Il borgo gode di una splendida posizione soleggiata e con ampia vista sul Lago Maggiore. Il toponimo ricorda che un tempo il suo territorio era costellato di vigneti che occupavano buona parte della sue campagne, ora purtroppo scomparsi. A ricordarcelo oltre al nome sono i tralci di vite pampinosi di verde e con due grappoli di uva bianca e nera, simbolo del paese, posti sullo stemma comunale. La presenza dell'uomo in queste lande si perde nella notte dei tempi, grazie a ritrovamenti archeologici dell'età del bronzo. Ma anche ritrovamenti di tombe datate tra il II sec. A.C e il II sec. d.C segnalano la continuità stanziale di popolazione, forse anche dovuto al clima mite che il luogo gode.
Le prime case in pietra e le case romaniche vi sorsero intorno all'anno Mille, quando iniziarono a svilupparsi le prime comunità contadine e nel 1393, nel documento di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, Vignone compare come una delle 4 Degagne della zona, con il nome di San Martino di Vignone. La Degagna era una delle antiche circoscrizioni amministrative in cui era diviso il Verbano e nelle quali assemblee che si riunivano nelle chiese di cui portavano il titolo si esercitava l'amministrazione del territorio, compreso quello dei boschi.
Il territorio segue la storia del verbano con la dominazione spagnola, francese e asburgica fino al 1743, quando con il trattato di Worms insieme a tutto il novarese anche Vignone entro a far parte del Regno di Sardegna e successivamente al Regno d'Italia. Il borgo è costellate da belle ville con grandi e ricchi giardini. Raggiungo così la piazza del Comune e vi parcheggio l'auto. Prima di iniziare a girovagare per il borgo mi soffermo a leggere un cartello turistico per raccogliere maggiori informazioni sul luogo.
Sulla piazza si affaccia anche l'asilo, un edificio in cui vi è la farmacia, la posta e la biblioteca. Ma anche il monumento ai caduti e la chiesa di santa Elisabetta. Vado dapprima a vedere questa particolare chiesetta Sette-ottocentesca che si prospetta davanti ad piccolo prato che funge da sagrato. L'edificio è interamente intonacato con tetto a capanna e portico anteriore. Questo di presenta a tre arcate sorrette da colonne in pietra e in mattoni. Presenta una sola porta frontale d'accesso e nel secondo ordine vi è una finestra rettangolare centrale. All'interno del timpano vi è un affresco sacro.
Il campanile è staccato leggermente dalla chiesa e si erge maestoso verso il cielo, è in pietra e materiale laterizio e presenta oltre alla cella campanaria anche un orologio. L'interno della chiesa, interamente intonacata è a navata unica e presenta un bell'organo ottocentesco. Sempre sulla piazza si erge il monumento ai caduti. Il Monumento è realizzato in cemento, pietra di serizzo e granito grigio ed è costituito da un cippo collocato su una serie di graditi. Il fronte principale è ornato da targhe in bronzo con inciso "A ricordo dei Vignonesi caduti nella guerra 1915 - 1918". Sull'obelisco è altresì presente un bassorilievo in bronzo con fiaccola e corona di alloro. Inoltre, una bella scultura in bronzo, raffigurante una bambina che depone i fiori è presente sul fronte del monumento.
Lascio questo piccolo giardino fiorito con il suo monumento e prima di aggirarmi per le strette strade della parte più antica del borgo, voglio fare un giro intorno al moderno palazzo comunale. Su piazza Pertini, prospiciente l'ingresso del Comune vi è un monumento dedicato al Presidente della Repubblica, partigiano ed esponente socialista in bronzo, realizzato dallo scultore intrese Carlo Rapp che ha raffigurato un uomo dalle braccia tese verso l'alto. In un altro è impressa la frase di Sandro Pertini: "La libertà è un bene che va coltivato di giorno in giorno".
Da questa piazza posso ammirare un bell'edificio ottocentesco, perfettamente conservato, è sede del Circolo Unione come recita una scritta recentemente restaurata. Sulla facciata del Municipio oltre allo stemma del Comune vi è una targa dedicata ai Carabinieri. Inizio il mio girovagare e la mia attenzione è subito rivolta a una pietra utilizzata come architrave di una finestra lungo via Francioli. Si tratta di una pietra di serizzo in cui vi sono tre incisioni antropomorfe attribuite, scoprirò successivamente al periodo del Bronzo Medio (1600-1250 a.C.), con una primitiva rappresentazione del culto verso un'entità superiore o divinità.
Belle sono le colonnine delle fontanelle scolpite nella roccia con lo stemma comunale. Nell'aggirarmi tra le antiche strada trovo costruzioni Sei-settecentesche ben conservate. Le strade sono tutte in pietra e assai pulite le case hanno le finestre adorne con tende in pizzo e i balconi sono ricchi di fiori, quasi quanto i giardini. Alcune case hanno le ringhiera in ferro battuto, non è difficile trovare scritte sulle pareti delle casi scritte degli aforismi o dipinti delle meridiane.
Dopo aver fatto un bel tour nel borgo antico riprendo l'auto per recarmi a visitare il complesso monumentale di San Martino. Non percorro molta strada, ma abbastanza per ritrovarmi in mezzo al verde. Di particolare pregio, il complesso monumentale di San Martino (secc. XVI-XIX) è composto dalla chiesa Parrocchiale, dall'Ossario affrescato, dalla Casa Parrocchiale e dal Cimitero al cui interno vi è la chiesa detta "La Rotonda" perché a pianta circolare. Parcheggiata l'auto mi avvicino al complesso monumentale narra una leggenda, pare sorgesse su un tempio pagano. Di certo si sa che in quest'area sono state rinvenute testimonianze romane e di epoche forse più antiche.
Lungo il percorsi che portano al complesso monumentale trovo dapprima una ottocentesca cappella devozionali dedicata alla Madonna di Caravaggio. Si tratta di un piccolo edificio religioso in stile neoclassico con tetto a capanna e copertura in lose. L'ingresso è anticipato da un protiro sostenuto da due colonne in pietra e al suo interno è conservato un affresco raffigurante l'apparizione della Madonna a Caravaggio. Subito dopo, quasi a ridosso del muro di cinta in pietra del cimitero si trova il "Sass Prenua", resti di un masso erratico, cioè un grande blocco di roccia trasportato a fondovalle da un ghiacciaio.
Questi massi, talvolta di notevoli dimensioni, dopo che il ghiacciaio si è ritirato occupano un'insolita posizione in luoghi pianeggianti. Su questi sassi in antichità vi sono sorte tante leggende, soprattutto in montagna dove si raccontava che fossero effetti di sortilegi delle streghe o masche o luoghi di loro ritrovo. La strada che conduce alla chiesa è in selciato ben conservato come altrettanto sono ben tenuti i prati e le aiuole che incontro. Accedo attraverso un ampio portale al sagrato della chiesa su cui si affaccia anche l'Ossario. Sul luogo dell'attuale chiesa una volta ce n'era una più piccola, romanica a tre navate, circondata dall'attiguo cimitero.
Quando alla fine del XVI secolo la chiesa e il territorio della Degagna di San Martino che contava 120 famiglie o fuochi come allora erano identificati i nuclei famigliari non era più adeguata ad accoglierle tutte, fu deciso di ampliare l'edificio. Lavori che iniziarono nel 1605 e che si conclusero nel 1615. Questi lavori, oltre alla demolizione della chiesa precedente consistettero nella costruire del nuovo edificio occupante anche una parte dell'area del vecchio cimitero. La facciata è assai alta con tetto a salienti e divisa in tre ordini. Il primo ordine vi è l'accesso sotto un ampio pronao con colonne in serizzo.
Il portale principale è in pietra con due colonne laterali sorreggenti un timpano. Vi sono in facciata diverse targhe,soprattutto dedicate ai benefattori della chiesa. Il secondo ordine si presenta tripartito come il terzo da coppie di paraste in pietra squadrata. Al centro vi è una finestra in serliana con colonnine e ai lati finestre squadrate con timpani spezzati sugli architravi. Il terzo comprendente il culmine del tetto, presenta centralmente una finestra rettangolare. L'interno della Chiesa è veramente imponente e in stile barocco.
Le tre navate sono suddivise da sei colonne in serizzo, in fondo alle quali sono posti tre altari: l'altare maggiore al centro, realizzato in marmo nel 1800 sovrastato dai reliquiari, a sinistra l'altare del Rosario, decorato con pregevoli stucchi barocchi e una preziosa statua lignea della Vergine, e a destra un altare dedicato a San Carlo, su cui troneggia la statua lignea del Santo realizzata nel 1617. Il massiccio il campanile in pietra del XVI secolo è posto lateralmente e leggermente scostato dal corpo di fabbrica della chiesa ed è realizzato in conci di pietra. Le case del parroco e del sagrestano risalgono al XVI - XVII secolo e formano una corte interna posta dietro il campanile, mentre sul sagrato erboso vi è una colonna in pietra che indica dove un tempo si seppellivano i morti.
A ovest della chiesa sorge la Cappella-Ossario a pianta quadrata, probabilmente eretta nella prima metà del XVII secolo, quando ancora la tumulazione dei defunti dell'intera Degagna avveniva all'interno della chiesa di San Martino. L'ossario in stile barocco è un edificio ad aula quadrata, resa ottagonale dagli spigoli smussati. Le finestre e la porta finestra hanno bei profili in pietra lavorata con sommità ad arco e sono chiuse da cancellate in ferro battuto.
Si possono ancora oggi ammirare alcuni affreschi eseguiti intorno alla metà del Settecento; in particolare, sono ancora visibili i resti di un affresco che rappresenta una danza macabra con due scheletri, un papa e un cardinale, a testimoniare che la morte non fa distinzioni tra le classi sociali. È il motivo del memento mori. Mentre all'interno è interessante osservare un affresco sempre settecentesco che rappresenta il profeta Ezechiele circondato da scheletri che ritornano ad essere dei corpi umani. Sull'altare si trova invece un affresco che raffigura le anime del purgatorio che vengono prelevate dalle fiamme da un gruppo di angeli.
Mi reco nell'adiacente Cimitero,che conclude il complesso monumentale che fu invece realizzato nei primi anni dell'Ottocento ed è caratterizzato da un particolare perimetro ottagonale. Il cimitero di metà Ottocento è ricco di tombe gentilizie impreziosite da cancellate in ferro battuto e al centro sorge l'Oratorio della Beata Vergine Addolorata comunemente chiamato "La Rotonda" È un oratorio a pianta circolare con portichetto che le corre tutt'intorno, sotto il quale è affrescata la Via Crucis.
L'oratorio è stato costruito nel 1810 sopra un basamento che copre un masso erratico. All'interno, sulla volta della cupola, campeggia l'affresco "Il Trionfo della Croce", del pittore vigezzino Lorenzo Peretti di Buttogno. Sopra la finestra, a sinistra dell'ingresso, una lapide commemora Enrico Francioli e Giuseppina Brunfant, sua moglie, morti rispettivamente nel 1886 e nel 1887. Costui nacque a Milano da una famiglia originaria di Bureglio. Frequentò i corsi dell'Accademia di Brera e si specializzò nella pittura di avvenimenti storici, di soggetti sacri. Affrescò tra il 1855 e il 1858 il salone delle feste della residenza imperiale di Zarkoe Selo e la volta del Teatro Marijnski a SanPietroburgo. Ritiratosi nel 1872 nella casa di Bureglio continuò la sua intensa attività artistica fintanto che un "Crudel male" lo colpì.
Un altro personaggio quivi sepolto è Luigi Zappelli che vi nacque nel 1886. Costui fu un politico che nell'infanzia, solo dodicenne dovette emigrare in Svizzera in quanto la sua famiglia era numerosa e indigente. Aderì al partito socialista e rientrato in Italia nel 1916 si stabilì a Intra, di cui fu sindaco dal 1921 al 1922 quando a seguito di aggressioni fasciste fu costretto a rifugiarsi in Svizzera. Il 28 agosto 1945 il C.N.L lo nomino sindaco di Verbania e nel 1946 fu eletto alla Costituente e nel 1948 alla Camera dei Deputati.
Intorno alle mura esterne del cimitero trovo una pietra con vicino un ulivo, sulla pietra una targa ricorda tutte le vittime della pandemia da Covid-19, tragico evento dei giorni nostri. Il complesso monumentale è altresì raggiungibile tramite un antico sentiero proveniente da Intra e che mi si dice conservi la cappelletta, le più antica della zona risalente XV secolo: la Cappella di Bienna, dal nome della località, conservanti degli affreschi, oggi immersa nel bosco. È ora di riprendere l'auto e recarmi a Bureglio e mentre mi ci reco mi piacerebbe individuare la villa di Renato Scaletti posta lungo la Via Alberti.
La famiglia Scaletti originaria di Milano utilizzava la Villa come residenza estiva ma durante la seconda guerra mondiale vi si stabili in quanto sfollati dal capoluogo lombardo. Renato, Tenente del Genio Aeronautico, aveva 29 anni e, dopo l'8 Settembre, era di stanza nella centrale di Ramello. Costui teneva contatti con le bande partigiane locali, in particolare con la formazione della Giovine Italia, che poi confluirà poi nella Brigata Garibaldi 85ª Valgrande Martire. Questa sua attività, assai pericoloso era aggravata dal fatto che la sua ragazza era di origine ebrea e la famiglia Scaletti la teneva nascosta nella casa di Vignone, dopo l'applicazione delle leggi razziali.
Il 14 Giugno 1944 Renato prese la decisione di raggiungere ed unirsi ai partigiani sulle montagne. Salutato madre e fidanzata e avviatosi verso Ramello andò incontro al destino lo attendeva. Fu visto dai nazi-fascisti che gli spararono dal ponte della Centrale un colpo di fucile dritto al cuore. I fascisti e tedeschi chiesero al Ramellesi se sapessero chi fosse, ma nessuno lo conosceva e il medico di Cambiasca ipotizzò trattarsi di un partigiano di origine neozelandese. Il cadavere fu portato al cimitero di Cambiasca. Quando la notizia giunse alla famiglia; la madre prese la decisione di non riconoscere il figlio per evitare ritorsioni e problemi alla fidanzata. Non si fece viva e lasciò che il figlio fosse sepolto a Cambiasca come sconosciuto, solo alla fine della guerra lo fece riesumare e trasportare nella cappella gentilizia del cimitero di San Martino.
Raggiunto Bureglio che è posizionato su un piccolo promontorio e si trova a quasi 500 m. di altitudine, inizio a girare tra le sue strette strade. Vi trovo solo bambini intenti a giovare a nascondino e penso quanto sia bello vedere dei fanciulli intenti a vecchi giochi anziché impegnati in giochi virtuali su internet. Gli edifici più antichi risalgono al XVI-XVII sec. Al centro del borgo sorge l'Oratorio di San Michele, terminato nel 1799. L'edificio è altresì intitolato anche a San Giuliano in quanto protettore dei muratori, attività prevalente degli abitanti che era emigrati. La chiesetta con tetto a capanna si affaccia sulla piccola piazzetta e con sagrato in pietra squadrata.
Questa chiesetta presenta una facciata con paraste angolari, frontone triangolare con piccolo oculo centrale nel timpano. Il portale d'accesso è in pietra serizzo lavorata, affiancata da due finestre rettangolari. Sopra il portale un affresco con la Vergine Assunta con cui viene spesso identificata la chiesa. Sopra di essa, in mezzo al marcapiano vi è una finestra polilobata con cornice in serizzo. L'interno a navata unica è molto bella e ottimamente conservata. Dietro l'altare maggiore in una grande e bella tela è dipinto l'arcangelo Michele.
Le case di Bureglio sono molto belle. Molte con le lunghe balconate in legno, ma la più celebre è la cosiddetta Casa degli Archi dedicata a Martino Poletti, tipica abitazione in pietra ad archi, ora di proprietà comunale e utilizzata per mostre e manifestazioni varie. L'intitolazione della casa a Martino Poletti rievoca tragici fatti e vendette. Era l'11 Febbraio 1947 quando a Bureglio il piccolo Martino che aveva quasi nove anni. Il bimbo era orfano di madre, morta nel darlo alla luce e viveva con la nonna Angiulina. Costei, rientrata a casa dalla stalla, dove aveva munto le mucche in quella fredda mattina d'inverno, trova il piccolo Marcello per terra in un bagno di sangue.
Il medico condotto Pablo Scaletti che era zio di Renato, il partigiano ucciso a Ramello pochi anni prima constatò che il bimbo era stato ucciso da diverse coltellate fra la nuca e il collo dopo un tentativo di strangolamento. Dopo 4 giorni i carabinieri individuarono la persona che dopo una lunga e travagliata vicenda giudiziaria fu condannata definitivamente solo nel 1956 come l'assassino. Si trattava di un uomo della zona con un brutto carattere e attaccabrighe, a sentire le testimonianze della gente. Costui aveva espresso intenti di vendetta, soprattutto verso Licio, il padre di Martino, che viveva con la seconda moglie.
Licio era un ex partigiano, mentre il figlio dell'assassino era stato un milite fascista, fucilato dai partigiani durante la guerra come spia. L'elemento scatenante fu probabilmente la polemica sorta per la scritta della lapide per il figlio, sepolto a San Martino: "Ucciso da mano fratricida", ritenuta offensiva dal C.L.N. locale di cui Licio era esponente di spicco, anche se con la fucilazione del giovane non c'entrava nulla. Un altro personaggio di Bureglio a cui fu intitolata una strada è Don Giovanni Paita.
Costui viveva in una modesta casa di proprietà della Parrocchia nell'allora Via Campiazza, e che ora è a lui intitolata. Uomo di chiesa di umili origini fu sempre coadiutore del parroco di San Martino, vivendo nella povertà fino alla sua morte, potendo contare solo sul suo piccolo orto e sulle offerte dei compaesani. Fu spesso maltrattato e spintonato da fascisti e nazisti che gridavano "pretaccio della malora", ma che durante una retata nel 1944, contribuì a far rilasciare i propri compaesani.
Un altro edificio importante è sito in via Laforêt, dove su una bella casa con affreschi sacri necessitanti di restauri, una lapide ricorda l'illustre abitante Alessandro Laforêt. Costui nacque a Milano da una famiglia di origine francese. Scultore entrò giovanissimo all'accademia di Brera. Partecipò a diverse mostre in Italia e all'estero. Vinse diverse concorsi come per il monumento a Giuseppe Verdi a Trieste nel 1906 e per il monumento al medico Ambrogio De Marchi Gherini per l'Ospedale Maggiore di Milano nel 1890. Fu tra gli scultori più prolifici e ricercati per il cimitero monumentale di Milano dove creò importantissime opere.
Tra il 1921 e il 1929 fu impegnato nella realizzazione dei monumenti ai Caduti durante la prima guerra mondiale di Cannobio, Cerro Maggiore, San Giuliano Milanese, Vignone e Vignate. Fu anche insegnante di disegno e arte plastica prima nelle Scuole Civiche Serali di Milano, di cui nel 1909 diventa ispettore e poi nelle Scuole Operaie di Seveso, Cesano Maderno e Bovisio Masciago. Alessandro Laforêt morì in Milano il 26 gennaio 1937 ma passò i momenti più belli della sua vita nella sua casa di Bureglio.
Debbo lasciare anche Bureglio ma voglio ricordare che in queste località e soprattutto a Cà di Müi ossia "Casa dei muli", che era una stazione di posta dove i contadini lasciavano gli asini stanchi e riprendevano il loro cammino con altri riposati vi è un esteso ed articolato affioramento roccioso ricco di coppelle. Alcune coppelle formano linee rette, forse orientate sulla posizione del sole. Ma anche in località Mött ad Crana si trovano delle incisioni. Questi massi coppellati nonché ritrovamenti di sepolture celtiche e di epoca romana in località sono raggiungibili da numerosi sentieri e mulattiere. Luoghi che per scarsità di tempo non potrò raggiungere ma che meriterebbero una passeggiata. Lentamente rientro verso casa avendo anche oggi appagato le mie curiosità tra i borghi più belli del Piemonte.