Durante quella catastrofe, una combinazione di forti piogge e dissesti idrogeologici provocò inondazioni e frane, causando molte perdite umane e danni materiali considerevoli. Visto l'evento venne dichiarato lo Stato di Emergenza e si dovette affrontare una complessa operazione di soccorso e ricostruzione, per assistere le comunità colpite e ripristinare la normalità nelle aree coinvolte.
Nel mese di maggio 1998, quest'area fu colpita da un eccezionale evento piovoso, e nell'arco di 72 ore caddero oltre 240/300 millimetri di pioggia. Tale quantità di pioggia cadde su un territorio idrogeologicamente instabile, anche dovuto dalla scarsa manutenzione del territorio, soprattutto della montagna. L'intensa pioggia che si era abbattuta sui monti, la cui roccia è costituita quasi esclusivamente da rocce calcaree e da materiali piroclastici di origine vesuviana, causò la dissoluzione di questi materiali provocandone lo scivolamento catastrofico.
Il 5 maggio alle ore 15:00, si staccò la prima frana dal monte Pizzo d'Alvano, che sfiorò gli abitati sottostanti, mentre la pioggia continuò ad abbattersi incessante su Sarno, Bracigliano e Siano. Nelle ore successive iniziarono a scivolare a valle diverse frane e colate di detriti che travolsero Sarno e le località vicine, abbattendo decine di abitazioni. Dopo poco la frazione Episcopio di Sarno fu raggiunta da un enorme colamento di fango e detriti che distrusse l'intero abitato. Nella serata, altri movimenti franosi colpirono Sarno e gli altri comuni e furono estratti dalla fanghiglia diversi morti e feriti: quest'ultimi furono trasportati nel maggior ospedale della zona ossia il Villa Malta di Sarno.
Una successiva frana di vastissime dimensioni travolse nuovamente Sarno, invadendo l'ospedale Villa Malta e seppellendo sotto al fango due medici, tre infermieri, il portiere dell'ospedale e cinque pazienti, tra cui due bambini. Dopo giorni di scavi tra il fango e le macerie, si arrivò al bilancio definitivo di 161 morti tra cui Marco Mattiucci, un vigile del fuoco intervenuto in soccorso alle vittime del disastro. Accorsero ingenti soccorritori, tra cui forze dell'ordine, vigili del fuoco, volontari e militari provenienti da tutta Italia per portare soccorso alle popolazioni colpite.
Le attività di ricerca e soccorso si conclusero l'8 maggio con il salvataggio di un ragazzo sepolto nel fango, l'ultimo dei sopravvissuti alla catastrofe. Raggiungo così Sarno e il suo centro operativo di coordinamento dei soccorsi, inizialmente situato nei locali del mercato ortofrutticolo. Trovo un precario alloggiamento in una roulotte sita all'interno del mercato. Qualche giorno dopo mi raggiungerà Giampiero Verri un collega che per qualche giorno opererà con il sottoscritto.
La popolazione che subì la tragedia stava provando una vasta gamma di stati d'animo non solo disperazione, sgomento e rabbia ma anche tristezza, confusione, ansia senso di abbandono e smarrimento, e persino colpa. Ed è pur vero che ogni persona reagisce in modo diverso alle tragedie in base alla propria esperienza, personalità ecc, ma aggirandomi per le strade vi potevo leggere negli sguardi spenti di chi aveva perso tutto e magari subito un lutto, il quale desiderio era di ricostruire la propria esistenza.
Una forza d'animo incredibile, che lessi come un segno di forza interiore e resilienza ma anche rassegnazione da non confondersi con la passività. Infatti la rassegnazione che leggo sui volti, negli occhi rendono emblematici costoro, occhi che navigano tra alienazione e disincanto nei confronti del fato e della vita in generale. I primi giorni di lavoro all'interno del Centro operativo Misto, ossia nel centro di coordinamento dei soccorsi è assai spasmodico.
Il primo centro era collocato proprio nei locali del mercato ortofrutticolo, ormai riempito da strutture dei soccorritori ed un vai e vieni di troupe televisive e politici, dove era stato creato un eliporto, viene poi spostato all'interno del Palazzo municipale. Questo è un imponente edificio settecentesco che si affaccia su in Piazza IV Novembre. Al cui centro campeggia il monumento a Mariano Marcio Abignente che fu uno dei tredici italiani che parteciparono alla disfida di Barletta. Costui, nativo a Sarno nel 1471 e che fu sepolto, nella Chiesa monumentale di San Francesco d'Assisi nella città natale, pochi anni dopo lo storico evento, nel quale leggenda vuole che egli sia stato ferito.
Anche questa chiesa si affaccia in piazza sul fianco del Palazzo Municipale. E se il lavoro dei soccorsi è convulso e frenetico, riesco oggi a ricordarmi ben poco se non immagini mentali che raccontano sensazioni e stato d'animo. Inizialmente mi occupai del volontariato che stava intervenendo, successivamente ma solo parzialmente, anche di un attività di consulenza alle attività di bonifica delle aree invase dai fanghi delle colate. Una di queste immagini è proprio quella del Palazzetto dello Sport, dove furono allineate tutte le bare ed accantonata in un angolo c'era la rete per le partite di pallavolo insieme a un sacco di palloni, gli stessi che qualcuno aveva utilizzato per giocare ed ora si ritrova chiuso all'interno di una fredda cassa di legno.
Tra le tante casse distese a terra sul campo di gioco, colpiscono quelle più piccole e quelle bianche. Alcune, hanno un rosario posto sulla bara da una mano amica o di un famigliare. Lacrime, dolore sommesso, una silenziosa processione a cercare il nome dell'amico o parente per portargli un ultimo saluto. Immagine che si ripeteranno il 10 maggio durante i funerali di Stato che si svolsero nello Stadio Felice Squitieri. Un luogo di divertimento che divenne per un giorno un "luogo di dolore". Disperazione, sofferenza, tristezza erano palpabili il giorno dell'ultimo saluto.
I lavori nei cantieri furono parzialmente sospesi, la popolazione si era riversata tutta allo stadio. La distesa delle 95 bare non erano gli unici morti di quella tragedia ma l'intera popolazione radunata in quello stadio. Le gradinate erano stracolme, qualcuno piangeva, altri con il dolore e lo strazio stampato sul volto. Anche chi indossava un'uniforme, nascondeva gli occhi arrossati sotto gli scuri occhiali da sole. Per un giorno non si applaudì la squadra del cuore ma lo scandire del lungo elenco dei nomi dei defunti. Ad ossequiare le vittime era presente il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e il presidente del Consiglio Romano Prodi e molto altri politici.
La vicinanza dei rappresentanti dello Stato non era soltanto un atto dovuto alle vittime innocenti di una tragedia senza precedenti ma anche la testimonianza dell'impegno di uno Stato che promette di restare accanto a quella gente che non aveva più nulla. Il lungo corteo funebre con le bare trasportate al cimitero con i mezzi dell'esercito furono sempre accompagnate da sonori applausi. Oggi come allora quelle immagini e il suo ricordo è impresso nella mia mente e sicuramente in tantissime persone che hanno vissuto quella tragedia.
Nessuno dei soccorritori, tanto-meno il sottoscritto si era portato dietro una macchina fotografica ed erano i miei occhi che scattavano foto e la mia mente a raccoglierle. A Sarno le case distrutte furono 193; oltre 800 quelle parzialmente distrutte o danneggiate. La frazione di Episcopio fu l'area maggiormente colpita. Si era salvata la chiesa di San Michele Arcangelo, duomo della città e concattedrale della diocesi di Nocera Inferiore-Sarno. Anche la sua facciata, in pietra di tufo ed in stile tardo rinascimentale sembrava in quei giorni osservare desolata la sua cittadina. I sarnesi chi vi passavano di fronte alzavano lo sguardo al timpano in cima alla facciata dove è posta la statua di san Michele arcangelo con la spada sguainata, quasi a chiedere giustificazione e protezione dalla tragedia accaduta.
Furono 2 milioni di metri cubi di fango, detriti e pietre che cancellarono la frazione di Episcopio, qualcuno la definì l'Apocalisse. Fu un mare di fango che inondò e devastò l'intero territorio alle pendici del monte Saro. L'intera frazione di Episcopio fu distrutta, altri quartieri, pesantemente danneggiati dal fango che portò via tutto ciò che si trovava davanti. Furono circa 2 mila gli sfollati, sembrava che la natura volesse cancellare tutto ciò che lei non aveva costruito ma anche solo riprendersi ciò che l'uomo aveva bistrattato anche solo con l'incuria.
Ebbi modo di visitare anche ciò che rimaneva dell'ospedale Villa Malta, travolto dall'ondata di fango dove nel tentativo di salvare i pazienti persero la vita alcuni medici, infermieri e personale di servizio. Sembrava uno spettacolo lunare, odori intensi tra il marcio/umido e l'odore di gasolio, auto distrutte, accartocciate l‘una contro le altre, intorno la desolazione, solo un piccolo smunto cane e spaventato si aggira tra i detriti e i ruderi.
La mia attività intanto proseguiva giorno dopo giorno, arrivavo alla sera esausto e non avevo nemmeno il tempo per lamentarmene che crollavo tra le braccia di Ipno. Grande entusiasmo, commozione di tutti quanti fu quando i vigili del fuoco, grazie ad una sonda speciale dell'esercito, dopo tre giorni riuscirono a salvare Roberto Robustelli che all'epoca aveva 22 anni. Un grande applauso, mi raccontarono accoglieva la barella con Roberto mentre veniva portato all'elicottero.
Fu anche in questa un occasione che ebbi modo di vedere i soccorritori stremati a piangere, questa volta di gioia. Il suono che costantemente si ascoltava era il suono delle sirene delle ambulanze che non portavano solo feriti ma anche purtroppo i cadaveri. Grande fu anche l'attività per ripulire Sarno dai detriti per poter riavviare la ricostruzione di Sarno.
Quell'evento mi fece comprendere come la forza di volontà sia più forte della rassegnazione ma anche come queste ferite nelle persone non sono solo lutti e disperazione ma ferite dell'anima che ti porti dentro per tutta la vita. L'evento inoltre ha evidenziato la vulnerabilità di molte zone italiane a fenomeni meteorologici estremi e ha portato certamente a una maggiore consapevolezza e preparazione per affrontare simili situazioni in futuro.
Tanto rimane ancora da fare perché le attività di prevenzione non sono ancora concepite come un attività strategica per ridurre i rischi ed evitare un altra Sarno.