Tra le montagne si snodano talvolta dolci vallate altre volte più severe e strette, sono perlopiù punteggiate da boschi di faggi, querce e castagni. Lungo i versanti delle montagne, piccoli ruscelli discendono con le loro fresche acque, anche le cascate che conferiscono un senso di serenità al paesaggio. Le creste dei colli e il fondo valle sono punteggiate da piccoli caratteristici borghi, con le loro case di pietra che sembrano presepi incollati lungo le pendici, dei monti, gli antichi campanili emergono dai grappoli di case e dalla vegetazione.
I campi coltivati sono piccoli appezzamenti, perlopiù su versanti scoscesi, alternati a pascoli verdi. Appena superato Cabella ligure, prendo la strada provinciale 147 per Carrega Ligure e subito dopo, prima del ponte sul torrente Borbera, seguo i cartelli indicatori che mi indicano la borgata di Daglio. La strada si stringe ulteriormente e superato il ponte sul torrente Cosorella inizio ad inerpicarmi verso la borgata Daglio, tornante dopo tornante, sempre incorniciati da una lussureggiante vegetazione.
Poco prima del borgo trovo la piccola Cappelletta dedicata alla Madonna della Guardia risalente alla metà del secolo scorso. Si presenta con tetto a capanna, semplice facciata con porta in ferro e vetro a doppio battente. Sulla porta è iscritta con lettere in ferro la dedicazione della cappella alla Maria SS. Un leggera cornice in cotto corre intorno alla porta formando un arco a tutto sesto. Parcheggio l'auto nello spiazzo ai piedi del borgo ed inizio a visitarlo.
Il borgo è abitato tutto l'anno ma sicuramente in estate è un luogo molto ricercato sia per la tranquillità che offre ma anche per l'aria frescolina anche nelle giornate più torride. I diversi cartelli indicatori e i segnavia stanno a raccontare come il trekking sia una delle attività sportive che rendono Daglio frequentata. Infatti il borgo è alle falde del monte Porreio ad una altezza di 944 m. slm. Trovo due antiche fontane protette da due larghi archi a tutto sesto realizzati in pietra squadrate.
L'acqua che corre è freschissima ma ciò che mi colpisce è un grazioso angolo arredato con due sedie e un alzata utilizzata come libreria. La lunga fila di libri, ben conservati che vanno dalla narrativa ai thriller alla poesia è un bellissimo biglietto da visita per chi raggiunge Daglio. Mi arrampico sulle strette strade circondato da belle case e rustici.
Mi colpisce un cartello che recita una famosa frase di Cesare Pavese : "Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire sapere di non essere solo, che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti", una bellissima frase del libro "La luna e il falò", ciò dimostra come Daglio e le Langhe di Pavese benché distanti non sono così diverse per i suoi abitanti. Un gattone disteso al sole, sornione apre un occhio per controllare i miei passi.
Un circolo, nella piccola piazzetta dimostra la vitalità del borgo. Raggiungo la chiesa parrocchiale che si erge su un belvedere che offre uno spettacolare paesaggio sulla vallata sottostante. La chiesa era già presente nel 1523 ed è dedicata a San Michele e si presenta alta, tripartita da lesene, dotate di capitelli corinzi, centralmente il bel portale in stucco è dotato di una lunetta che incornicia la porta a doppio battente. Una ampia finestra rettangolare è posta sopra il portale.
Un frontone triangolare completa il prospetto. Un alto campanile con tamburo ottagonale e cupolino a cipolla e orologio completa la chiesa che è a navata unica. Anche Daglio ha la sua lapide che ricorda tutti i suoi caduti o dispersi nelle guerre del secolo scorso. Tornado verso l'auto, il gattone è sempre disteso sul muretto e al mio arrivo mi segue muovendo le orecchie con gli occhi socchiusi. È il momento di raggiungere un altra borgata di Carrega Ligure che sono ben 12 abitate e alcune disabitate.
Carrega Ligure è un comune montano di confine localizzato all'estremità sudorientale della regione Piemonte, in alta Val Borbera. L'intero territorio del comune benché sia in provincia di Alessandria ha da sempre stretti rapporti non solo geo-morfologico con la Liguria ma anche di ordine antropico quali: il dialetto, le tradizioni, le musiche e i rapporti commerciali. Comunque anche l'influenza emiliana e lombarda si sentono soprattutto nei rapporti commerciali, ciò è dato anche dalla vicinanza delle realtà vallive piacentine e pavesi adiacenti.
Disceso sulla strada provinciale 147, superato il ponte sul Borbera, seguo il corso del torrente Agnellasca, un torrente dalle limpide e freschissime acque, fino a raggiungere Agneto, su un percorso sempre tortuoso e costeggiato da una vegetazione lussureggiante, non è difficile trovare cinghiali, lupi e caprioli che ti attraversano la strada. Arrivo ad Agneto che sorge a 770 mt. sul livello del mare. Agneto ha una storia molta antica, infatti il luogo è già citato in un documento sulla donazione del luogo nell'anno 994.
Il paese fu feudo di un ramo dei Malaspina. Anche la sua parrocchia è assai antica ma le sue prime notizie scritte le troviamo dal 1523. La sua chiesa è intitolata a San Andrea Apostolo e fu parrocchia. La facciata della chiesa è assai decorata e ricca di decori architettonici. Presenta un tetto a salienti con lesene che la tripartiscono con decori in stucco sul portale e nella cornice della grande finestra a Serliana. Anche le lesene binate presentano finti capitelli. Nel timpano del frontone triangolarne vi è un altorilievo di Sant'Andrea in cornice in stucco.
È bello aggirarsi tra questi piccole stradine incorniate da antiche e belle case in pietra. Il borgo con le piccole località viciniori contava nel 1668 contava 350 anime compreso Campassi, Closio, e Berga. La vita era assai vivace nel 1860, in questo minuscolo paese, fu fondata una piccola comunità religiosa di suore Benedettine a cui aderirono molte giovani donne. La casa monastica di Agneto venne chiusa nel 1907 e venduta nel 1916. Tra l'altro un violento incendio distrusse molte case il 28 luglio 1879.
Dopo aver amabilmente chiacchierato con una anziana signora, mi avvio in auto verso Berga. La strada è sempre irta e stretta, l'incontro di due auto rende pericoloso il suo transito, superato il bivio per Campassi m'inerpico ancora per un lungo tratto e curva dopo curva raggiungo il borgo a 898 metri slm. Lasciata l'auto ad inizio paese m'aggiro tra le case, dove trovo un circolo ricreativo, il cimitero e la chiesa dedicata a Sant'Antonio da Padova.
Diversi sono gli affreschi votivi, la chiesa è ben conservata con facciata a capanna, interamente intonacata e un bell'affresco, sopra ad un sorgente marcapiano vi è una finestra a lunettone. Anche il campanile è ben conservato e recentemente restaurato, presenta un bell'affresco devozionale sull'apparizione della Madonna con bambino ad un anziano pastore. L'alto campanile con orologio presenta un bella cuspide a cipolla. Un cartello turistico per escursionisti, posto ad inizio della borgata mi racconta che fino al 1910 vi abitavano 350 persone e che a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso la borgata si è spopolata ed oggi rivive in estate e nei week end primaverili.
Mentre leggo il cartello mi accorgo che tre piccoli bambini, di nascosto mi guardano da lontano, come se la presenza di un foresto fosse per loro un gioco. Sempre il cartello mi indica diversi percorsi escursionistici, sicuramente interessanti, come quello che corre lungo rio Berga fino all'omonimo mulino ad acqua; un altro risale invece verso il versante boscato e raggiunge i ruderi del convento di Casoni, abitato fino al 1910 dai frati. Non a casa il comprensorio escursionistico è denominato " I villaggi di Pietra".
Torno indietro in auto e al bivio prendo per la borgata Campassi. La strada è assai lunga per raggiungere questa borgata. Il paesaggio appenninico che mi godo, racconta di una natura che si manifesta nella sua forma più selvaggia e maestosa. Campassi è situata a 951 metri dal livello del mare ed è al centro dell'omonima valle. Ai bordi del paese si erge la chiesa intitolata a San Giacomo. Le cronache orali la citano come Abbazia ma sappiamo che di certo fu eretta parrocchia nel 1681. Presenta una semplice facciata a capanna con il sagrato protetto da muretto e vicino vi è l'antico cimitero.
Nella chiesa ci sono tre altari: il maggiore, quello della Beata Vergine della Cintura e quello di San Nicola da Tolentino. Il borgo conta tre villaggi: Campassi con 11 famiglie, la Casa con 12 e Croso con 12. Sulla facciata della chiesa vi è una lapide che ricorda i caduti nella guerra 1915/1918 di Campassi e in una nicchia sopra la porta vi è una piccola statua del santo titolare. La strada finisce nel borgo di Croso dove vi è anche un bed & breakfast.
Lascio anche Croso, lungo le rive del rio dei Campassi vi sono due antichi mulini. Superato Agneto, torno sulla strada provinciale 147 e superato il rio Carreghino devo nuovamente inerpicarmi su una strada tortuosa e con molte curve a gomito, assai strette per raggiungere Vegni. Le montagne con le loro cime scoscese, si ergono imponenti, ricoperte da un manto verde durante la primavera e l'estate, mentre in autunno dovrebbero essere tinte dai colori dell'arancio, del rosso e del giallo. Vegni si trova a 1040 metri sul livello del mare, è uno tra i paesi situato più in alto della Val Borbera.
Luogo scelto da molti villeggianti in estate per sfuggire al caldo afoso. La storia di Vegni è legata soprattutto a leggende più che a storie scritte. Si vuole che Vegni abbia origine da un insediamento a metà strada ("Mesuô") lungo il percorso che sale dalla confluenza dei due torrenti Careghino e Agnelasca, qui infatti si trovano alcuni resti di mura ormai sommerse dalla boscaglia. Si narra che il borgo fosse stato fondato in quanto a metà strada tra i paesi di fondo valle, di cui ne esistono ancora i ruderi e i sentieri di cresta. Invece i primi documenti sono datati 1204 risalenti ad un atto di permuta di possedimenti con l'abbazia di Rivalta Scrivia.
Nel 1523 Vegni divenne feudo della famiglia Doria e nello stesso anno si hanno le prime testimonianze di una propria parrocchia anche se per lunghi periodi fu aggregata a quella di Carrega. Nel borgo spiccano belle case in pietra, ben conservate, che attestano l'antichità del luogo. Percorrendo le antiche stradine, spesso in pendenza, m'aggiro nel bel borgo transitando sotto archivolti delle vecchie case. Un tempo il borgo era diviso in Villa della Chiesa e Villa Superiore e a dividerlo era un ruscello. La ricchezza del borgo è sicuramente l'acqua ed infatti vi sono diverse fontane.
Un racconto fatto da un anziano signore con cui mi sono fermato amabilmente a chiacchierare mi narra che gli abitanti delle due "Ville" erano spesso rivali e che trovava apice delle scaramucce durante le feste del carnevale. Durante il carnevale vegnino nelle due ville, alcuni giorni prima della festa del carnevale si accendeva un falò in ogni Villa che non doveva mai spegnersi. Il falò rimasto acceso più a lungo decretava il vincitore e questo scatenava la battaglia per cercare di spegnere il fuoco degli avversari in tutti i modi. Si mettevano persone a guardia del fuoco, ma ogni strategia era buona per mettere in difficoltà gli avversari.
Vegni, come del resto tutti i paesi della Valle fu in passato caratterizzato dall'agricoltura quale fonte primaria di sostentamento, organizzato in piccole proprietà terriere. Strette fasce di terreno lunghe poche decine di metri e larghe ancor meno, anche nei luoghi più impervi, davano da mangiare a tutta la famiglia. Raggiungo la chiesa parrocchiale intitolata a Santa Maria Assunta, già esistente nel 1523. Nel 1795 alla parrocchia di Vegni fu unita a quella dei "Reneusi", molto probabilmente per la diminuzione della popolazione di questo villaggio.
La facciata settecentesca della chiesa è pentapartita da lesene e divisa in due ordini. Nel primo vi sono tre porte, maggiore la centrale, al centro della quale vi è una finestra polilobata. I due ordini sono separati da un aggettante marcapiano, il secondo ordine si conclude con un frontone triangolare. L'edificio come il campanile è tutto intonacato. Il campanile presenta un lanternino e un cupolino a cipolla. Nei pressi della chiesa vi è la fontana detta "dei morti", forse per indicare che un tempo vi fosse adiacente il cimitero.
Anche questo borgo si spopolò a partire dalla fine del XIX secolo con una forte emigrazione; quelli che non emigrarono nelle Americhe si spostarono chi a Genova chi in Lombardia, tanto che con lo scoppio della prima guerra mondiale i residenti, compresi quelli dei piccoli borghi di Reneuzzi, Ferrazza e Casoni s'aggiravano sulle 200 persone. La seconda guerra mondiale coinvolse sia Vegni che i territori vicini in quanto il territorio venivano utilizzati dagli alleati per il lancio di viveri e generi di sostentamento per la popolazione ma anche armi per i partigiani rifugiati nelle vallate.
Un personaggio illustre di Vegni fu Terragno Aldo natovi nell'anno 1924, militare catturato a Limone Piemonte dai nazisti dopo l'8 settembre 1944, fu inviato insieme ad altri commilitoni in Germania, durante il lungo viaggio i militari riuscirono a creare un passaggio sul pavimento del vagone merci e ogni tanto qualcuno, quando il treno rallentava durante la notte, si buttava fuori e rimaneva attaccato sotto il treno in attesa dell'occasione buona per allontanarsi. Cosi fece anche Terragno Aldo che si buttò fuori vicino al passo del Brennero e poi a piedi raggiunse paese natio camminando per 20 giorni di notte e nascondendosi di giorno, salvandosi da morte certa.
Vegni fu per alcuni anni, quando ero più giovane, punto di partenza per le mie escursioni in montagna in visita ai borghi abbandonati. I ricordo sono molti, dal sentiero che era ed è lo stesso che univa Vegni a questi borghi che un tempo erano abitati, alle bellissime piante che con le loro fronde ombreggiavano il mio camminare. Tigli, castagni, roveri e faggi mi accompagnavano, l'unico rumore era i picchettare del picchio che scavava nei tronchi o il frusciare delle erbe e degli arbusti del sottobosco di qualche piccolo animale che vi aveva trovato rifugio.
Negli spazi aperti i prati erano costellati da fiori bellissimi e ricordo che si delineava davanti a me l'inconfondibile profilo del monte Antola. L'aria è tiepida, il sole caldo mi inviterebbe a riprendere il sentiero ed infilarmi nel bosco secolare di faggi, ma purtroppo non me la sento di percorrerlo da solo. I primi segni di questi villaggi di pietra abbandonati furono i ruderi di una grande casa con la stalla affiancata dai resti di una falegnameria. Casone di Vegni è il primo dei paesi-fantasma della valle dei Campassi.
La maggior parte delle abitazioni era priva di tetto e ricordo di essere entrato in una casa, la cui porta era spalancata ed avevo potuto ancora vedere il povero mobilio in legno con cui erano arredate, poche avevano il pavimento in legno ma la maggioranza in terra battuta. Questo fu il primo dei tre paesi della valle ad essere stato abbandonato negli anni Sessanta del secolo scorso. E se nel 1922 a Casoni vi abitavano 3 famiglie per un totale di 17 abitanti, già nel 1954 erano sempre 3 famiglie ma con 7 abitanti in totale.
Proseguendo raggiungevo solitamente Ferrazza, un centro che si spopolo anch'esso ma che per fortuna negli anni Settanta del XX secolo alcuni amanti della natura comprarono l'intero villaggio e ciò permise un recupero di alcune case, anche grazie alla realizzazione di una piccola teleferica, facendolo rivivere anche se occasionalmente. Qui nel 1922 vi erano 2 famiglie con una popolazione totale di 14 abitanti e nel 1954 vi erano ancora 2 famiglie con 13 abitanti. Già allora pensai alla vita grama che facevano queste persone, dove la loro vita era legata alle volontà del tempo e della natura.
Se si pensa che non solo non vi era la scuola, occorreva fare molti chilometri di sentieri per raggiungerla, ma nemmeno bar e svaghi come li conosciamo noi, l'acqua corrente in casa non c'era, ne tanto meno l'elettricità, quindi niente radio e TV. Da Ferrazza, sempre su un sentiero proseguivo verso il misterioso e affascinante paese abbandonato di "Renèusi". All'ingresso del paese c'è il cimitero, vi entravo ogni volta a leggere le date dei morti. Il camposanto era piccolo e vi erano croci per lo più arrugginite sulle tombe. La sepoltura un po' più recente e fatta di laterizio come una casetta a capanna era ed è quella di Davide Bellomo, morto giovanissimo.
Una storia tragica la sua, sicuramente amplificata da dicerie paesane ma raccolte dai giornali locali. Ero persino andato in biblioteca a cercare questa crudele storia. Bellomo Davide era nato 12 maggio1930 e morì a 31 anni il 22 settembre 1961 e fu l'ultimo sepolto a "Renèusi". Nell'estate del 1961, nel paese era rimasta solo la famiglia di Davide Bellomo, fidanzato con Maria Franco (detta Mariuccia), ventenne di Ferrazza: i due erano cugini e la famiglia di lei, una delle ultime rimaste a Ferrazza, non vede di buon occhio la coppia. Un giorno di settembre, Maria comunica a Davide che se ne andrà con la famiglia in un paese del genovese, in cerca di lavoro e di una vita migliore. Davide non è d'accordo, non ha conosciuto il mondo al di fuori della montagna e della sua valle.
Da un articolo della "La Stampa - cronache del basso Piemonte" dell'epoca si legge: "La ragazza, che in un primo tempo sembrò corrisponderlo, aveva poi respinto l'innamorato. Gli stessi genitori di lei erano contrari alla relazione, considerando gli stretti legami di parentela fra i due giovani. Il contadino non aveva saputo mai darsi pace e quando apprese che la famiglia della ragazza si sarebbe trasferita era passato alle minacce: 'se parti, piuttosto ti sparo' le disse un giorno. Così la mattina del 22 settembre scorso (era il 1961) mentre la famiglia di Maria transitava, attese la ragazza che procedeva distanziata dai genitori. Nascosto dietro un cespuglio, quando Maria gli passò a pochi metri sparò due colpi con una vecchia rivoltella, un ricordo che il padre aveva portato dall'America. I colpi raggiunsero di striscio alla nuca la ragazza che trovò ancora la forza di fuggire per circa duecento metri, rifugiandosi in una baita. Il delitto venne scoperto due ore dopo e più nessuno vide l'assassino." poi ancora "Ieri (16 ottobre) un contadino di Reneuzzi ha scoperto il cadavere di Davide Bellomo. Il contadino quasi quotidianamente si reca col suo cavallo da Reneuzzi a Vegni e da due giorni notava che transitando in un tratto di sentiero incassato fra la roccia l'animale scalpitava e nitriva. Ieri pomeriggio, attratto anche da uno sgradevole odore, volle vederci chiaro e compì una battuta nella zona. Ad una cinquantina di metri dalla mulattiera, dietro un cespuglio, scoprì il cadavere che giaceva supino; la rivoltella era a poca distanza dalla mano destra. Oggi il cadavere è stato trasportato al cimitero di Vegni, dove domattina si recherà accompagnato da un medico, il Pretore di Serravalle Scrivia per le constatazioni di legge. È fuor di dubbio che il giovane si sia sparato con la stessa arma usata per uccidere Maria, e con ogni probabilità ha posto fine ai suoi giorni poco dopo il delitto, sconvolto forse dal suo folle gesto.".
La chiesa di "Renèusi" intitolata a San Bernardo Abate era, e spero sia ancora presente, una costruzione "a capanna" con campanile a doppia vela, dalle fattezze semplici ma sicuramente vissuta e curata, proprio di quella religiosità popolare radicata nel quotidiano. Al suo interno vi era l'altare spaccato come i muri che furono oggetto di vandalismo. Dal mio zaino, tiravo fuori i miei panini e la borraccia per fare uno spuntino che facevo vicino ad un vecchio forno comunitario prima di rientrare sui miei passi.
Nel 1922 le famiglie a Renèusi erano 10 con una popolazione totale di 32 abitanti, mentre nel 1954 erano già solo 5 famiglie con 18 abitanti. Il sentiero proseguiva scendendo verso i mulini del rio Campassi. Giunto il momento di riprendere l'auto, lasciare i ricordi ed avventurami verso Cartasegna. Torno dapprima sulla strada provinciale 147 per poi risalire lungo una stretta strada comunale che costeggia la vallata del rio Ghiaion.
La strada che percorro ha sostituito l'antica mulattiera solo nel 1965; molte sono stati borghi che erano ancora collegati con strade sterrate fino alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso, anche la strada provinciale per collegare Carrega a Cabella fu realizzata pochi anni prima. Poco prima di raggiungere Cartasegna, mi fermo per poter arrampicarmi su uno stretto sentiero per raggiungere la cappella dedicata a San Rocco. Questa cappellina è oggetto di venerazione e processione che si svolge il 16 agosto di ogni anno quale voto di ringraziamento per aver salvaguardato il borgo dal colera che imperversava nel 1836.
Il piccolo edificio con tetto a capanna e portico anteriore, interamente intonacata, è stata costruita nel 1837 e conserva una bella statua del santo titolare. Raggiunto il borgo, parcheggiata l'auto inizio a vagolare per le strette vie di Cartasegna. Trovo un anziano abitante con cui scambio alcuni convenevoli e a cui riesco a raccogliere alcune informazioni. Mi narra che ormai a Cartasegna vivono stabilmente una decina di persone ma che d'estate si riempie di tante persone originari del luogo e che vi fanno ritorno, ma anche altri villeggianti soprattutto provenienti dal genovesato.
La storia del borgo pare molto antica e la sua economia è da sempre basata su un economia povera con scarse terre coltivate. Don Gioachino Ridella, parroco originario del luogo, scrisse che Cartasegna aveva tre castelli a protezione di una strada di cresta che collegava il territorio lombardo ed emiliano con la val Borbera e quindi con il genovesato ma anche verso la pianura. In effetti il borgo è diviso in Castello superiore e Castello inferiore, due toponimi che richiama delle costruzioni difensive che non vi sono più, come la zona chiamata Castellaggio.
Probabilmente si trattava di grange, fortificate, costruite e abitate da monaci benedettini provenienti dal monastero di Bobbio, discepoli di San Colombano. Forse furono fortificate a difesa dalle scorrerie saracene, dopo che questi funestarono Genova nel 936, razziandola e uccidendo religiosi e abitanti. Il mio nuovo amico, continua a raccontarmi sempre in dialetto che la "corrente", ossia l'energia elettrica e i collegamenti telefonici arrivarono solo negli anni sessanta e Settanta del secolo scorso.
Anche l'acqua potabile raggiungerà le case negli anni Cinquanta del medesimo secolo. Ci tiene a dirmi che tutti gli abitanti dovettero sia tassarsi che lavorare gratuitamente per ottenere questi servizi, in quanto il Comune di Carrega diceva sempre di non avere soldi. Raggiungiamo insieme il sagrato della chiesa, in compagnia di un cagnolino scodinzolante. La chiesa è intitolata alla Natività di Maria Vergine, l'attuale costruzione risale al 1523, ma una costruzione più antica, forse di inizio XIII secolo esisteva già a Cartasegna.
L'edificio sorge sul poggio dominante il paese e nei suoi pressi vi è un campo sportivo di calcio, mentre sul retro vi è il piccolo cimitero. La facciata neoclassica a capanna è intonacata ed è tripartita da paraste con capitelli ionico sorreggenti la trabeazione del frontone triangolare. Nel campo centrale vi è il portone di accesso sormontato da timpano; al di sopra dello stesso vi è una apertura a lunetta con al centro una statua di una Madonna con Bambino in marmo.
Ai lati della porta vi sono due lapidi, una ricorda i caduti della prima e seconda guerra mondiale, mentre l'altra ricorda il soldato nativo di questo borgo, Gaspare Ridella, morto in Africa orientale il 7 settembre 1936 nella guerra italo etiopica 1935 – 1936. Il mio accompagnatore mi ricorda che da Cartasegna partirono diversi giovani per combattere nelle guerre risorgimentali e in Crimea. Tra cui Angelo Ridella, Medico chirurgo aggiunto nella III Guerra d'Indipendenza del 1866.
Il settecentesco campanile presenta una sezione quadra, è posto sul fianco sinistro della navata, è interamente intonacato ed è sormontata da una lanterna ottagonale con cipolla rivestita in scandole. Per accedere in chiesa mi devo salire alcuni gradini e superare il pesante portone di ferro a due battenti. L'interno è a navata unica con due altari laterali. L'interno è ben conservato e presenta una bella Statua della Madonna policroma del 1782, sono inoltre presenti molti ex voto affissi alle pareti.
Mentre proseguiamo il mio breve tour, la mia guida, mi racconta dove era collocato un tempo il negozio di commestibili, il tabaccaio e l'osteria, ormai scomparsi. Mi narra inoltre come si svolgevano un tempo le feste e come gli piacesse ballare e che il ballo preferito che si faceva nelle feste era la "giga", dove si doveva roteare velocissimi. Raccolgo altre brevi storie, quasi leggende e dopo aver ringraziato il mio occasionale accompagnatore, mi avvio verso la borgata Connio posta lungo la strada provinciale.
Nel breve viaggio ricordo che Cartasegna durante la Resistenza ospitò gli uomini del distaccamento partigiano Cialacche della brigata Jori. Nell'inverno del 1944 la val Borbera, come le vallate vicinori fu investita da un rastrellamento condotto dalle truppe nazifasciste coadiuvate da alcuni reparti della 162° divisione fanteria Turkestan, conosciuti da tutti con il nome di "mongoli" e che non risparmiò il piccolo borgo di Cartasegna. Tanto che uno dei soldati caucasici, arrivato a Cartasegna razziò le case e s'abbuffò così tanti da morirne. Il cadavere fu sepolto nel piccolo cimitero dietro la chiesa. Comunque durante il rastrellamento il paese fu sottoposto a ogni sorta di razzia.
Connio è posto tra due rii, rio di Ravezza e rio di Ronco a 950 metri sul livello del mare. Il borgo, assai grande presenta soprattutto nella parte vecchia del paese diverse case diroccate. Quasi al centro del borgo vi è la chiesetta intitolata alla Madonna della Neve, la cui festa il 5 agosto, è particolarmente sentita, no solo dai pochi residenti ma da tanti che fanno ritorno a Connio proprio in quei giorni. Connio è nota per le danze storiche legate alla musica del piffero e fisarmonica la cui memoria è conservata grazie all'Associazione Sportiva e Ricreativa locale.
Raggiungo così Carrega, lungo la strada provinciale devo fare sosta davanti ad una casa per poter leggere un importante lapide: "Questa casa fu sede del comando partigiano della VI Zona Operativa e delle missioni alleate, l'aiuto, la solidarietà e i sacrifici della gente di questo Comune, fecero di Carrega un centro di decisiva importanza nella lotta contro il fascismo, che i partigiani e le popolazioni dell'appennino conclusero vittoriosamente il 25 aprile 1945".
Infatti Carrega fu coinvolta in vari episodi durante la seconda guerra mondiale: la zona fu centro di resistenza partigiana particolarmente presa di mira dai tedeschi. Ciò mi permette di menzionare un fatto di guerra accaduti a Cartasegna e che sono ricordati come "La battaglia di Cartasegna". Il 22 gennaio 1945, un reparto tedesco,proveniente dalla valle Staffora, giunse a Cartasegna attraverso sentieri dal monte Cavalmurone, e sorpresero il distaccamento partigiano che vi aveva trovato ospitalità.
I partigiani, in modo rocambolesco, riuscirono ad allontanarsi e a raggiungere il Comando di Carrega Ligure per dare l'allarme. Per due giorni i partigiani tennero sotto controllo i tedeschi che si erano fermati a Cartasegna; il Comando partigiano di Carrega inviò una squadra del distaccamento Guerra, sempre appartenente alla brigata Jori a controllare i movimenti del nemico. I partigiani, comandata da Andrea Zanardi "Dino" giunse nei pressi dell'abitato è fu subito sopraffatta dal fuoco tedesco appena raggiunse le prime case.
Il partigiano Michele Marras "Mirka" fu subito colpito a morte, mentre Giuseppe Casadei "Sgancia" e Ezio Ricci "Cervo" furono catturati e costretti a seguire il reparto tedesco. Marras era nato a Genova il 24 ottobre del 1921 e morì colpito dal fuoco di una mitragliatrice a solo 24 anni. Ma anche Ezio Ricci che era stato ferito alla gambe fu poi da finito uno dei militari, costui, ventenne, era nato a Firenze il 29 maggio 1924. Quando giunse in aiuto da Carrega il resto della brigata i tedeschi erano già pronti ad allontanarsi e vi fu solo uno scambio di colpi arma da fuoco.
Parcheggiata l'auto vicino alla chiesa parrocchiale, vado a visitarla prima di andare a girovagare per le strette strade di Carrega. La chiesa è intitolata a San Giuliano Martire fu edificata, secondo alcuni storici come Mons Clelio Goggi nel XII secolo, ma risulta fortemente rimaneggiata nei secoli. La facciata è molto semplice, scandita da lesene che la tripartiscono, Non vi sono decorazioni in facciata, due finestre a lunette sono poste ai lati della porta. Sopra ad un marcapiano vi è una finestra a serliana dalle fattezze moderne. Sopra il portone due volute in pietra scolpite e murate, vorrebbero disegnare un timpano spezzato ma non sono per nulla pertinenti con l'edificio.
Il tetto è a doppio spiovente ed campanile è ubicato sul fianco, ma distaccato dal muro della chiesa. Questo termina in una lanterna circolare con cupolotto a cipolla coperto di rame. L'interno della chiesa è a tre navate e presenta decorazioni a stucchi e di affreschi. Ai piedi del campanile vi è un bel monumento a tutti i caduti di Guerra del Comune di Carrega Ligure. Mi inoltro tra le strette stradine, e non è difficile sentirle chiamare carruggi alla ligure. Le case sono ben conservate come il palazzo municipale.
Tra giardini e palazzi non è raro ne trovare lapidi sulle case che per lo più ricordano gli eventi della guerra di liberazione partigiana. Infatti Carrega, Capanne di Carrega e il monte Antola sono state oggetto di molti lanci da parte degli angloamericane dal settembre 1944, tra cui la missione americana "Pe.Dee" e l'inglese "Cover". Un altra lapide ricorda il partigiano Anton Ukmar detto "Miro" che fu il comandante della VI zona operativa ligure. Costui nacque a Prosecco nel 1900 e morì a Capodistria nel 1978.
Nato da famiglia numerosa di origine contadina di nazionalità slovena nell'allora Austria Ungheria. Nel 1926 aderì al Partito Comunista d'Italia. Dipendente delle ferrovie venne trasferito nel 1927 dalla stazione di Opicina di Trieste a Genova. Svolse attività da sindacalista, venne arrestato e pestato dalle squadracce fasciste, licenziato dalle ferrovie fu rimandato a Prosecco (Trieste). Qui entrò nell'organizzazione clandestina slovena "Borba" con la quale partecipò ad azioni di sabotaggio e lotta armata.
Nel 1929 espatriò a Parigi dove lavorò presso la sede del Partito Comunista Francese. Nel 1933, con l'identità di Giuseppe Oghen, è in U.R.S.S., dove studiò nella scuola politica leninista e lavorò in fabbrica. Nel 1936 divenne commissario politico della 12ª Brigata Garibaldi in Spagna nella Guerra Civile Spagnola. Nel 1939 venne internato ad Argelès -sur-Mer in Francia. Liberato partecipò ad una missione del controspionaggio anglo-francese in Etiopia, all'epoca colonia italiana dove si ammalò di febbre gialla, rischiando di morire.
Ritornato in Francia venne nuovamente internato, evase e tornò in Italia. Nel 1944, fu inviato dalla dirigenza del partito comunista in Liguria, a Genova dove partecipò alla resistenza, col nome di "Miro", come comandante della VI Zona Operativa Ligure. Ricevette in seguito numerose onorificenze e nel 1955 diventò deputato al parlamento della Repubblica Socialista di Slovenia. Dopo una bella passeggiata riprendo l'auto e proseguo in direzione Fontanachiusa e Magioncalda.
La prima borgata è Fontanachiusa che s'affaccia sul rio Borbera, circondata da boschi di castagni, presenta anche diversi campi coltivati. Anche questa borgata, benché non molto grande ha belle case e una cappella dedicata alla Madonna della Guardia. Mi soffermo ad ascoltare il sussurro della vento che soffia tra le foglie del vicino bosco, un suono quasi melodioso. In questo paesaggio appenninico, la natura si manifesta nella sua forma più selvaggia e maestosa, offrendo un'oasi di tranquillità e bellezza che nutre lo spirito e l'anima di chiunque abbia il privilegio di esplorarlo.
Proseguo fino a arrivare a 1000 metri s.l.m. dove trovo la bella borgata di Magioncalda. Questa bella borgata presenta una storia antichissima, essendo stata una grangia cistercense del monastero di Rivalta Scrivia tutti i suoi terreni, come attesta un atto del 14 luglio 1197 dove Baiamonte di Figino alla presenza dell'abate di Santa Maria di Rivalta, dona al proprio figlio Rogerio monaco della stessa, una sua proprietà posta nella villa di Magioncalda, se ne desume che la sua fondazione fosse precedente.
Anche Chiesa di San Giovanni Battista decollato doveva essere precedente all'atto del 1 dell'abate di Santa Maria di Rivalta, donò al proprio figlio Rosero monaco della stessa, una sua proprietà posta nella villa di Magioncalda, intorno alla chiesa del 1197 che risulta fosse già presente in quanto l'atto dona i terreni intorno alla chiesa. La grangia monastica fu una fiorente fino alla metà del XIII secolo. Ed è durante la festa patronale di San Fermo che si festeggia il 9 agosto, che la chiesa è officiata, così mi dicono in paese.
La chiesa dalle fattezze seicentesche presenta un sagrato, che si affaccia sulla valle ed è delimitato da muri in pietra. La facciata dell'edificio è a capanna ed è delimitata da lesene che la tripartiscono, un marcapiano la suddivide in due ordini o registri. Nell'ordine inferiore vi è centralmente il portale di ingresso, sormontato da un timpano spezzato con una nicchia, vuota, al centro, incorniciata da stucchi con volute barocche. Due nicchie sempre vuote sono poste ai lati della porta.
Nell'ordine superiore si trova un oculo lobato incorniciato da stucchi in stile barocchi, fiancheggiato da due sfondati ciechi polilobati. La facciata è coronata da timpano senza trabeazione sormontato da pinnacoli. Il settecentesco campanile è posto sul fianco sinistro dell'abside, di sezione quadrata e interamente intonacato. La cella campanaria è sormontata da una lanterna ottagonale con cupolotto a cipolla rivestito in scandole. Lo schema planimetrico presenta una chiesa a navata unica, con presbiterio dotato di abside poligonale.
Mi siedo sul muretto a godermi il sole ed ad ammirare il paesaggio che mi circonda. Il cielo sopra di me presenta sfumature di blu intenso, il sole splende luminoso, creando giochi di luce e ombra sulle montagne e sulle valli sottostanti. Il profumo di erbe selvatiche e fiori inebria l'aria. Le vette più alte sono brulle e il sole che vi picchia con i suoi raggi sui versanti, sembrano rifrangere la luce in cielo, creando un contrasto affascinante con il verde circostante. La coltivazione agricola in queste zone è sempre stata sicuramente difficile, faticosa e scarsamente produttiva, anche i tempi di raccolta e maturazione sono diversi dalla pianura.
Giugno è il periodo della fienagione, mentre la mietitura del grano avviene ad agosto, così dicasi per le scarse vigne, ma anche per patate e le fagiolane, prodotti di pregio della Val Borbera. Alcune case di Magioncalda sono in pietra sono a due piani e con le caratteristiche stalle e magazzini al piano terreno mentre al piano superiore raggiungibili generalmente da scale esterne vi erano le stanze abitabili. Il balcone, in legno possedeva dei pali di legno orizzontali per mettere a essiccare le pannocchie di granoturco. Vi sono anche belle e rimodernate case e sono anche abitate tutto l'anno.
Una lapide ricorda Ottavio Grottin, un giovane busallese di trentanni fucilato durante un rastrellamento nazifascista. Anche questo giovane ragazzo apparteneva alla brigata partigiana "Jori". Carrega Ligure diede anche i natali a Pietro Asborno, scrittore, poeta, musicista e pittore che scrisse il libro "Grangia di Magioncalda". Ripreso l'auto, lascio Magioncalda, torno verso Carrega e continuo a salire lungo la strada provinciale, tornante dopo tornante fino a raggiungere i 1193 metri dove si eleva su uno sperone del monte Carmo, i ruderi del castello di Carrega. Lasciato l'auto salgo lungo il sentiero per raggiungere il castello la cui prima notizia documentata di Carrega è del 1153, il castello è sicuramente anteriore.
Questo si erge su un luogo strategico di controllo lungo una importante mulattiera di valico. I ruderi del castello Malaspina- Fieschi-Doria presentano un fortilizio semplice con una massiccia torre circolare circondata da mure e costruzioni. Questa costruzione benché piccola ha comunque un fascino particolare che attraverso i secoli racconta la storia non solo di Carrega ma di una intera vallata e dei commerci tra la pianura padana e il genovesato. Raggiungo il Passo o valico di Carrega a 1.415 metri slm dove finisce il Piemonte ed inizia la Liguria.
Da qui parte il bel sentiero che nelle calde estati mi permetteva di raggiungere il monte Antola a 1595 metri slm, passando da monte delle tre croci, dove nei suoi prati avevo trovato diversi tipi di orchidee selvatiche. Ormai è il tramonto, il cielo si è acceso di sfumature colore rosso, arancione e rosa, mentre la luce dorata del sole scende lentamente dietro le cime delle montagne, regalandomi uno spettacolo mozzafiato.
È il momento di rientrare verso casa, visto che il viaggio sarà lungo merita comunque menzionare il borgo di San Clemente in cui oggi non è stato possibile fare oggetto di mia visita, ma che ebbi modo di vedere in un mio precedente viaggio per raggiungere il valico di San Fermo ove si erge l'omonima cappella. Il valico detto anche di San Clemente è posto a quota 1175 metri slm lungo la strada che collega Vobbia (GE) con Cabella Ligure (AL) ed è un luogo molto importante in quanto vi transitava la via del sale lombarda.
La cappella di San Fermo è posta ai confini tra l'alta Valle Scrivia e la Val Borbera sullo spartiacque ligure-piemontese. Il primo documento che lo cita è del 1206 e fu elevata ad abbazia nel 1659 per volontà e indicazione della famiglia Spinola. Subì nel 1944 e 1945 due bombardamenti da parte dei cannoni tedeschi dislocati a Crocefieschi. Fu altresì rifugio della brigata partigiana Balilla. La chiesetta ha fattezze semplicissime, una porta d'accesso centrale a due battenti in ferro, affiancate da due finestre quadrate munite di grate in ferro.
Sul culmine del tetto si trova una cella campanaria a vela, ormai senza campana. Tutta la chiesa è intonacata e su un lato lungo è presente una meridiana dipinta. L'interno è a navata unica e ben conservata. La chiesa e poi abbazia, fu certamente un insediamento di piccole proporzioni, ospitava monaci dediti all'agricoltura e all'assistenza dei pellegrini e dei viandanti. Probabilmente il sito religioso fu distrutto alla fine del X secolo, come altri nella zona, dai pirati Saraceni, c'è chi dice per una frana e al suo posto rimase l'attuale cappella.
Il convento si trovava dove ora sorge la borgata di San Clemente. Questa è posto sotto la cresta del monte in cui si erge la cappella, e dove è stata attiva fino a pochi anni fa un'osteria che offriva conforto ai viandanti, ora è abitato da poche persone che si sono ivi trasferite per godere la tranquillità del luogo, natura e ambiente.