Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il mio Piemonte: Gamalero

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GamaleroUn sole rosso si mostra a una mattinata silenziosa e assetata. Il fresco della notte sorprendentemente all'alba lascia il posto a una giornata assolata. L'estate è nel pieno della sua forza, la strada asfaltata davanti a me pare bagnata ma è solo un miraggio, i campi che mi circondano sono stati da poco mietuti e le stoppie rendono i panorama quasi lunare. Raggiungo così Gamalero, piccolo borgo della bassa Valle Bormida. La prima notizia certa su Gamalero è riportata nel diploma del 978 dell'imperatore Ottone II in cui conferma la Pieve di Gamalero al vescovo di Acqui Terme. Pertanto il centro abitato doveva già esistere.
Dai documenti vediamo citato Gamalero con diversi toponimi, da Scamilaria, Camilaria, Gamelaria, Gamalerium e infine Gamalero. Ma forse il luogo era già abitato in epoca romana come fanno supporre il ritrovamento in un campo del San Lorenzo di reperti di epoca romana. Con la fondazione della città di Alessandria, avvenuta nel 1168, Gamalero ne seguì sostanzialmente le vicissitudini. Durante la guerra tra guelfi e ghibellini, nel 1240 Gamalero passò sotto i marchesi di Occimiano e con il passaggio di Alessandria sotto la giurisdizione dei Visconti, anche Gamalero entrò a far parte del ducato di Milano.
Quando nel 1403 fu riconquistata dai guelfi, subì l'assedio delle truppe mercenarie di Facino Cane al soldo dei ghibellini, che saccheggio il borgo e molti dei suoi abitanti furono trucidati. Nel 1405 Gamalero passò sotto la diocesi di Alessandria. I feudatari di Gamalero furono molti a succedersi. Nel 1707 Gamalero, seguendo le sorti di Alessandria, entrò a far parte dello Stato Sabaudo e il feudo fu acquistato 1726 dal marchese Tommaso Ghilini.
Fu il marchese Ambrogio Maria Ghilini l'ultimo feudatario che con l'abolizione dell'Antico Regime feudale, vendette il castello nel 1802, a due contadini possidenti, Giangiacomo Mascherpa e Carl'Antonio Piccino. Questi lo smantellarono per riutilizzarne i materiali. Parcheggiata l'auto nei pressi del Palazzo Municipale inizio aggirarmi per il borgo. Dapprima voglio vedere la chiesa parrocchiale di San Lorenzo, posta d'innanzi a Municipio. Al suo esterno, la chiesa si presenta strutturalmente imponente.
La facciata è in mattoni a vista con lesene in pietra nel primo ordine. Nel secondo ordine invece le lesene sono in mattoni con capitelli corinzi. l'edificio culmina con una serie di fiamme e la statua di san Lorenzo posto in posizione centrale. Tutta la facciata ha forma convessa. La bella porta d'accesso è intagliata ed ha un portale in pietra. Nel secondo ordine ci è una grande finestra rettangolare sagomata. Sopra la porta una lapide ricorda che la facciata fu ricostruita nel 1767 ad opera dei benefattori. L'interno, barocco, pianta a tre navate, è caratterizzato da pilastri affrescati, sormontati da capitelli dorati decorati a stucco di tipo corinzio. Anche le volte sono altresì affrescate, mentre l'abside ha vetrate istoriate.
Bella è la la balaustra dell'altare maggiore. La chiesa di San Lorenzo è stata costruita nel 1515 ampliando la vecchia chiesa di Santa Maria di origine medioevale. Il campanile interamente in cotto funse anche da torre civica. Sul fianco della chiesa vi è la torre dell'acquedotto e su di essa vi è una grande lapide che ricorda Tomaso Cassanello. La lapide fu voluta dal figlio Mario per ricordare il padre che fu un garibaldino che partecipò all'impresa dei Mille di Garibaldi e nominato poi anche cavaliere del Lavoro.
Il 4 luglio 1924 Mario Cassanello propose all'allora Sindaco di costruire un impianto di acqua potabile tale "da soddisfare sia per qualità che per quantità ai bisogni della popolazione poiché lo spettacolo davvero impressionante di vecchi e ragazzi in cerca di poca e cattiva acqua sotto la sferza del sole per le arride terre del Monferrato mi ha più volte commosso e perché un male più tremendo, il tifo, si occulta sovente in quell'acqua malsana frutto di tante affannose ricerche". Mario Cassanello segnala poi che ha avuto modo di "perlustrare il paese con un esperto rabdomante" e che ha "accertato l'esistenza di un ricco filone d'acqua in prossimità della chiesa ed a circa 35 metri di profondità". Offre quindi il finanziamento per la costruzione di un serbatoio della capacità di 50 ettolitri chiedendo l'uso di un decimo dell'acqua e che sul parapetto del pozzo venga apposta una lapide a ricordo del padre con la seguente iscrizione: "Per onorare la memoria del comm. Tomaso Cassanello industriale e patriota donava questo impianto al Comune il figlio Mario". Così e descritta la vicenda su Gamalero nelle carte dell'archivio comunale edito dal comune di Gamalero nel 1999. Cassanello Francesco Tommaso di Pietro nacque a Genova il 19 agosto 1842 e nel 1859 partecipò alla II Guerra d'Indipendenza aggregato ai Cacciatori delle Alpi. Nel 1860 partecipò alla spedizione dei Mille e a solo diciotto anni, ma dimostrò il suo coraggio nei diversi combattimenti tra le fila dei Carabinieri Genovesi. Meritò la promozione a sottotenente e la medaglia d'argento al valore militare. Nel 1866 partecipò alla III Guerra d'Indipendenza. Si distinse i durante il combattimento di Custoza per cui meritò una menzione onorevole.
Ritornò a Genova si dedicò alla fabbrica di famiglia di paste alimentari, che ingrandì e migliorò, rendendola una delle prime del genere in Liguria. Sul muro laterale dell'edificio comunale che si affaccia su piazza Aldo Moro vi sono tre targhe commemorative. Due ricordano i militari caduti e dispersi della prima e seconda guerra mondiale e i partigiani della guerra di liberazione, mentre il terzo ricorda Luigi Reschia, primo ufficiale telegrafista del piroscafo Mafalda. Costui purtroppo fu uno dei protagonisti di una tragedia che sconvolse moltissime famiglie soprattutto italiane nel 1927.
Alle ore 18.00 dell'11 ottobre 1927 dopo cinque ore di ritardo per riparazione macchine il piroscafo Principessa Mafalda salpò per un viaggio di andata e ritorno Genova – Buenos Aires – Genova, con tappe a Barcellona, Dakar, Rio de Janeiro, Santos e Montevideo, con 288 membri d'equipaggio e 973 passeggeri, per un totale di 1.261 persone a bordo. Dal 1924 la nave era al comando del Capitano Simón Guli. Costui aveva iniziato quasi da bambino, nel 1887, ad attraversare l'Atlantico in velieri che impiegavano quattro mesi per raggiungere Buenos Aires. Durante il viaggio la nave ebbe diversi guasti, tanto che il comandante fu costretto a fare tappa nel porto di San Vicente a Capo Verde e saltare la tappa di Dakar.
Verso le 17.15 del 25 ottobre 1927, a circa 80 miglia da San Salvador de Bahia e vicino all'arcipelago di Abrolhos, in Brasile, la nave ebbe molti problemi sopratutto ai motori ed era rischioso continuare la navigazione. Il capitano Guli ordinò di fermare le macchine, rilasciare vapore per ridurre la pressione nelle valvole e spegnere le caldaie. Infatti se l'acqua fredda dell'oceano fosse entrata in contatto con una caldaia calda e pressurizzata, vi sarebbe stato un'esplosione fatale per la nave e i suoi passeggeri.
Luigi Reschia, telegrafista, irradiava il messaggio: "da 'Principessa Mafalda' a tutti – SOS. Da 'Principessa Mafalda' a tutti – SOS. Posizione: 16º00' Lat S - 37º 51' Long O. Vieni subito. Abbiamo bisogno di assistenza". Al messaggio di SOS risposero immediatamente le navi mercantili e passeggeri, Alhena diretta in Olanda a Rio e Empire Star diretta in Gran Bretagna. Entrambi erano in vista e si diressero verso la nave italiana. A più di 30 miglia di distanza il messaggio raggiunse anche la nave francese Mosella, Formose e l'inglese Rosetti e Avelona, che pur distando molte miglia, non esitarono a navigare verso il piroscafo italiano.
La nave stava affondando molto lentamente da poppa per un enorme falla non riparabile nonostante il lavoro dei marinai, con l'inclinazione a sinistra che aumentava rapidamente, finché non divenne evidente a tutti. La Principessa Mafalda ormai perduta e Rómulo Scarabacchi, ingegnere capo della nave ormai condannata, si sparò alla tempia. Il capitano Guli ordinò di accelerare i soccorsi, ma i passeggeri di terza classe, 616 italiani, 118 siriani, 50 spagnoli, 38 jugoslavi, 2 austriaci, un ungherese, uno svizzero, un argentino e un uruguaiano, tutti immigrati terrorizzati travolsero ogni sorveglianza, invadendo i ponti e seminando il panico dietro di loro.
Le scialuppe di salvataggio che stavano per essere messe in mare furono investite dalla marea umana terrorizzata e occupata oltre il limite di sicurezza. Queste si spezzarono toccando l'acqua e molti passeggeri caddero in acqua. Altre affondarono per l'eccessivo numero di naufraghi. La batteria dell'apparato radiotelegrafico era ormai quasi inutilizzabile mentre Reschia insisteva continua a chiedere aiuto: "Non abbiamo più barche. Occorre provvedere al salvataggio dei cinquecento passeggeri rimasti". La prima nave di soccorso ad arrivare fu l'Alhena, che spense i motori a 400 metri dalla Principessa Mafalda per poi andare alla deriva fino ad avvicinarsi a meno di cento metri e caricare gli sventurati che erano in acqua non ancora affogati.
Nonostante l'estenuante velocità dei soccorsi, arrivarono anche altre navi ma l'acqua era ancora gremita di gente ed era notte fonda. L'Alhena salvò 531 persone, l'Empire Star 180, il Formose 200, il Mosella 22 e il Rosetti 27, anche se molti dei salvataggi registrati erano cadaveri.I numeri finali indicavano che c'erano 875 sopravvissuti e 386 morti e dispersi. Il 1° radiotelegrafista Luigi Reschia e il 2° Radiotelegrafista Francesco Boldracchi non si salvarono, mentre il comandante Simón Gulli affondò con la sua nave. Se percorro via Castelmerlino dovrei trovarmi ove un tempo esisteva il castello di Gamalero.
Non si sa con certezza quando fu edificato. Ho solo appreso che aveva da due torri circolari e probabilmente una terza più piccola. Lo stemma di Gamalero ne riporta stilizzate le sue fattezze. Il castello già devastato da Facino Cane nel 1404 fu poi venduto e fu smantellato totalmente. Mi aggiro tra le antiche case con ampi cortili e belle e moderne villette. In piazza capitano Simone Bongiovanni c'è il monumento all'omonimo ufficiale. Si tratta della piazza più vecchia del piccolo centro e anche l'unica fino al 1964, quando fu inaugurata la piazza del Municipio, ora dedicata ad Aldo Moro, sul sedime del giardino di villa Piccini.
Il capitano Simone Bongiovanni, nativo di Gamalero, cadde il 12 dicembre del 1907, insieme al capitano Molinari, a Bahallé Benadir, in Somalia durante la conquista coloniale italiana. Il massacro di Bardale è così raccontato dal Governatore della Colonia, Maurizio Rava: "Nel dicembre 1907, una colonna di 2500 Abissini che avevano anche costretto quattro o cinquecento Arussi a seguirli, penetra nel cuore della Somalia fino a Baidoa, taglieggiando le cabile che gravitavano verso di noi e vivevano sotto la nostra egida. Le cabile chiedono protezione al capitano Molinari, residente a Lugh. Il Molinari, col capitano Bongiovanni che era arrivato a Lugh per dargli il cambio, scende verso Baidoa, e tenta di parlamentare con i capi abissini, per indurli a rendere il mal tolto, o quanto meno a ritirarsi. Inutilmente. Allora il Molinari e il Bongiovanni decidono senz'altro di attaccarli. Troppo impari le forze, quindi decisione ardita, forse temeraria, ma generosa. Pensavano infatti giustamente i due, che se avessero abbandonato le tribù alla loro dolorosa sorte, il prestigio d'Italia ne avrebbe troppo patito. Confidando nella sorpresa, investono l'accampamento abissino ai pozzi di Bardale, e la sorpresa dapprima riesce perché molti dei 2500 Abissini erano sparsi qua e là razziando e seviziando; ma al frastuono del combattimento e alla fucileria, tornano in massa, circondano i due ufficiali e i 110 ascari – 110 ascari in tutto, armati di fucile, e 300 altri indigeni armati di lancia – li sopraffanno col gran numero, uccidono i due valorosi e 90 soldati, feriscono gli altri che scampano o vanno a morire nella boscaglia, ed uno riesce a portare la notizia fin dentro Mogadiscio. Poi contano i loro 500 morti e si ritirano."
Raggiungo così l'oratorio di San Sebastiano e della Santissima Trinità. Questo oratorio sorge sul terreno dove un tempo esisteva una pieve e dove, nel 1665 si stabilì la confraternita della Santissima Trinità. Attualmente si presenta come un edificio con tetto a capanna, facciata intonacata, una semplice porta d'accesso affiancata da due finestre ad arco a tutto sesto ed una rettangolare strombata posta al centro sopra la porta. Presenti due lesene angolari. Un piccolo sagrato in pietra cinto da un muretto anticipa l'edificio.
Nel borgo non mancano piccole edicole votive. Lascio il borgo in auto per raggiungere il camposanto, ove sul muro, di fianco all'ingresso vi è una lapide che ricorda i militari caduti durante le due guerre mondiali e nel parcheggio vi è un piccolo obelisco che ricorda Stefano Piccini che fu Maggior Generale caduto nella prima guerra mondiale. Della lapide voglio ricordare i partigiani Gonella Giovanni nato l'11 gennaio 1919 di professione meccanico e Chiodi Pierino natovi 10 giugno 1921 entrambi morti nell'episodio di guerra partigiana a Olbicella di Molare il 10 ottobre 1944.
Lascio Gamalero per raggiungere la sua frazione di San Rocco. Il panorama della campagna su queste dolci colline è veramente splendido. Supero il cimitero della frazione e anche su questo è affissa la lapide dei caduti in guerra. Le case del borgo sono belle abitazioni, cascinali, villette e case coloniche, alcune in mattoni a viste. Su alcune costruzioni sono ancora leggibili le attività commerciali che un tempo vi trovavano ospitalità. La borgata sorge sulla strada che conduce a Mombaruzzo. Interessante sapere che un tempo era denominata Spassona, probabilmente il nome derivava da alcuni originali cascinali, detti Spazzona, che ancora oggi sorgono in zona.
Raggiungo la chiesa di San Rocco che da il nome alla stessa borgata e che è stata costruita nel 1789 in stile neoclassico. La facciata è interamente in mattoni a vista, anticipata a un sagrato in ciottoli bianchi e nere di fiume. La facciata presenta una sola porta d'ingresso con una lunetta sovrapporta sempre in mattoni. Il prospetto è tripartito da lesene e non presenta alcuna finestra in facciata. L'interno è a pianta ad aula unica con cappelle laterali ed è decorata con bei affreschi. Poco dopo la chiesa trovo l'edificio dell'asilo Infantile Carlo Badò, che fu edificato per volontà testamentaria del 15 marzo 1914 della signora Carolina Badò, vedova Colombo.
Faccio un breve giro anche tra i cascinali della borgata Spassona dove gli appezzamenti di terreno sono intensamente coltivati ed alternati a boschetti prima di rientrare verso casa, soddisfatto della scoperta di Gamalero. Voglio però ricordare altri due noti personaggi di Gamalero: Cornara Giuseppe vi nacque nel 1908 e morì in Alessandria nel 1996 ; fu un campione nel gioco di calcio e un eccellente tennista e Pelati Nicola che vi nacque forse nel 1835 e morì nel 1907 e fu un Ingegnere esperto in mineralogia. Cornara giocò con la Corniglianese, tre anni nel Taranto in serie C, nel 1931 torna in Alessandria e gioca per due campionati con i grigi realizzando 11 gol nella prima stagione.
Giocatore poliedrico nel campionato 1933-1934 passò al Casale fermandosi per due anni, prima di passare alla Sampdoria, campionato che fu poi fermato per lo scoppio della guerra d'Africa. Finito il conflitto passo alla Pro Vercelli in serie B facendo 18 gol, ancora nella Sestrese in C e poi nuovamente con Alessandria dove iniziò anche la sua carriera da tennista. La guerra fermò nuovamente le attività sportive e nel dopoguerra giocò ancora una decina di partite con il Serravalle prima del definitivo abbandono del gioco del calcio giocato. Continuò l'attività di maestro di Tennis e nel 1956 creò il vivaio dell'Alessandria calcio dove scoprì il talento del futuro campione Gianni Rivera.
Ma come talent-scout nel tennis lanciò alla ribalta agonistica il campione Corrado Barazzuti. Fu premiato nel 1958 come "Seminatore d'Oro" per il suo lavoro con i giovani e venne nominato maestro ad honorem della Federazione Italiana Tennis. Invece Pellati, dopo la laurea si trasferì alla scuola delle Miniere a Parigi. Tornato in Italia fece parte del Corpo Reale delle miniere dove occupò importanti incarichi dirigenziali. Con numerose pubblicazioni scientifiche nel settore geologico e minerario divenne altresì Ispettore generale delle miniere e direttore del servizio geologico del Regno.