Il cielo azzurro è illuminato da uno splendente sole che colora le colline di tonalità dorate e arancioni. Una breve sosta lungo il percorso, per un caffè ed ammirare panorami mozzafiato ma anche godermi l'aria fresca e l'atmosfera tranquilla che caratterizzano queste terre. Il viaggio, attraversa strade strette che si arrampicano sulle colline, offrendomi viste spettacolari su valli verdi e campi coltivati.
L'aria è inebriata dal profumo di fiori selvatici e erbe aromatiche che mi accompagna fino ad Orsara Bormida. Il borgo è già citato nel 991 nell'atto di fondazione del Monastero di San Quintino a Spigno Monferrato come Ursariola, invece nel XIII secolo, secondo una cronaca del tempo, il castrum dell'antica Ursa è descritto come già appartenuto a San Guido, vescovo di Acqui vissuto nell'XI secolo. Infatti nella biografia di San Guido, scritta dal Calceato nel secolo XII, si legge che Guido, nobile di Melazzo, divenuto Vescovo, donò alla sua chiesa molti beni e feudi, appartenenti alla sua famiglia. Tra questi ultimi, troviamo Orsara che appartenne poi alla potente famiglia dei Marchesi del Monferrato e lo storico del Settecento, il Saletta nella sua monumentale rassegna su tutti i paesi appartenenti al Marchesato del Monferrato descrive Orsara nel seguente modo: "Nelle parti di Monferrato, oltre Tanaro, vi è la terra dell'Orsara tra li confini di Riualta, Streui, Morsasco, Montaldo e Castelnuovo. Infatti i Malaspina, furono anch'essi signori di Orsara fino al 1530, poi passò come dote di Violante Malaspina ai conti Lodrone fino al 1598.
Alla fine del XVI secolo Orsara fu acquistato dal conte Sebastiano Ferrari, la cui famiglia manterrà l'investitura fino alla fine del feudalesimo e la proprietà del castello fino al 1922. Parcheggiato l'auto nei pressi del grande edificio del Municipio che ospita dal 1996 un interessante Museo etnografico dell'Agricoltura che racconta la storia contadina; solo visitandolo ci si rende conto quanto sia sempre stato fondamentale l'agricoltura per Orsara.
Il toponimo di questo borgo, "Ursaria" pare essere derivato in –arius dal latino ursus ed indica con ogni probabilità un "luogo abitato dagli orsi". Interessante anche la leggenda scritta da Frà Jacopo d'Acqui nella sua opera "Chronica imaginis mundi" che narra di dieci fratelli orsaresi dei quali "tre sobri" e "sette ebbri". Costoro partirono da Orsara: i tre sobri si diressero verso oriente e fondarono Trisobbio; i sette ebbri si diressero verso occidente e fondarono Septembrium (Strevi). Ciò ci dimostra che ad Orsara si è sempre prodotto dell'ottimo vino anche in grado di dare l'ebbrezza.
Il Palazzo comunale strutturato su tre piani fu costruito nel 1911-1912 per essere adibito a scuola elementare e nei suoi pressi si erge la chiesa di San Sebastiano. L'attuale chiesa, posta in Regione Piano, fu riedificata nel 1928 e fu altresì ruotata di 180°, realizzando anche il piccolo sagrato. La storia ci racconta di un più antico edificio risalente alla prima metà del XVII secolo come adempimento al voto degli abitanti del borgo di essere risparmiati dalla peste.
Fu riedificata più volte e venne usata anche come sepolcreto. Si presenta con tetto a capanna, navata unica, realizzata in conci di tufo, laterizio e pietra. Ha un unica porta d'accesso in legno a due battenti con un bel portale in pietra squadrata, affiancata da due finestre quadrate e munite da grate. In facciata presenta una finestra a trifora posta all'interno di una cornice ad arco tutto sesto. Un tempo la chiesetta era dedicata a N.S. Assunta, a San Sebastiano e a San Rocco.
Inizio il mio vagolare per il paese e subito, in via Duca Amedeo d'Aosta, sul muro dell'edificio che ospita l'Ufficio postale vi sono te lapidi che compongono il monumento ai caduti. Sulle lapidi sono incisi i nomi dei molti militari orsaresi internati in campo di concentramento, un altra i militari caduti nella seconda guerra mondiale, i dispersi sul fronte russo e i dispersi sul fronte dell'Egeo, l'ultima i militari morti nella prima guerra mondiale.
Proseguo la mia passeggiata lungo questa strada, leggermente in salita, costeggiata da antiche case, quasi tutte a corte, fino a incontrare via Cavour. Vi sono molte saracinesche chiuse che ricordano le tante attività commerciali e artigianali ormai scomparse. Sull'alto muraglione in pietra che sostiene il sagrato della chiesa parrocchiale.
Via Cavour incrocia via Giuseppe Peloso, un Soldato dei bersaglieri orsarese, insignito di medaglia di bronzo al valor militare conferita alla memoria per le operazioni militari avvenute a Bregu sul fronte greco albanese durante la seconda guerra mondiale ove cadde in combattimento. Al Peloso fu intitolata l'ex Via Cereta, dove si trovava la sua abitazione.
Per raggiungere la chiesa, invece di salire lungo la scala che mi permetterebbe di raggiungere il sagrato della chiesa, preferisco seguire la strada, passare sotto il "voltone", girare intorno l'abside per arrivare al bel sagrato in prato. Dal sagrato, vi è un belvedere fantastico sul paese e sulle circostanti colline.
La chiesa parrocchiale è i titolata a San Martino e risale al XVII secolo, edificata forse su un più antico oratorio, come testimonierebbe il campanile che mi pare cinquecentesco. Costruita in forme barocche, presenta una facciata con tetto a capanna e due ali laterali, sicuramente aggiunte successivamente. Il portone principale d'accesso è anticipato da un proneo a due pilasti con volte a crociera. Sopra la porta d'accesso vi è un grande affrescato raffigurante San Martino che dona parte del mantello. All'interno trovo bello l'alare maggiore realizzato in marmi policromi e il pulpito in legno intagliato.
Proseguo per via San Martino, tra antiche case e scorci panorami fantastici, dall'alto mi pare che l'antica torre del castello mi stia osservando. Mi allontano dal paese e percorro poche centinaia di metri, fino a raggiungere il cimitero. Qui voglio andare a vedere la cappella funeraria dei Conti di Orsara. Costruita a fine XIX secolo su disegno del Conte e architetto Ferrari. Conclusasi la stirpe del Conti Ferrari la cappella ospita i parroci di Orasara. Realizzata in mattoni e pietra della Moglia, è finemente e intensamente decorata e scolpita.
Sul fianco del cimitero inizia una strada campestre che corre tra le vigne, grazie al permesso ottenuto, posso così raggiungere il culmine della collina coltivata a vigna ove si erge la Chiesa campestre dedicata di San Martino vescovo. Si tratta di una semplice chiesetta con tetto a capanna edificata prima del XVII secolo in tufo, pietre e mattoni. Necessita di urgente opere di restauro. La facciata con tetto a capanna, presenta una porta a due battenti, affiancata da due finestre rettangolari con grate, una finestra quadrata strombata è posta sopra l'architrave della porta. L'interno è in desolante abbandono ma doveva essere riccamente decorata. Presenta sopra l'altare un pregevole seicentesco dipinto raffigurante San Martino, a sinistra, Santa Caterina da Alessandria, a destra, ed in alto la Madonna con il Bambino, contornati da angeli; anch'esso necessitante di urgenti restauri. In antichità la chiesetta fu utilizzata anche come lazzaretto.
Lascio questa bella collina circondata da vigne su cui si staglia dall'alto il maniero che da secoli sorveglia il borgo e la vita dei suoi abitanti. Tornato sui miei passi, prima del paese, una stretta strada in salita mi conduce sotto il castello. Inutile raccontare i panorami che mi offre la spettacolare salita, in parte realizzata in ciottolato. I profumi dei fiori stamattina sono intensi. Ormai sono sotto al castello che dall'esterno, si presenta con tre torri: quella più antica e di dimensioni maggiori è la torre quadrata vi sono poi una torre ottagonale e una di forma cilindrica, parte integrante della cinta di mura di protezione del castello. Intorno al maniero vi è un esteso giardino. Il Castello è già menzionato nel tardo Cinquecento, si sviluppò attorno ad un torrione quadrato databile intorno all'anno mille che fungeva da torre di avvistamento e di segnalazione.
Intorno al castello si sviluppo il ricetto. Profondi e ben visibili sono stati i rimaneggiamenti operati nel corso del Settecento sul complesso del castello. Anticamente i feudatari furono i Marchesi Malaspina, una potente famiglia di origine genovese, già signori della Lunigiana. Il primo Marchese malaspina che resse il feudo di Orsara fu Federico di cui non conosco molto. Le famiglia dei Malaspina in quel periodo si erano divisi in Malaspina dello Spino Secco, dei Malaspina dello Spino Fiorito. Di questa famiglia, Dante Alighieri scrisse:
«La fama che la vostra casa onora,
grida i segnori e grida la contrada,
sì che ne sa chi non vi fu ancora;
e io vi giuro, s'io di sopra vada,
che vostra gente onrata non si sfregia
del pregio de la borsa e de la spada.»
(Divina Commedia, Purgatorio, VIII, vv. 124-129)
Forse si tratta di Federico di Villafranca e di Agnese del Bosco, di stirpe aleramica, da cui provennero i suoi feudi Malaspina dell'ovadese. Terreni e Castello passarono poi, per il matrimonio di Violante Malaspina, in proprietà ai Conti Lodrone che vi abitarono fino al 1530. Dopo numerosi passaggi il Castello passo ai conti Ferrari e poi in proprietà della Famiglia Remondini di Genova. Dei conti Lodrone ricordo il colonnello Giovanni Battista di Lodrone, nato in Tirolo, intorno al 1485, avviato alla carriera delle armi, fu comandante di parecchie compagnie di Alemanni e nel 1522 accorse in difesa di Alessandria attaccata dai Francesi. Partecipò, altresì, forte del suo esercito formato da 2000 Lanzichenecchi e altrettanti soldati Italiani a numerose altre imprese militari al servizio dell'imperatore Carlo V e poi di suo figlio Massimiliano II.
Oggi al Castello, è legata un avviata attività di produzione vinicola. Poco distante, su un promontorio, isolato dalle case si erge la Chiesa dell'Annunziata, sicuramente parte integrante dell'antico ricetto e forse risalente all'anno mille; infatti Il campanile presenta alla base, parti medievali. L'antica chiesa fu parrocchiale fino al 1667 è attualmente in stile lombardo romanico, a navata unica con due cappelle laterali in prossimità del transetto, presenta affreschi secenteschi.
Fino al 1810 fu anche luogo di sepoltura degli orsaresi; i cadaveri erano collocati, senza bara, in due sepolcri, uno per uomini e uno per le donne, scavati sotto il pavimento della chiesa, ricoperti da botole di pietra, ma anche nel terrapieno intorno alla chiesa stessa. Inizio la mia discesa verso il bordo attraverso una bella strada in ciottolato da cui si gode un meraviglioso panorama, in fondo alla discesa vi è un antico pozzo. Continuo ad aggirarmi per il borgo, fino a raggiungere via Aldo Morbelli, dove trovo l'abitazione con relative lapidi che ricordano Riccardo e Aldo Morbelli, affisse sulla casa natia.
I fratelli Morbelli furono tre figli del medico condotto che s'imposero in tre importanti campi artistici; la pittura, l'architettura e le lettere. Nonostante la famiglia li volessero medici, notai o militari scelsero strade completamente diverse. Gigi Morbelli, il maggiore dei tre fratelli, vi nacque il 3 gennaio 1900 e dopo aver studiato ingegneria al Politecnico di Torino seguì la sua vocazione principale, il disegno e la pittura, studiando all'Accademia Albertina. La targa che ricorda Gigi è invece in via Morazza.
Aldo Morbelli, vi nacque il 1° giugno 1903, trasferitosi a Torino divenne architetto. Fra le sue opere troviamo l'Auditorium della Rai di Torino, il palazzo per uffici della stessa Rai di Torino, ecc... Invece Riccardo Morbelli, nacque il 2 febbraio 1907, amante della poesia, iniziò a fare teatro e divenne autore, scrittore, pubblicista e paroliere. Fu autore di 3.500 programmi radiofonici. È il momento di lasciare il borgo e recarmi in auto nelle sue frazioni.
Comincio da Moglia, che s'affaccia dall'alto su un colle in cui si prospetta in uno spettacolare panorama con l'annesso castello. Si tratta di un gruppo di case antiche e moderne che sembrano un grappolo intorno alla Chiesa di Maria Ausiliatrice. La chiesetta con tetto a capanna e pronao anteriore davanti alla porta d'accesso fu edificata nel 1923. Questa è intitolata a Maria Ausiliatrice e a San Espedito e fu edificata per volontà della madre del sacerdote salesiano Don Guala abitante alla Moglia.
Il piccolo pronao a due pilastri protegge il portale d'ingresso, sopra il quale vi è un affresco di Gigi Morbelli che raffigura Maria Ausiliatrice. Lascio Moglia per andare a visitare la borgata di San Quirico. Prima di arrivarci, lungo la strada che conduce a Trisobbio mi soffermo a guardare il Santuario della Madonna dell'Uvallare. Si tratta di un edificio edificato nel XVI secolo, ampliato nel XVIII e XIX secolo con l'edificazione della casa dell'eremitadatabile XVII secolo a forma di L con la parte lunga addossata ad un fianco della chiesa.
Il santuario si presenta con un tetto a capanna e pronao a quattro colonne, forse quest'ultimo ridotto di dimensioni quando fu allargata la strada provinciale che un tempo doveva passare sotto il pronao. La facciata fu ammodernata nella seconda metà del XIX secolo ed ha un bel frontone con timpano decorato, sotto il quale si apre un rosone. Si narra, secondo la tradizione che nel XV o XVI secolo, un viandante che per vivere vendeva immagini sacre e quadretti girando per le cascine, spesso in cambio di un pasto o di un giaciglio, raggiunta la zona dell'Uvallare, stanco del cammino sotto un sole cocente di luglio, cerco ristoro e riposo all'ombra di un albero.
Posato ai suoi piedi il suo bagaglio si appisolò. Svegliatosi vide che un suo quadro, raffigurante la madonna con bambino e sant'Anna non era tra gli altri quadretti, ma appoggiato ad un cespuglio di biancospino. Meravigliato di ciò cerca ripetutamente di recuperare il quadro, ma questo sfugge ripetutamente dalle sue mani per tornare ai piedi del biancospino. Sgomento e spaventato da ciò, abbandona il quadro e si rimette in cammino.
Arrivato in una cascina verso Trisobbio racconta l'accaduto e la notizia si diffonde immediatamente, avendò ciò del miracoloso. Per proteggere il quadro, venne dapprima costruita un edicola, poi successivamente la chiesetta. Al suo interno sono conservati diversi ex voto, segno di devozione alla madonna dell'Uvallare della popolazione di tutta la zona. Sotto il pronao, ai piedi della porta di accesso per secoli furono ritrovati dei neonati abbandonati, ossia gli "Esposti". Non si trattava solo di "figli della colpa" ma spesso di neonati a cui le famiglie non erano in grado di provvedere al loro sostentamento.
Compito degli eremiti era compito di raccogliere i bambini, portarli in paese, in parrocchia affinché venissero subito battezzati al fine di evitare che in caso di morte non potesse raggiungere il paradiso. Venivano successivamente registrati in Comune con il cognome di Uvallare o Uvalare e se era femmina con il nome di Maria. La denominazione Uvallare o Uvallara potrebbe significare "ara dell'uva" e ciò induce a credere che vi fosse un sacello dedicato al qualche divinità pagana protettrice dei raccolti, in particolare dell'uva.
Proseguo il mio girovagare fino a raggiungere la borgata di San Quirico, un tempo detta "delle Cascine" che si distende sulla cresta delle colline a 307 metri slm. All'incrocio delle tre strade si erge la chiesa di San Quirico che da il nome alla borgata. Forse edificata nel XVIII secolo e dedicata alla Nostra Signora delle Grazie e a San Quirico, quindi alla Madonna della Neve. Fu riedificata nel 1881 su disegno dell'architetto conte Giuseppe Ferrari d'Orsara.
La chiesetta con tetto a capanna è realizzata in tufo e mattoni. Presenta un portone centrale con lunetta affrescata, protetta da un piccolo accenno di pronao con timpano a capanna sorretto da due colonne in pietra. Il portale è affiancato da due strette ed alte finestre con arco a tutto sesto. L'edificio presenta un basamento in grandi conci di tufo che corrono intorno all'edificio, compreso il campanile. Sopra al protiro vi è una croce realizzata nello scasso del tufo, affiancata da due alte e strette finestre con arco a tutto sesto. Sotto il culmine del tetto un coronamento ad archetti in laterizio che corre su tutta la facciata, interrotta centralmente sotto il culmine da una finestra stretta ed allungata ad arco a tutto sesto, tamponata. IL campanile è cuspidato arricchito da quattro pinnacoli.
È il momento di fare visita al mio amico, il Geo, così lo chiamavo quando svolgeva attività di geometra. Con lui posso andare a vedere gli Infernot, stanze ipogee scavate nella roccia tufacea e realizzate sotto le case. Costruite sicuramente oltre due secoli fa, erano utilizzare per conservare i cibi al fresco ma soprattutto, ieri come oggi per conservare il vino. Talvolta gli Infernot dispongono di cisterne per la raccolta di acqua piovana, sono luoghi meravigliosi dove poter stappare una bottiglia di dolcetto fresco e berlo, sorseggiandolo lentamente rende tutto veramente piacevole. Ormai è il momento di Orsara Bormida e i suoi paesaggi incantevoli. Oggi mi sono imbattuto in piccoli borghi dai vicoli tortuosi e dalle piccole piazzette accoglienti, dove ho altresì potuto assaggiare le prelibatezze locali e vini prodotti in loco.
Rientro a casa arricchito dall'esperienza e grati per aver avuto l'opportunità di esplorare le meraviglie delle colline del Monferrato acquese.