fascismo in uno stato indecoroso di abbandono, rientro verso Villamiroglio e Vallegioliti. Il luogo ha molti sentieri, tra prati e boschi, una passeggiata sicuramente offre l'opportunità di apprezzare svariate specie di piante e fiori, in un incontaminato luogo pieno la magia e natura. Raggiunta Vallegioliti, lascio nuovamente la strada provinciale dei fagiolini e inizio percorrere la strada comunale del Curto. Anche su questo versante di un'amena collina che digrada verso la valletta del rio Curto, è assai panoramico. Arrivo nei pressi dell'abitato di Mezzalfenga, un abitato che conserva ancora i lineamenti rustici delle strutture agricole monferrine. Posta sull'altura di Mezzalfenga vi è la chiesa di san Filippo Apostolo, con l'annesso suo piccolo cimitero della borgata. Questa chiesetta risulta dal registro delle decime della diocesi vescovile di Vercelli del 1298-99 già esistente. L'edificio della chiesa fu costruito nel 1745; a dirmelo è una lapide murata all'interno che indica la data. Subì negli anni diversi furti che sostanzialmente la spogliarono, compresa l'ottocentesca statua in cartapesta di San Filippo.
La statua nel 2005 è stata rifatta in legno di tiglio ad imitazione della precedente. L'elegante facciata barocca, anch'essa recentemente restaurata, è interamente intonacata, tripartita da lesene. La porta presenta un bel portale modanato, con due finestrelle laterali e una più grande sopra la porta. Sono stati recentemente restaurati gli affreschi e gli intonaci ammalorati. Possiede ancora dei begli arredi lignei residui. La chiesa, dopo diversi furti, fu arricchita di una nuova statua di San Espedito. L'interno a navata unica ha un altare di stucco dipinto a finto marmo. La volta a catino è affrescata con una scenografica balconata dipinta e con la SS. Trinità tra angeli in volo. Presenti anche dipinti murali della Madonna col Bambino di san Filippo apostolo, San Bartolomeo, ecc...
All'esterno, il sagrato erboso è ben curato, come le piccole aiuole, segno di frequentazione della popolazione. Mentre mi allontano, mi sovviene che mi avevano raccontato di una leggenda che vuole che vicino la chiesa, in località Cà 'd Ruman, ci fosse stata una sorgente di acqua oleosa miracolosa. Lascio quest'altro piccolo e grazioso gioiello di architettura. Villamiroglio è caratterizzata da numerose borgate in un contesto di colline, boschi, prati, sentieri e campi coltivati, che nascondono arte, tradizioni e tanta storia. Ogni angolo in cui ti volti si aprono splendidi paesaggi di una natura incontaminata. Per raggiungere la chiesetta di san Pietro martire, situata su una collina, nei boschi, non lontanissima dalla borgata di Mezzalfenga, devo lasciare l'auto in località Piglie. Inizio così la mia ultima "scarpinata" della giornata. La cappella è raggiungibile lungo un'irta strada sterrata. Dopo un bel percorso tra i boschi e inerpicandomi su per un erboso colle raggiungo la piccola cappella votiva. Si presenta intonacata e in totale stato di abbandono. In effetti, raggiungerla non è così agevole.
Lascio così quest'incantevole luogo per raggiungere la mia residenza; è stato bello, in questa splendida giornata soleggiata andare alla scoperta di un paese e dei suoi luoghi, dove ho potuto godere di stupendi panorami, assaporare la genuinità delle cose semplici ed emozionarmi della storia e vicende del luogo. La tranquillità che oggi ho vissuto è stata arricchita dai colori e dai profumi di un mondo contadino che vive in stretta relazione con la natura.