Blog di Dante Paolo Ferraris

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Il teatrino italiano delle dimissioni

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dimissioniSeduto sulla poltrona della mia scrivania in ufficio, con i raggi del sole che attraversano la finestra rendendo così la giornata ancor più torrida e benché il climatizzatore provi ad attenuare l'ondata di calore, tento di leggere sullo schermo del computer una di quelle prolisse leggi pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale che con tutti i suoi rimandi ad altre leggi e circolari non fanno altro che confonderti le idee.
Il telefono di color nero della scrivania squilla con insistenza e dall'altro capo dell'apparecchio, dopo i soliti saluti e convenevoli, un responsabile di un associazione di volontariato lancia strali nei confronti della sua sede nazionale e dei suoi attuali vertici, annunciandomi le sue dimissioni e di una folta schiera di volontari.
Ascolto con calma le sue rimostranze, sa benissimo che io posso solo dare ascolto e non altro, che posso solo raccogliere le sue recriminazioni e poi come un sacco d'immondizia buttare via il tutto, ma ciò gli serve per scaricare la sua rabbia.
La televisione accesa nel mio ufficio manda in onda delle interviste televisive in cui giovani disoccupati e lavoratori precari chiedono ad alta voce le dimissioni del premier e dei suoi ministri.
Sull'altro canale alcuni parlamentari annunciano dimissioni e elezioni anticipate. La parola dimissioni pare essere nel lessico quotidiano tra le più usate e ciò mi porta un po' a riflettere su come il potente di turno o chi si crede tale valuti veramente questa possibilità, quale atto volontario e facoltativo.
Tento di fare una ricerca su internet cercando di trovare qualche dimissione illustre e devo tornare indietro nella storia per trovare dimissioni eccellenti come quelle di Papa Celestino V, nato come Pietro Angeleri e detto Pietro da Morrone:
«Ego Caelestinus Papa Quintus motus ex legittimis causis, idest causa humilitatis, et melioris vitae, et coscientiae illesae, debilitate corporis, defectu scientiae, et malignitate Plebis, infirmitate personae, et ut praeteritae consolationis possim reparare quietem; sponte, ac libere cedo Papatui, et expresse renuncio loco, et Dignitati, oneri, et honori, et do plenam, et liberam ex nunc sacro caetui Cardinalium facultatem eligendi, et providendi duntaxat Canonice universali Ecclesiae de Pastore.» tradotto
«Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe [di questa plebe], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale.» - (Bolla pontificia, Napoli, 13 dicembre 1294).
Tragico pensare che sono dovuto tornare nel 1200 per trovare personaggi illustri italiani che con dignità si dimettono da una carica di grande potere, e quello di Papa è un potere spirituale ma anche temporale.
In un paese come l'Italia dove anche l'On Cicciolina (la pornostar Ilona Staller, partito radicale, X legislatura 1987-1992) a suo tempo annunciò di volersi dimettere ma fu subito pronta a ricandidarsi alle elezioni successive, l'istituto delle dimissioni per i potenti di turno pare molto ipocrita, fatto di finte dimissioni, dimissioni retraibili o comunque che nascondono un'ascesa ad un nuovo ruolo o potere. Ma la fantasia dei potenti su come non staccarsi da comode poltroncine è veramente italica. Abbiamo inventato scappatoie come l'auto-sospensione (usata anche dal sottoscritto), il congelamento, la rinuncia e l'addio provvisorio, il congedo di periodo ipotetico, la rinuncia prolungata e altre ipotetiche affermazioni di chi non vuole farsi da parte. Per loro natura e vocazione in questo paese i politici, e non solo quelli, restano e sarà forse così anche in altri paesi, ma da noi raggiungono la commedia.
Alcide De Gasperi ebbe a dire "le dimissioni non si preannunciano si danno", frase ripresa da tanti altri ma poi subito dopo come la faccia di Giano, pronti a ritrattare e ritirarle.
Dunque le annunciate dimissioni televisive, non fanno altro che parte di una scenetta di un talk-show made in Italy. Ecco perché l'italiano medio, quello privo di ogni potere se non quello della sopportazione e del coraggio di vivere ascolta tali affermazioni con sereno scetticismo sapendo che questi personaggi non spariranno per sempre ma semplicemente utilizzano il termine dimissioni per incutere timore che ciò possa essere vero o semplicemente perché dire "rimettere il mandato nelle mani di ..." ben sapendo che non saranno mai accettate, è comunque un modo per trasferirsi su un'altra poltrona di un altro varietà già pronta per loro.
Raggiunse a mio parere, il massimo dell'ipocrisia l'annuncio, ormai storico, di Amintore Fanfani (Assemblea costituente 1946 fino al 1999 per morte) che in una delle sue sfuriate lasciò credere che si sarebbe dimesso per diventare monaco camaldolese; ma anche un altro "guru" della politica italiana quale è Giulio Andreotti (assemblea costituente 1946 - senatore a vita dal 1991) annunciò che al compimento del 60° compleanno avrebbe lasciato la politica: nato il 14 gennaio 1919 ancora oggi siede in parlamento e si accordò - parole sue - "una proroga". Ciò vale a destra come a sinistra ( lo disse anche Achille Occhetto che di legislature ne fece sette). E non solo in parlamento ma anche in tanti Enti ove la nomina al vertice è governativa, con personaggi pronti a saltare da un Ente ad un altro senza farsi problema di competenze specifiche.
Il coram populo vale solo per assumere una carica o un incarico e non certo per farti decadere dallo stesso, come se a toccare il sole non ci si bruciasse.
Passò anche alla storia l'intervento di un altro stoico della politica italiana che annunciò a Palazzo Madama "dopo 44 anni, in questo doloroso momento", "il mio commosso ed affettuoso e memore saluto", "è per me straziante uscire da questa assemblea e separarmi da voi", "prendendo qui la parola per quello che ritengo sarà l'ultima volta", "ciò faccio ritenendo di dare con questo atto al paese e alle istituzioni un ultimo scandalo perché io credo nel vangelo" e cosi via ... ( frasi tratte da Repubblica del 24 febbraio 2009 - articolo di Filippo CECCARELLI).
Colui che disse ciò, nacque il 26 luglio del 1928 e mori il 17 agosto 2010, fu eletto la prima volta nel 1958 e morì come Presidente emerito della Repubblica e Senatore a vita. Francesco Cossiga non lasciò mai l'aula parlamentare, ed ora in politica troviamo il figlio Giuseppe, attuale sottosegretario che siede in parlamento dal 2001.
Però voglio citare anche chi le dimissioni le ha date veramente, infatti le mie reminiscenze scolastiche mi ricordano Lucius Quinctius Cincinnatus che fu nominato console nel 460 e dittatore nel 458 nella guerra contro gli Equi, sedici giorni dopo la nomina rinunciò alla carica che durava sei mesi (ad Urbe condita libri. 27 a.C.-17d.C.), tornando a fare l'agricoltore. Ma anche personaggi famosi, ovviamente le hanno date e non ritirate come Charles De Gaulle che pur stravincendo le elezioni del 28 aprile 1969, si dimette l'anno dopo a seguito dell'esito negativo di un referendum popolare. Il suo esempio mi sembrava seguito da Walter Veltroni che all'indomani della sconfitta elettorale in Sardegna, dopo sedici mesi di guida politica del Partito Democratico annuncia le sue dimissioni, "Non ce l'ho fatta e chiedo scusa per questo", pur rimanendo all'interno del partito con una notevole influenza decisionale, da vecchio "guru", come già fece Massimo D'Alema.
Diverso il comportamento di Tony Blair che dopo 10 anni alla guida del governo del Regno Unito si dimette il 10 maggio 2007 sia da premier britannico che da capo dei Laburisti, affermando: "Un tempo che per questo lavoro è abbastanza lungo", una classe non certo italica.
Certo le famose dimissioni potranno darle sicuramente quei volontari che mi hanno telefonato. Loro rinunceranno ad una passione e ad una attività che fanno con il cuore, spendendo denaro e tempo e non certo chi il proprio ruolo l'ha trasformato in potere, dove il denaro, i benefit, gli onori sono garantiti e a cui si fa fatica rinunciare. Fare il politico o essere al vertice di un ente pubblico ti offre la prima pagina dei rotocalchi, ove il gossip è vissuto come un eccesso garantito e populista ove fare gli interessi altrui è il proprio motto, ma il cui abito non veste chi lo indossa ma la sua ipocrisia.
Spengo la Tv e mi rimetto a studiare la mia Gazzetta Ufficiale a cercare dove sta la fregatura in questa italietta di benpensanti e malpraticanti.