Si racconta che i primi abitanti del luogo vi vissero a partire dal 3500 a.C. Abitavano presso il Monte Oliveto, in caverne e utilizzavano le grotte naturali per ripararsi. Per i Salassi, il territorio fu denominato Rondilitegna, che significa "passaggio a due valli". Quando Pont fu occupato dai Romani fu indicato come "Ad duos pontes". Ciò è dovuto perché l'abitato si trova alla confluenza dei torrenti Orco e Soana. Il nome di Pont lo si trova per la prima volta in un documento storico nel 1110. Ossia quando quando l'Imperatore Enrico I, in un diploma conferiva ai Conti del Canavese tra le altre terre, anche Pont. Infatti Pont divenne capoluogo del feudo denominato "Pont e Valli", comprendente le valli dell'Orco e del Soana, sotto il dominio dei De Canavise. Però una leggenda popolare vuole che le torri e i castelli di Pont siano stati costruiti da Re Arduino intorno
all'anno Mille proprio alle confluenze dell'Orco e del Soana. Il dominio dei De Canavise si divise in due rami: Valperga e San Martino, ma il feudo di Pont e Valli rimase indiviso, divenendo occasione e motivo di litigio e di guerra tra le due famiglie.
A Pont, si narra che ci sarebbero stati tre castelli: uno dei Valperga, due dei San Martino. Nel 1339 scoppiò la guerra del Canavese che vide contrapposte le due famiglie e i Valperga assaltarono uno dei castello dei San Martino e lo distrussero. Alla fine del XIV secolo, le popolazioni della Val Soana e Orco, stanchi di guerre e vessazioni si ribellarono ai gravosi tributi imposti dai nobili, riuscendo a penetrare nel castello della Ferranda e causandoci gravi danni. Dei tre castelli, Castrum Ferrandae, Castrum Pontis e Castrum Tellarii, non sono rimaste che due torri, Tellaria e Ferranda, testimoni delle cruente vicissitudini legate alla ribellione che prese nome dei "Tuchini". Con la rivolta nel 1391, il duca di Savoia tento di domare la ribellione imponendo la pace e comminando forti multe ai sovversivi. Nelle valli però la rivolta continuò e fu domata con molta fatica, solo intorno al 1450. Nei secoli successivi, come gran parte del Piemonte, venne devastato dai francesi e dagli spagnoli, nonché da diverse pestilenze. Pont che ha una sua importante vocazione commerciale e di scambio merci, diventò nel 1824 anche un polo industriale, grazie agli industriali Svizzeri, Dupont e al francesi Lafleur, con la realizzazione di una grande stabilimento tessile. A questo si unirono presto anche stabilimenti industriali meccaniche e concerie. Pont Canavese, nel 1944 – 1945 quale nodo strategico per il controllo delle valli e fu un importante presidio tedesco e fascista. La cittadina venne liberata dai partigiani nel 1944 e poi ripresa dai nazifascisti dopo violenti combattimenti.
Ormai ho lasciato l'autostrada e percorro la strada provinciale della valle Orco n 460.
Lasciata la strada provinciale arrivo alla stazione ferroviaria di Pont Canavese. Questa stazione ferroviaria è il capolinea della ferrovia Canavesana. La linea collega la stazione di Settimo Torinese con vari comuni del Canavese. Fu realizzata fra Settimo Torinese e Rivarolo Canavese come ippovia e inaugurata ufficialmente nel 1866, fu poi prolungata nel 1877 fino a Castellamonte e proseguire come una diramazione fino a Pont Canavese nel 1906. Purtroppo sui binari trovo diverse automotrici ferroviarie abbandonate, ciò mi lascia l'amaro in bocca, in quanto ho sempre amato viaggiare in treno e non manco mai l'occasione di visitare le stazioni ferroviarie, soprattutto nelle linee minori, come questa. Proseguo verso il centro del borgo e supero il ponte sul torrente Soana. Percorro via Roma fino a piazza Europa. Dalla piazza, sempre in auto prendo via Valacchia e poco dopo parcheggio. A piedi mi avvio per via Cappella dell'Orco, fino quasi a raggiungere le sponde del torrente Orco. Un tempo la strada che arrivava da Cuorgnè entrava in Pont, scavalcando il torrente Orco, forse proprio nei pressi di questa cappelletta che era in una zona prativa. La Cappella, conosciuta dai pontesi come "la Cappela d'Orc", è dedicata alla Madonna Addolorata ed era luogo di profonda devozione. Sembra sia stata edificata per chiedere protezione alla Vergine contro le piene del torrente che minacciavano i terreni di fondovalle che erano i più coltivati e produttivi. L'edificio, realizzato in pietra e con tetto a capanna ha l'ingresso rivolto al torrente e la facciata protetta ed anticipata un porticato con sedili in pietra. Il campanile invece è in stile moderno ed in cemento che ha sostituito il precedente che era pericolante. L'interno è a navata rettangolare con altare sui cui è conservato un dipinto raffigurante la Deposizione.
Mi si e poi raccontato che anticamente, il Venerdì Santo, una processione partiva dalla cappella e saliva alla parrocchiale di San Costanzo portando i simboli della passione di Cristo: i chiodi, il martello, il flagello, la corona di spine ed il velo della Veronica. La borgata che ho percorso a piedi conserva sia antichi edifici che moderne abitazioni e prende il nome di "Fondpont", proprio al fatto che in quel punto terminava il paese. Ripreso l'auto mi ritrovo in piazza Europa, utilizzata nell'Ottocento per fiere e mercati. In auto raggiungo la bella piazza Craveri che visiterò appena scaricati i bagagli in albergo. Raggiungo così l'albergo Bergagna in via Marconi e trovo parcheggio proprio di fronte la mia meta. Si tratta di un bell'edificio in stile liberty, anche l'interno ha mantenuto parzialmente lo stesso stile. Trovo una bella atmosfera e una gentile accoglienza. Lasciati i bagagli sono subito pronto a continuare il mio girovagare per il centro di Pont Canavese, non prima di aver chiesto alla Signora albergatrice alcune utili informazioni su Pont che mi saranno utili per ciò che andrò a visitare. In via De Stefanis sono obbligato a fermarmi davanti ad una vetrina di una Pasticceria, ho già l'acquolina in bocca pensando ai dolci acquisti che farò prima di tornare a casa. Raggiungo così piazza Cravera. Sulla piazza troneggia dall'alto del suo colle la torre Ferrandea e la chiesa parrocchiale. Purtroppo l'ufficio turistico è chiuso, dovrò visitare il borgo chiedendo informazioni ai suoi residenti; non è che mi dispiace ma una cartina l'avrei presa volentieri. Sulla piazza vi sono diversi interessanti monumenti, come quelli dedicati ai caduti delle guerre mondiali di Pont. Lentamente salgo verso la chiesa parrocchiale, trovo ai piedi della lunga scalinata d'accesso alla stessa, in un angolo del parcheggio un altro monumento, questa volta dedicato alle "penne mozze" di Pont e valli, ossia dedicato agli Alpini caduti in guerra. Inizio cosi la mia salita sulla bella scalinata che conduce alla chiesa parrocchiale di san Costanzo. Già nel XIII secolo vi era una Chiesa di San Costanzo, fatta erigere dai Conti San Martino ed era attigua al castello o ne era la cappella castrense. Questo edificio fu demolita per vetustà nella prima metà del XVII secolo e fu riedificata e consacrata nel 1660. Ancora nel 1890 fu ristrutturata e ampliata assumendo le fattezze attuali. La facciata si presenta in massiccia pietra grigia squadrata, tripartita da semi-colonne e lesene, sempre in pietra grigia. La parte centrale, corrispondente alla navata principale ha tetto a capanna con una serie di archetti sotto il frontone. Le semi-colonne e le lesene che la tripartiscono formano grandi archi che le uniscono. Mentre le ali laterali hanno tetto a spiovente e anche qui finte lesene in pietra disegnano archi più piccoli che contengono le porte laterali d'accesso. La porta centrale, più grande, ha un ampio portale in pietra locale, con tre colonnine e capitelli. Anche queste colonne hanno un disegno ad arco che le unisce, la lunetta che forma contiene un articolato disegno floreale stilizzato. Sopra la porta vi è una bella croce mauriziana. L'interno è molto spazioso e luminoso grazie alle ampie vetrate. Gli altari laterali sono barocchi; alcune tele, come quella dell'Angelo Custode, sono seicentesche. La navata centrale presenta archi rampanti invisibili e presenta belle colonne in pietra. Molte delle pietre con cui fu edificata la seicentesca chiesa, furono recuperate dalle antiche torri e dai ruderi del castello. Prima di uscire mi soffermo ad osservare la bella statua di san Costanzo, legionario tebeo, in smalti policromi. Salgo verso la torre Ferranda, posta alle spalle della chiesa e poggia su una roccia. La torre ha un'altezza propria di 32 metri ed è circonda da antiche mura che hanno subito modificate nel tempo. La torre fu triste spettatrice della lotta tra i Valperga e i San Martino che li vide fronteggiarsi a colpi di frecce e massi scagliati con una macchina da guerra che distrussero parte delle fortificazioni, ma ad atterrare definitivamente i castelli di Pont ci pensarono nel 1552 le truppe del Maresciallo De Brissac nel corso del conflitto franco – spagnolo. La Torre Ferranda risale al X – XI secolo ed è aperta al pubblico. Al piano terra, a diretto contatto con la roccia, si trova una cisterna per raccogliere l'acqua piovana. Salgo ai piani superiori attraverso una sequenza di scale e soppalchi un tempo realizzati in legno per raggiungere la sommità della torre, da cui si gode uno spettacolo eccezionale. Un tempo la sommità della torre era coronata da merli. La torre nei suoi diversi piani ospita il Museo del Territorio, raccontandone la sua storia, tradizioni e cultura di Pont e del canavese. Sfrutto questa privilegiata posizione per meglio osservare la Torre Tellaria che sorge anch'essa su un poggio. Anche questa torre risale al. X – XI secolo. La Tellaria, come le altre torri, faceva parte di un "castrum", cioè di una costruzione destinata ad ospitare i soldati e fungeva da torre di guardia e di difesa. Questa in particolare il "Castrum Thelarii", grazie alla sua posizione dominante l'ingresso della valle Orco, controllava la valle stessa. La Tellari subì pesanti danni nel 1383 e fu oggetto di saccheggio durante il Tuchinaggio; nel 1552, all'epoca della guerra franco-spagnola, che vide ancora una volta i Valperga e i San Martino in campi avversi, subì la distruzione ad opera delle truppe spagnoli nel 1552. Mi fu raccontata una leggenda che la vede protagonista: Madama Rua che abitava la Tellaria, sembrava una normale donna, ma in realtà era una strega che mangiava i bambini. Quando la popolazione scopri la sua vera natura si organizzò per ucciderla ma vano fu il tentativo in quanto ella si trasformò in un corvo nero che andò a posarsi sul punto più alto della torre. Si narra che ancora oggi gli abitanti di Pont, guardino con sospetto i corvi neri se volteggiano nei pressi della torre Tellaria. Furono ritrovati, durante la costruzione dell'acquedotto di Pont, nel 1939, diversi cunicoli o passaggi sotterranei che si vuole servissero ai soldati e gli abitanti del borgo a fuggire in caso di assedio. Secondo la tradizione popolare sarebbero stati i soldati di Arduino a costruirli per far giungere al re assediato a Sparone i rifornimenti necessari. Più probabilmente i cunicoli erano cantine e depositi per legna e carbone. Questi cunicoli alimentarono leggende in cui si narra che sottoterra vi abitassero dei piccoli gnomi, tra cui il "Cugnet", lo gnomo buono che fa addormentare i bambini con la polvere dorata delle stelle e lo gnomo "Furicc", dispettoso e birichino. Disceso dalla torre, nei pressi della scuola materna, all'angolo tra via Gen Dalla Chiesa e via Fulvio Ottorino Roscio trovo un colorato monumento alla Croce Rossa. Percorrendo quest'ultima strada, su cui si affacciano diversi esercizi commerciali, scorgo una piccola lapide, dedicata al partigiano calabrese Lavorato Domenico, ucciso in combattimento nei pressi dell'asilo il 20 giugno 1944. Sono nei pressi del l'albergo ove alloggio e dove tra poco mi recherò a pranzare, ma sono attirato da un altra lapide, posto al civico 16 di via Marconi, sotto un bel balconcino in pietra e ferro. Si tratta di una bella casa a due piani recentemente tinteggiata con una bella tonalità di verde. La lapide ricorda che nacque in questa casa l'avvocato Carlo Alessandro Caviglione il 26 febbraio 1810 e che lascio tutte le sue sostanze ai poveri quando morì il Primo maggio 1861. Ormai sono seduto al ristorante dell'albergo, pronto a degustare piatti canavesani. Il menù è ricco dal Vitello tonnato della tradizione, Agnolotti alla piemontese, Tofeja canavesana realizzata con costine e cotiche di maiale salate, speziate e arrotolate su se stesse con tantissimi fagioli secchi, ma anche Zuppa di pane e cavoli, semifreddo al torrone con cioccolata calda e l'immancabile Bonet, Cercherò di assaggiare il più possibile in questi due giorni che mi fermo in Valle Orco, ma per ora preferisco rimanere leggero per poter continuare il mio girovagare per Pont e mi accontento di gustare dei buonissimi Tortelli alla toma di Alpeggio con un calice di Neretto di Bairo, un vitigno a bacca nera coltivato nel Canavese. Proseguo così subito dopo pranzo a gironzolare per l'antico borgo. Prendo una stretta strada, con le case che si guardano tra loro e che sembrano voler stringere sempre di più in una morsa il viandante. In fondo a via Sparone trovo così la chiesa delle Rogge. L'abbaiare dei cani, chiusi dietro i cancelli delle case che mi hanno accompagnato per tutta la strada sono ormai un ricordo. Questa chiesa si trova isolata, quasi fuori dal borgo e il nome deriva dai tanti dai ruscelli e rogge che percorrono la zona. L'attuale chiesa risale alla fine del 1700 e ne sostituisce una più antica. La chiesa sorge ai piedi del "Castrum Thelarii" nella borgata delle Rogge, chiamata anche "Ghèt", a ricordare la presenza di un nucleo abitativo chiuso che sorgeva sotto il castello ed ospitava soldati e contadini lavoranti per il castellano. La chiesa dispone di un portico, sotto il quale, in passato transitava la strada per Sparone. Questa chiesetta fungeva anche come "posa d'j mort", ossia dove venivano depositate le casse dei defunti che provenivano dalle borgate in attesa che iniziasse il funerale. Sopra il porticato vi è una stanzetta e mi raccontano che vi fosse ospitata una delle prime scuole di Pont. La chiesa era dedicata alla Madonna della Neve e al suo interno è incorporato un antico pilone votivo, datato 1489, raffigurante la Madonna con il Bambino. La tradizione vuole che l'affresco si sia salvato miracolosamente dalla furia delle acque di un alluvione del torrente Orco e portato dapprima in una cappella e successivamente gli venne eretta un'apposita chiesetta. L'attuale edificio, almeno esternamente, non potendo accendere all'interno, necessiterebbe di qualche maggiore riguardo. Lascio quest'edificio con il suo piccolo ma grazioso campanile e torno verso il centro cittadino, passando per un altro percorso. Imbocco così via Caviglione, un antichissima e porticata strada che nel Medioevo era denominata Via del Commercio è ancor prima contrada maestra. Era lungo e sotto i portici che avevano luogo le più importanti fiere come quella si San Matteo e di San Luca che furono sempre affollatissime di commercianti, soprattutto di bestiame e cereali che arrivavano anche dalla Savoia, dal Biellese e dal Genovesato, oltreché dal Monferrato. Nel transitare sotto i portici, tipici dell'architettura medioevale, ammiro ancora oggi le caratteristiche case e le botteghe che hanno mantenuto le antiche caratteristiche. Lungo i portici trovo ancora dei sedili in pietra che venivano usati per esporre i prodotti agricoli. La strada tra i due corsi di Portici è ancora in pietra ed è assai stretta, ci poteva passare un solo carro. Se chiudo gli occhi riesco ad immaginare ed anche sentire i suoni provenienti dalle antiche botteghe. Distinguo non solo il vociare dei bambini che corrono tra le colorate bancarelle di frutta e verdura, ma anche il battere le lamiere di ferro di qualche artigiano ma anche artigiani intenti a creare pentolame e stoviglie in coccio e donne intente a filare e tessere ecc… Erano tante anche le botteghe dove si vendevano i formaggi locali, il burro, le farine ed altri prodotti che dalle Valli arrivavano a Pont trasportate in gerle o su animali da soma. Su via Caviglione, s'affaccia fra le abitazioni, il bel Palazzo Borgarello. Questo edificio medioevale si presenta austero ma spicca per la sua bellezza; presentai archi dipinti, balconcini otto/novecenteschi in ferro battuto e decorazioni in terracotta di Castellamonte. Via Caviglione è interrotta da uno spiazzo, in cui, un tempo vi era il convento francescano, ed ove, ora, si erge, invece, la chiesa di San Francesco. La chiesa attuale risale al XVII secolo da un gruppo di frati francescani minori su una preesistente edificio religioso. La chiesa ha un prospetto semplice con tetto a capanna e campanile posto sul prospetto anteriore. La facciata presenta una sola porta d'accesso incorniciata da un bel portico in pietra con timpano a ad arco, Sopra la porta vi è una grande finestra semicircolare. L'interno ha una sola navata, con un abside semicircolare con il soffitto a conchiglia, ma assai spoglio. Su ogni lato della navata vi sono due altari laterali. All'interno della Chiesa un dipinto ricorda il pontese Beato Giovanni Battista Bonatto. Costui, entrò tra i Francescani Riformati e fu inviato missionario in Africa tra "i Mori". Venne arrestato e condannato al martirio, morì a Tripoli il 12 dicembre 1653 tra orribili torture. Il suo corpo, legato alla coda dei cavalli, venne trascinato per le vie, infine bruciato pubblicamente su un gran rogo. Proseguo la mia passeggiata lungo questa antica strada e trovo una targa su una casa porticata che ricorda che qui vi nacque, il 21 agosto 1872 il filosofo Piero Martinetti, scomparso a Spineto di Castellamonte il 22 marzo 1943. Sulla lapide commemorativa, apposta nel portico corrispondente alla sua abitazione, lo ricorda come insigne filosofo, persona retta e forte. Si laureò in filosofia a Torino a 21 anni con una tesi sulla religione buddista, studiò a Lipsia in Germania. Dal 1900 al 1913, insegnò in Licei Statali in Italia, fino a diventare poi titolare della cattedra di filosofi a Milano dopo aver pubblicato nel 1914 il libro "introduzione alla metafisica". Fu uno dei docenti universitari che rifiutò di giurare la fedeltà al fascismo, ritiratosi nella sua casetta di Spineto di Castellamonte, continuò a dirigere la Rivista di Filosofi e a scrivere. Morì in povertà più assoluta. Proseguo il mio camminare, dove trovo interessanti affreschi votivi, fino ad essere attratto da una lapide bronzea, posta su una casa non porticata. La lapide ricorda che in questa casa visse la sua infanzia il sacerdote salesiano e beato don Callisto Caravaro. Costui nacque a Cuorgnè l'8 giugno 1903 e morì martire in Cina il 25 febbraio 1930. Per proseguire la mia visita, necessito dell'auto per raggiungere la borgata Boetti. Mentre percorro la strada provinciale di Ceresole, raggiungo dapprima la piccola Borgata di Fasane e non posso pensare che proprio sulla montagna alla mia destra esistono due borgate ormai abbandonate raggiungibili solo attraverso sentieri che s'arrampicano su per il monte. Borgata Deirbianco è una di queste ed è disabitata per quasi tutto l'anno e chi vi si reca per passare il periodo estivo può raggiungerla solo attraverso una ripida mulattiera. La borgata, mi hanno raccontato in albergo, non ha molte case e sono tutte ben conservate. Deve il suo nome alla sua posizione, arroccata su un dirupo tra rocce di color chiaro. Le case mi hanno spiegato sono pressoché tutte addossate tra loro e costruite intorno ad una piazzetta con una fontana da cui sgorga l'acqua della sorgente di "al Roos". Secondo la tradizione popolare, la borgata fu edificata dagli abitanti di Pont fuggiti dal paese in occasione di una mortale epidemia all'inizio XVII secolo. Nella borgata esiste una chiesetta o Cappella della Madonna Consolata risalente al XVII secolo. La chiesetta fu costruita su uno strapiombo e il suo culto alla Madonna è molto antico e radicato, tant'è che i borghigiani continuano a frequentare l'edificio, sopratutto durante la santa Messa celebrata in onore della loro patrona. L'altra borgata è Nicolè, anch'essa raggiungibile attraverso una mulattiera. Mi si racconta che è ormai totalmente disabitata e che il bosco ha invaso non solo le scarse aree prative ma anche le case abbandonate,cadendo in rovina e crollando. Sicuramente fra le cause dello spopolamento delle borgata, oltre la mancanza di una strade carrozzabile, avrà influito la durezza della vita in case senza acqua ed energia elettrica. Anche in questa borgata vi è la sua chiesetta o Cappella, in questo caso dedicata a Santa Maria Maddalena, ed in tempi assai remoti dedicata alla Madonna della neve. Anche in questo caso, benché la borgata sia disabitata, sono molti i fedeli che si ritrovano ogni anno per celebrare la festa patronale. In macchina supero la borgata Fasane; un gruppo di case che costeggiano la strada provinciale. Anche qui un tempo vi era una cappella dedicata allo Spirito Santo, ormai scomparsa. Arrivato a Lantigliera, supero il ponte sul torrente Orco e raggiungo la borgata Boetti. È una zona di fondovalle dove sono presenti allevamenti di bestiame, mentre sulla montagna vi sono castagni e frassini. Parcheggio all'ingresso della borgata e mi viene incontro abbaiando un piccolo cagnolino bianco pezzato di nero e marroncino. Ma aldilà del suo chiassoso abbaiare, scodinzola gioiosamente. Un bambino sul piccolo sagrato della chiesa gira con la sua biciclettina; mi osserva un po' timoroso mentre si allontana seguito dal cagnolino. Alle antica case si sono affiancate nuove costruzioni. Gli edifici più antichi sono tutti a ridosso dell'unica piazzetta su cui sorge anche la chiesa, intitolata alla santissima Trinità. L'attuale chiesa fu edificata ad inizio XX secolo su una preesistente cappella settecentesca. Da atti pubblici risulta che comunque già nel Seicento a Boetti vi fosse una cappella già intitolata alla santissima Trinità. L'attuale edificio è assai alto ed è in pietra con tetto a capanna. Sul culmine anteriore della facciata si erge il campanile in mattoni. Presenta un solo accesso anticipato da alcuni gradini. La porta è incorniciata tra ampi archi a tutto sesto. Sopra la porta vi è una finestra ad oculo anch'essa incorniciata da ampi archi a tutto sesto. Alla chiesa si affianca un'ampia sacrestia ed un locale adibito a scuola elementare fino alla fine degli anni Settanta. Poco distante vi è un ampio, antico lavatoio coperto da una tettoia. Lascio Boetti e visto che il pomeriggio è ancora luminoso voglio andare a scoprire la borgata di Piancerese. Questa borgata si trova a circa 900 metri di altitudine ed è raggiungibile in auto, tramite una strada che parte dal comune di Sparone, oppure percorrendo a piedi una mulattiera; ovviamente farò molti chilometri in più ma decido di raggiungerla in auto. Raggiungo Sparone, prendo la strada per Ribordone, fino a superare l'omonimo torrente ed inizio ad arrampicarmi con l'auto su una stretta strada, tornante dopo tornate. La strada è costeggiata da alberi ad alto fusto, fino a raggiungere Piancerese, dove finisce la strada e da dove, grazie ai prati che circondano l'abitato godo di un bellissimo paesaggio. La borgata è ancora abitata e sono presenti tra le case molti attrezzi agricoli utilizzati dalle persone che vi vivono, soprattutto sfruttando i pascoli ed allevando il bestiame. Il toponimo della borgata evoca la presenza di alberi di ciliegie. La borgata ha una bella fontana con vasca in pietra dove vi sgorga l'acqua della sorgente di "ij Runch". Le case son ben conservate con i loro ampi cortili e su una piccola piazzetta vi è una cappella con a fianco il campanile. La cappella è intitolata alla Madonna Immacolata e la sua costruzione risale al 1680. Un anziana signora mi viene incontro e colgo l'occasione per raccogliere alcune informazioni. Vengo così a sapere che la festa patronale è molto sentita e che un tempo lo era maggiormente, quando la popolazione residente era assai maggiore. Si celebra l'8 dicembre e viene singolarmente chiamata dei "Gruin": i Gruin sono le ultime castagne che si possono raccogliere in dicembre prima che arrivi la neve. L'anziana signora mi racconta altresì che si festeggia altresì San Bernardo, il 20 agosto e dopo le funzioni religiose facevano seguito i festeggiamenti, un tempo con gare di bocce, di carte e ballo a palchetto. Sopra la sacrestia vi era la scuola che funzionò fino al 1989 ed aveva una sola alunna. Saluto la mia nuova amica e faccio rientro verso Pont Canavese, dove durante la cena avrò modo di avere ulteriori informazioni sul mio girovagare che farò nella mattinata successiva. Durante la cena, sento alcuni anziani avventori parlare una lingua a me sconosciuta, così tra una portata e l'altra chiacchiero amichevolmente con alcune persone sull'idioma locale. Infatti si tratta una parlata che presenta i caratteri tipici della langue d'oc (occitano o provenzale). Infatti l'area franco-provenzale, ove si parla questa lingua si estende in tre Stati diversi, comprendendo una vasta zona della Francia orientale, la Svizzera Romanda e la Valle d'Aosta e buona parte delle valli alpine della provincia di Torino. Le radici della Valle Orco, ma anche Soana sono assai antiche e le vie di commercio che ancora uniscono le regioni, ancora le caratterizzano linguisticamente. Mi si racconta che in particolare in Valle Soana, il "patois" franco-provenzale, è parlato anche ai nostri giorni da giovani e anziani.
La mattina, cartina alla mano, e seguendo le indicazioni degli albergatori mi reco dapprima, in auto nella borgata Oltresoana. Sosto nei pressi della chiesa di Sant'Anna. Questa borgata è tra le più grandi di Pont ed è situata all'inizio della strada che si arrampica sulla montagna di Frassinetto. Da l'idea di un paese costruita nella città ed è costituita da alcuni nuclei abitativi antichi, anche se è presente una discreta moderna edilizia residenziale.
L'unica piazzetta presente nella borgata è intitolata a Sant'Anna come la chiesa che vi si affaccia. Questa chiesa che ha il tetto a capanna ed è intonacata; è sicuramente assai antica anche se si notano numerosi interventi di restauro che hanno interessato il campanile e la facciata. Quest'ultima è arricchita da un pregevole mosaico. La chiesa è chiusa ed un avventore del bar del mio albergo mi aveva detto che conserva un pregevole dipinto con Sant'Anna e Maria Bambina restaurato. Nei sui pressi vi è la stretta via dell'Ospedale. Al posto del nosocomio ora esiste la Casa di Riposo "Ospedale Infermi Poveri". Il primo edificio dell'ospedale fu inaugurato l'11 novembre del 1905 e successivamente ampliata nel 1925 e nel 1958 ed ancora nel 1971. Riprendo l'auto e inizio a salire verso Frassinetto, ma subito trovo la strada che mi conduce alla borgata Raie. La strada è inizialmente asfalta e poi diventa sterrata. Per raggiungere la borgata devo lasciare l'auto e percorrere un breve sentiero sterrato. Il silenzio è assoluto, interrotto solo dall'abbaiare di un cane e da qualche rumore proveniente da lontano. Vi sono qualche prato recentemente sfalciato e piccoli orti. Il primo edificio che incontro è la settecentesca chiesetta della Santissima Trinità. La chiesa costruita a monte dell'abitato ha un tetto a capanna ricoperto di beole, presenta un ampissimo e alto portico. La facciata presenta begli affreschi e un alta cella campanaria a vela. M'aggiro tra le case, dove trovo una antica vasca in pietra dove vi zampilla l'acqua e il forno per il pane. Le case presentano scale in pietra, fienili e su una casa vi è un piccolo dipinto in cui è rappresentato san Firmino, vescovo di Uzes, ai piedi della Madonna, posto accanto un letto avvolto dal fuoco. Forse il dipinto testimonia la sua protezione da un incendio. Lascio la borgata, un vero gioiello architettonico rimasto integro e testimone di tempi antichi come la sua costruzione che sembra chiusa per essere fortificata, tipica dei ricetti medioevali. Continuando il mio girovagare per le borgate di Pont passo davanti al Pilone Votivo di San Giuseppe in borgata Panier, dopo aver nuovamente cambiato itinerario. Il pilone è posto nella piazzetta di questa borgata che ha origini molto antiche ed è posta a monte di Oltresoana. Ripreso la strada che si arrampica in direzione Frassinetto raggiungo il frondoso parcheggio della Chiesa di Santa Maria nell'omonima borgata. Questa chiesa sembra aggrappata ad una sporgenza rocciosa sospesa sopra un dirupo. La borgata, in realtà non è vicina alla chiesa, anzi quest'ultima la domina dall'alto. Qui, mito, leggenda e storia s'incrociano creando particolari suggestioni e interrogativi ancora non risolti. Infatti, la leggende vuole che i De Doblazio, signori del borgo che sorge ai piedi della rupe, avessero avuto una cappella ma che una piena del rio Ladret la distrusse completamente. Costoro ne decisero la ricostruzione, ma i lavori che venivano eseguiti di giorno erano sistematicamente danneggiati di notte. Vennero consultati sacerdoti e indovini per comprendere gli accadimenti. Infine una povera donna che viveva curando le malattie con le erbe, suggerì di lasciare libera una mula bianca, sul cui basto dovevano essere caricati gli strumenti da muratore, e di costruire la cappella dove essa si sarebbe fermata. La mula si fermò sul costone ove oggi sorge la chiesa. Si vuole anche che la chiesa sia sorta su quest'altura intorno ad una torre di guardia, ossia l'attuale rotondo campanile. Quando la zona era abitata da pagani, qui vi celebravano i loro riti. Con l'arrivo del cristianesimo, le popolazioni si convertirono, realizzando le prime chiese sugli antichi luoghi di culto dei loro antichi idoli. Di questa precedente costruzione non vi è traccia. In realtà della storia di questo edificio e della sua costruzione si conosce ben poco. Certamente ha origini antichissime, sembra che già re Arduino volle fare degli interventi di ristrutturazione dell'edificio intorno all'anno Mille. Di certo si sa che fu ricostruita nel 1600 e che la chiesa di Santa Maria in Doblazio fu la pieve matrice di tutte le chiese delle Valli Orco e Soana. Accedo a questo edificio attraverso una scala, si tratta di un complesso che era fortificato, come dimostrano le mura anche se parzialmente modificate. Presenta un bel sagrato che si prospetta sull'intera vallata e l'ingresso è anticipato da un ampio porticato con colonne binate realizzate in pietra e pilastri in muratura. Il tetto è a capanna, Vi accedo e trovo una chiesa con una pianta irregolare a navata unica. La chiesa è interamente affrescata e ottimamente conservata. La caratterizza il presbiterio che è separato dall'aula da una bella cancellata in ferro battuto. Caratteristica unica per me, presenta due altari maggiori contigui, suddivisi da una colonna in pietra centrale che sostiene i due archi di volta. Mi voglio soffermare qualche attimo in più per osservare meglio i due altari maggiori e le cappelle laterali. Sopra l'altare posto a destra, dedicato alla Beata Vergine delle Grazie, vi è un antico affresco che si ritiene risalga alla fine del 1400 e che rappresenta la miracolosa apparizione della Vergine al popolo. L'affresco raffigurata la Vergine a braccia aperte con il manto sorretto da angeli a proteggere il popolo inginocchiato ai suoi piedi in atto di richiesta di protezione dei fedeli. L'altare maggiore di sinistra è invece intitolato all'Assunta. Vi sono poi altri due altari, sempre dedicati alla Madonna, ossia quella del Carmine e Madonna nera di Loreto. Gli altri altari sono quelli di san Rocco e di santa Lucia e Apollonia. Nel primo altare vi è una statua risalente al 1630, quando la popolazione della borgata Faiallo e di Frassinetto si affidarono al santo per non essere colpita dalla peste, mentre nel secondo la devozione a santa Lucia, protettrice della vista, è legata al lavoro di tessitura che richiedeva una buona vista. Mi soffermo brevemente anche a osservare gli altari del Trapasso san Giuseppe, con un pregevole dipinto raffigurante la morte del Santo e l'altare di San Giovanni decollato. Mi hanno raccontato che in sacrestia c'è una piccola urna in marmo donata da Amedeo VIII, il conte Rosso, in occasione di una sua visita ai Conti del Canavese nel 1389. Sotto la chiesa, mi hanno narrato vi sono diversi cunicoli utilizzati come luoghi di sepoltura fino alla rivoluzione francese ed al successivo editto napoleonico del 20 maggio 1865, dove si obbligava le municipalità ad utilizzare quali cimiteri zone lontane dal centro abitato. Faccio ancora due passi nel piccolo cortile adiacente alla chiesa da dove posso meglio ammirare la torre circolare. Riprendo l'auto per raggiungere la borgata Faiallo. Per raggiungere questa borgata che confina con il comune di Frassinetto, devo percorrere molta strada, lungo la provinciale n° 46, ma farò anche alcune deviazioni per vedere, anche sommariamente altre piccole borgate. Infatti poco dopo la mia partenza, subito dopo un gruppo di case vi è la deviazione per Truc Bertot e Giandre. Proseguo e supero il bivio per Case Coppo, raggiungo un altro incrocio e svolto sulla mia sinistra per raggiungere Truccà e Truch Bonet. Sono due piccole borgate con belle e caratteristiche case poste in una posizione privilegiate, assai panoramica ed immerse nel verde. Rientro sulla strada provinciale, supero Ca Giors e dopo diversi tornati supero anche l'incrocio per Prua. Raggiungo così borgata Faiallo; si tratta di un una borgata costituita da gruppi di case sparse, alcune abbastanza modeste, altre invece realizzate con moderne tecniche costruttive e di bell'impatto visivo. La borgata ha tante edicole votive ma per trovare Cappella di San Rocco devo chiedere informazioni ad alcune persone che trovo impegnate a sistemare il giardino di una casa. Raccolgo così qualche altra informazione, così i raccontano che fino al 1975 la borgata non aveva una cappella. La messa della festa della borgata aveva però luogo presso l'altare di San Rocco, nella parrocchiale di Santa Maria. Raggiunta la cappella, una moderna struttura in cemento armato che fu costruita grazie alla generosità delle persone che hanno donato il terreno e le risorse economiche necessarie mi soffermo un poco a riposare. La Signora a cui ho chiesto informazioni mi ha anche detto che la cappella è anche dedicata alla Madonna. Ha aggiunto che la festa del 16 agosto era solito fare merende e danze campagnole. Ho raggiunto così questo mio obiettivo, ora posso rientrare verso Pont, superare nuovamente il torrente Soana e iniziare a percorre la strada che mi condurrà a Configlie. Supero il complesso del polo museale realizzato all'interno dell'ex stabilimento Sandretto. Questo polo museale comprende il museo della plastica, Il museo della Manifattura tessile con la collezione di macchine utensili del Cav. Modesto Sandretto. Il Museo della Plastica nacque nel 1985 per volontà dell'industriale Gilberto Sandretto, che costruiva presse per la lavorazione delle materie plastiche. Questo museo è ospitato in una bellissima palazzina Liberty. Si tratta di un viaggio attraverso la storia della plastica con tutte le incredibili creazioni in uso tutti i giorni. Inizio a salire lungo la strada provinciale n° 47 della valle Soana. Non ho ancora lasciato il centro abitato che già un cartello stradale mi invita a visitare la borgata di Pianrastello. La borgata Pianrastello deve il suo toponimo al fatto che sorge su pianoro e dal cognome Rastello molto diffuso. Si tratta di una borgata con belle e moderne villette e case, nel mezzo della parte più antica trovo la cappella di san Gennaro. Questa cappella, dalla facciata intonacata di bianco, risale al XVII secolo. È assai strano trovare una cappella dedicata a questo santo ed un anziano signore che porta a passeggio il proprio cane mi suggerisce che questa devozione sarebbe stata introdotta dai soldati napoletani, arruolati nell'esercito spagnolo e che sarebbero rimasti indenni dalla peste che colpì il Canavese nel 1630. Ma raccolgo anche un altra versione della sua dedicazione a san Gennaro che vuole che la cappella sarebbe stata edificata per voto di un soldato napoletano arruolato nelle truppe francesi del Debrissac caduto da cavallo e rimasto miracolosamente illeso. Lascio questa borgata, sorta in una posizione soleggiata per rientrare sulla strada provinciale n°47. La strada si snoda, tornante dopo tornate sulla montagna, sempre incorniciata da bellissimi boschi e dove mi è permesso far viaggiare lo sguardo sulla valle Soana, questo si perde nel verde smeraldo di questa enorme macchia alberata, Supero il gruppetto di case che forma Bausano inferiore e poco dopo incontro lungo la strada provinciale una bella cappella con tetto a capanna ed ottimamente conservata. Si tratta della Cappella della Madonna degli Angeli e san Giuseppe, risalente al XVII secolo. La cappella presenta anche un delicato affresco sopra la porta d'accesso della stessa. Intorno non vi sono abitazioni se non alberi ad alto fusto. Poco oltre la cappella, m'inerpico sulla stretta strada comunale per Poetti. Devo percorre poche centinaia di metri per trovare la borgata di Bausano superiore. Lascio l'auto per aggirarmi tra le strette stradine che corrono intorno alle case; si comprende facilmente come potesse essere difficile, in passato, la vita della popolazione locale. Posso immaginare le strette stradine in terra e ciottoli percorse da muli e da uomini e donne con gerle sulle spalle. L'insediamento del borgo è sicuramente molto antico, forse preesistente all'anno 1000. Durante il mio girovagare tra le case, qualcuna abitata tutto l'anno sono accompagnato da un cagnolino bianco pezzato color caffellatte che mi segue scodinzolante ma tenendosi rigorosamente a distanza di sicurezza. Trovo nel mio girovagare un massiccio e strano campanile, leggermente pendente con annesso una piccola cappellina votiva. Sono molti i vasi con bei fiori e i piccoli giardino con graziose fioriture; rimango piacevolmente colpito dai colori degli Iris. Lascio la borgata e in auto proseguo per Poetti. La strada asfaltata è ben tenuta ed incorniciata da frondosi e lussureggianti alberi. Supero borgata Lutta e continuo ad inerpicarmi su per la montagna, trovo un cartello in legno che mi indica un sentiero che conduce alla borgata Nicolè. Dopo un lungo percorso arrivo alla cappella di san Rocco in origine intitolata al Santo Spirito. La cappella è seicentesca ed è dotata di campanile su cui trovo incassata tra le squadrate pietre grigie, un marmo bianco su cui è incisa la data 1765 data di un restauro. Il complesso è in buono stato di conservazione. La chiesetta è piccola con tetto a capanna, l'ingresso è anticipato da un portico, Sopra la porta d'accesso vi e un affresco risalente al XIX° secolo, offerto come ex voto e raffigurano San Rocco e la Vergine con un altra Santa. La chiesetta ha sempre stata curata dagli abitanti delle borgate di Poetti, Viristelli, Vislario e Campidaglio. Queste borgate, fino ad inizio XX secolo contavano molti abitanti, tanto da avere la scuola; oggi sono veramente pochi residenti, a cui si aggiungono, nel periodo estivo, i villeggianti che hanno ristrutturato diverse case. Dopo aver fatto un breve giro a piedi per le borgate di Campidaglio e Poetti, da dove si gode uno splendido panorama e dove il silenzio è rotto solo dal canto degli uccelli e dal fruscio delle foglie, mosse da un leggero venticello, rientro sulla strada provinciale 47. Le auto che incontro sulla strada sono molto poche e raggiungo facilmente Configliè. Lungo la strada vi è la seicentesca Cappella di San Costanzo. La cappella serviva anche altre borgate come Stroba, Costa, Panissera, Cantelletto e Balma; alcune, come Stroba, sono ancora abitate, altre ormai sono disabitate ed abbandonate. L'edificio realizzato in pietra ha la facciata intonacata e tetto a capanna. La porta d'accesso, affiancata da due strette finestre rettangolari è protetta da un portico, di recente fattura. Questo agglomerato di case si snoda in parte lungo la provinciale per la valle Soana ed in parte è aggrappato al fianco della montagna, Vi faccio due passi tra le case, le stradine sono piuttosto ripide, vi trovo anche una grande fontana con lavatoio. La borgata di Configliè era famosa per le sue cave di marmo bianco con il quale vennero scolpiti alcuni monumenti per il castello di Agliè, per il Palazzo reale di Torino e per la chiesa di Superga. Le cave ormai non sono più in attività. Lascio la borgata di Configliè e proseguo fino a Stroba. Lungo la strada cerco di capire da dove parte il sentiero che porta a Gea. Infatti questa borgata che deve forse il nome ad un suo antico abitante si raggiunge solo a piedi percorrendo, in una decina di minuti un ripido sentiero. Anche questo piccolo borgata possiede una cappella, costruita intorno al 1750. Mi è stato raccontato che il borgo, nonostante non sia più abitato, l'edificio sacro è mantenuto in ottime condizioni. Raggiunta Stroba, faccio una breve escursione per la borgata e poi rientro verso Pont. Arrivato in albergo, ritiro i bagagli, mi accomiato dalle persone che ho conosciuto e mi reco a comprare i dolci che avevo adocchiato al mio arrivo. Acquistato il Pandolce del Gran Paradiso e i Baci del Gran Paradiso; il primo è ricco di farina di mais, uva sultanina e uova, è un dolce morbido e leggero. I Baci invece sono cioccolatini di cioccolato fondente, ripieni di un liquore alle erbe alpine o al Genepì con una morbida crema di cioccolato e nocciole e fragranti cialde. Sulla via del rientro verso casa programmo due borgate da visitare. La prima borgata in cui mi reco è Doblazio posta proprio alle porte di Pont, sotto la rupe su cui si erge la chiesa di santa Maria. La borgata di Doblazio è tra le più antiche borgate di Pont e deve il suo toponimo alla famiglia De Doblatio, ivi residenti forse da prima dell'anno 1000. Un tempo vi erano anche le carceri ed un edificio che fungeva da palazzo della comunità. Sorge sulla piccola piazzetta, tra le case con i classici tetti in pietra vi è una cappella edificata alla fine del XVII secolo, intitolata a san Domenico, in sostituzione di una precedente intitolata a san Grato. La facciata con tetto a capanna è abbellita con un affresco con la Madonna tra san Domenico e sant'Antonio da Padova. La Cappella è dotato di un campanile con affrescate due meridiane. La strada che mi ha condotto a Doblazio prosegue per la borgata Piangiacolin che non riesco a visitare. Lasciato Doblazio mi reco in direzione Cuorgnè, dove trovo la borgata di Formiero, situata sul pendio di una montagna sulla destra del torrente Orco. Per di più la borgata sorge ai confini dei comuni di Alpette e Cuorgnè e da Pont è raggiunge a piedi, attraverso un ripido sentiero, mentre in auto ci arrivo da Cuorgnè. Formiero è famosa per essere la terra di ramai e di battilastra. Infatti nella borgata, ridente residenza di villeggiatura vi trovo un museo che ricorda gli antichi mestieri. Anche Formiero ha la sua chiesa dedicata alla Madonna della Neve e risale al XVI secolo. Anticamente il suo cappellano che la reggeva, fungeva anche da maestro. Un anziana residente, mentre osservo la chiesa, di semplice fattezza con tetto a capanna e un unico ingresso, mi riferisce che la cappella è intitolata anche alla "Esaltazione della Santa Croce", ed è con questo titolo che viene indicata spesso dai borghigiani. Un altra cappella, mi racconta la cortese anziana signora, che sorge nel territorio di Formiero è quella sconsacrata un tempo dedicata a San Michele. Ormai è tardi e corro verso casa, con il mio carico di suggestioni, racconti e di deliziosi sapori che ho potuto gustare.